L'America del perdono di Furio Colombo

L'America del perdono Ford, Nixon e il Watergate L'America del perdono Il presidente Ford, un guidatore cauto da cui nessuno si aspetta sorprese, improvvisamente abborda una curva pericolosa: concede la totale amnistia a Richard Nixon. In questo gesto ci sono due novità. La decisione è di quelle destinate a provocare violente polemiche, appassionati dissensi. E viene presa così presto che interrompe subito il clima di attesa serena che aveva seguito il Watergate, la "luna di miele" dell'America con un presidente nuovo c pulito. Nixon, all'inizio della sua presidenza aveva fatto in modo che questo periodo durasse il più a lungo possibile. Kennedy aveva sofferto dell'incidente precipitoso della Baia dei "Porci" in modo grave, forse irreversibile, nonostante il tono vivace del suo modo di governare. Johnson aveva ritardato di una quarantina di giorni le sue pesanti decisioni sul Vietnam perché sapeva che lo avrebbero diviso da una parte di coloro che lo avevano eletto. Ma di Ford si pensava anche un'altra cosa. Nessuno sarà più cauto di un presidente che governa senza essere stato eletto. Sarà, si diceva, un governo quasi di tipo europeo, con rapporti stretti e contatti continui fra il Congresso e la presidenza. Con il gesto improvviso dell'amnistia per l'ex presidente. Ford sembra avere diviso di colpo il Paese, ha interrotto la tregua, ha adottato una decisione drammatica, ai limiti del dubbio costituzionale, ha perduto persino, nello staff di governo, alcuni amici personali. E il dissenso sulla sua decisione sembra crescente. Un ritorno di fiamma che l'America sperava di non avere. Intanto vediamo le conseguenze giuridiche. Il gesto nei confronti di Nixon non potrà rimanere isolato. Decine di imputati aspettano processi severi e pene pesanti. Sono la schiera di ex collaboratori di Nixon implicati nel caso Watergate. E c'è, sul tavolo del Presidente, un altro progetto di amnistia che è rimasto in sospeso: quello nei confronti dei giovani americani che non hanno voluto prendere parie alla guerra nel Vietnam. Ognuna di queste decisioni dovrà ora essere affrontata nel clima rovente del passo inaspettatamente compiuto da Ford. Per quanto se ne sa, Ford non ha risposto con la sua decisione a pressioni, influenze o ricatti, come la sospettosa opinione europea è propensa a credere. Non solo, ma Ford deve averne parlato con poche persone, c solo all'ultimo istante. Altrimenti non avremmo avuto dimissioni a sorpresa nell'ambito dei suoi collaboratori più stretti. Aveva Nixon delle carte in mano, conduceva ancora qualche filo del gioco in modo da premere o far premere così pesantemente sul suo successore? Le informazioni c i commenti americani più seri dicono no. Nixon ha testardamente resistito alla condizione che Ford gli avrebbe posto, una sorta di confessione pubblica e completa. E' stata la famosa, ossessiva caparbietà di Nixon a ribellarsi, non la sua residua forza politica, che pare ridotta a zero. E' possibile allora che Ford sia stato il manovratore inesperto di un peso che in partenza era ben calcolato, cioè l'amnistia in cambio di una ammissione di colpa grave quasi quanto un processo. In ogni caso Ford doveva sapere che avrebbe toccato un nervo sensibile della società americana. La pretesa che la legge sia uguale per tutti è radicata nella coscienza americana e non è certamente nel « dopo Watergate » che si può giocare con questi sentimenti di massa. Sulla rigorosa applicazione della legge l'America non si divide in conservatori e progressisti. Ford ha ricevuto fino ad ora settantatremila telegrammi. Sette contro uno disappro vano la sua decisione. Una maggioranza di questo genere ri flette chiaramente una reazione morale, non un punto di vista di partito o una polarizzazione politica prò o contro Nixon. E' impossibile che Ford non abbia calcolato una simile reazione. Per capire la sua decisione non rimