Un Paese fa i conti alla tv di Ennio Caretto

Un Paese fa i conti alla tv TUTTA L'AMERICA MOBILITATA IN DIFESA DELL'ECONOMIA Un Paese fa i conti alla tv Studiosi, sindacalisti e imprenditori si recano alla Casa Bianca per esprimere un parere sul dollaro ammalato; ma Ford vuole che i cittadini assistano - Malgrado le critiche al governo, tutte le forze produttive sono disposte a collaborare (Dal nostro inviato speciale) Washington, Vi settembre. E' il mese della mobilitazione dell'America in difesa dell'economia, e tutte le forze del lavoro rispondono all'appello del governo. Una settimana fa, ventotto insi gni studiosi hanno tenuto consulto al capezzale del dol- I laro ammalato. Poi, si sono ! recatì alla Casa Bianca, per \ esprimere il proprio parere, altrettanti leaders sindacali. Tra alcuni giorni, sarà la volta dei leaders della con- \ findustria. L'obbiettivo è duplice: impedire che il ristagno della produzione industriale e l'inflazione monetaria (la stagflation; portino al caos e alla bancarotta. « E' una guerra diversa », ha dichiarato l'ottantenne George Meany, il patriarca e despota delle «Labor Unions», ricordando gli anni dal '40 al '45. « Ma è una guerra vera che ci costa dolori e sacrifici ». La mobilitazione avviene tramite la radio e la tv. Il presidente Ford vuole che l'intero Paese assista e partecipi alle discussioni. Nello sforzo di educare l'opinione pubblica ai problemi dell'e conomia, e renderla coscien te delle possibili soluzioni. ha trasformato in spettacolo e seminario insieme quelli che tradizionalmente era- no incontri riservati tra il potere politico, gli imprenditori, le maestranze e l'Università. Dopo i traumi del Vietnam e di Watergate, mentre ancora divampano le polemiche, l'America sembra ritrovare unità e stabilità di fronte all'invisibile nemico dello sviluppo e del benessere. Per il vertice conclusivo del 27-28 settembre Ford spera di raccogliere gli elementi necessari a una strategia che consenta la «ripresa equilibrala ». Ho seguito sui teleschermi a colori sia la conferenza dei ventotto economisti sia quella dei segretari generali dei vari sindacati alla Casa Bianca. I delegati sedevano a un enorme tavolo del Salone Est, traboccante di bandiere alle pareti, tra senatori e deputati, prendendo la parola a turno di fronte al moderatore, il consigliere del governo Greenspan nel primo caso, lo stesso Meany nel secondo. Il Presidente aveva al fianco i suoi collaboratori. L'atmosfera era accesa ma civile, i discorsi stimolanti ma non imprudenti, e non sono mancate le battute («E' l'occasione favorevole per un carosello pubblicitario sui buoni dei tesoro », ha detto ieri Miller, il leader dei minatori). Le discussioni sono durate rispettivamente otto e sette ore, con un breve intervallo per il j pranzo, e non mi risulta che gli spettatori si siano stan- i cati. « L'esperimento non ha : precedenti », mi ha dichia! rato Arthur Heller, già rej sponsabile dell'economia aI mericana sotto il presidente | Kennedy, « e chiude il periodo di vedute ristrette e d'insensibilità dell'amministrazione Nixon. L'interesse popolare è molto vivo: solo la | conquista dello spazio, con gli eroici sbarchi sulla Luna, ne ha destato uno superiore ». Ha aggiunto John Kenneth Galbrailh: « In un certo senso, abbiamo biso- j gno di un programma Apollo per il rilancio dell'economia. Debellare la stagflation ! in un mondo interdipendente, dove crescono le istanze sociali e le difficoltà tecni- 1 che, è impresa che richiede il contributo di tutti ». L'ex 1 ministro George Shultz ha auspicato che la « ripresa equilibrata » includa le basi ! di una futura autonomia \ zdntFenergetica, « senza di che i qualsiasi Paese dovrebbe ab dicare al ruolo di grande potenza ». Entrambi i «consulti», quello degli studiosi e quello dei sindacalisti, sono stati un esempio di responsabilità e di moderazione. L'America avverte la sfida di mantenere il pieno impiego e di arrestare il costo della vita forse ancora più dell'Europa. Disabituata alle privazioni da quasi cinquantanni di opulenza, dall'epoca della depressione, non ha tuttavia perduto la capacità di conii battere. Oggi il ristagno e l'inflazione costituiscono una i « malattia globale », ma es| sa si addossa l'onere mag| giare della cura, che non i può prescindere dalla spin; ta della produzione e dalla I fine della spirale dei prezzi \ a i . . a a : i i o e o i o a o e l o a a i a i e l a e . dei salari. « Li nostra è una folle corsa verso il nulla », ha sostenuto Meany. « Dovremmo andare avanti, ma restiamo fermi. E se non cambierà nulla, presto andremo indietro ». Due importanti indicazioni sono emerse dalle conferenze economiche della Casa Bianca. Nonostante le critiche al governo (violente, nel caso di qualche leader sindacale) esiste la disponibilità a collaborare da parte di tut- ! te le forze produttive ameri- \ cane. Si delinea inoltre un generico consenso a una «terapia blanda», senza scosse, sebbene sui tempi e modi di attuazione s'accentuino i contrasti. Questa intesa di fondo e convergenza di vedute, da un lato giustificano appieno l'iniziativa del presidente Ford, dall'altro avallano le previsioni di Greenspan, secondo cui il tasso inflazionistico incomincerà a diminuire l'anno prossimo, e l'economia « riprenderà quota» nel '76. L'America non intende correre il rischio della recessione esasperando la sua politica deflazionistica, a danno anche dell'Europa. Nell'impegno americano alla « ripresa equilibrata », suggellato dal vertice della scorsa settimana in Francia, è cruciale l'atteggiamento dei potenti sindacati. Fiduciosi della promessa di Ford, che « in nessuna circostanza » verrà ripristinato il controllo dei salari, e che gli oneri del rilancio saranno equamente distribuiti, essi paiono pronti a rimandare le richieste più gravose, e a « non scuotere la barca ». Ma s'aspettano dal Presidente misure concrete ed efficaci. « L'eredità della passata amministrazione puzza », ha dichiarato George Hardy. « Bisogna aprire le finestre ». E Jerry Wurf, in un franco scambio di battute, ha esortato: « Perché non controllate chi paga le tasse? Serve l'onestà, non la retorica sul patriottismo. I grandi èva- i sori fiscali non sono gli operai ». Ford è restato tre ore a discutere coi leaders sindacali. « Occorre evitare però le facili illusioni sulla "luna di miele" tra il nuovo governo americano e le Labor Unions, mi ha detto Arthur Heller. La loro valutazione dell'attuale crisi economica differisce sostanzialmente da quella della Casa Bianca. Vogliono perciò che il governo si muova più in fretta di quanto sarebbe forse logico e opportuno ». Le « Labor Unions» sono inquiete perché il tasso inflazionistico, seppure notevolmente inferiore a quello italiano e giapponese (il 12 per cento contro il 18 e il 24 per cento, rispettivamente) rappresenta quasi il doppio degli incrementi salariali: perché dall'inizio dell'anno il prodotto lordo nazionale è sceso in termini reali, mentre la disoccupazione è salita al 5,5 per cento: perché s'è aggravato il deficit della bilancia commerciale e dei pagameliti^ a causa soprattutto delle importazioni di petrolio. « A differenza di noi economisti », ha proseguito Heller. « che vediamo la situa- i i l ! j ! I ! 1 1 ! \ zione in una luce meno drammatica, esse considerano il Paese già in completa recessione ». Solo Wall I Street, forse, condivide questo allarme: la rivista News- ; week ha pubblicato in coperlina un orso (simbolo del crack finanziario, mentre il | toro è il simbolo del boom; 1 che spezza i pilastri del pa- I lazzo della Borsa, alla stre- j gita di Sansone. Rende più profondi i contrasti col go- j verno la convinzione delle « Labor Unions » che la stag- ! flation sia prodotto dell'am- ; ministrazione Nixon. « Re- ! stringendo il credito », ha \ protestato Kirkland, « essa ha paralizzato la produttività, distrutto il pieno impie- ' go, accresciuto la spesa pubblica, consentito profitti 1 scandalosi ai monopoli e danneggiato l'uomo della strada ». La « terapia blanda », co- j me è intesa dal presidente ; Ford, consisterebbe in una moderata riapertura creditizia, accompagnata però da una riduzione del bilancio I dello Stato, appena corretta dalla creazione di 85 mila nuovi posti di lavoro, o, se necessario, 175 mila. Egli i è inoltre favorevole a un par- I sfocino in un \ principio a tre ziale contenimento dei salai ri. I segretari generali dei vari sindacati propongono invece « l'impiego sociale di tutti i dollari disponibili », i l'indicizzazione degli increl menti nelle retribuzioni, in ! maniera che tengano il passo j col tasso inflazionistico, una ! imposta straordinaria sugli I « eccessi » nei profitti e il blocco delle esportazioni per generi alimentari scarsi. Ha ammonito George Meany: « Signor Presidente, dovete prendervi cura del nostro popolo: non è il momento dell'avventura, ma neppure dell'ignavia ». E' probabile che, al vertice conclusivo del 27-28 prossimi, i « consulti » economici al capezzale dell'America accordo di governo-ìmprenditori-sindacati, davanti al Paese raccolto intorno ai televisori. Sotto accusa fin dal primo giorno della sua presidenza per non essersi immediatamente liberato dalla strategia del « benign neglect », la negligenza benevola, del suo predecessore, Ford, il cui comportamento al Congresso in certi anni apparve addirittura ostile al- le «Labor Unions», deve capitalizzare subito la buona volontà con la quale è stato accolto. Sempre Meany gli ha detto: « Avete il merito di sapere ascoltare, ma noi abbiamo l'obbligo di parlare chiaro ». A novembre, è fissato il rinnovo del contratto nazionale dei minatori. E' una scadenza che l'America non può ignorare. Ennio Caretto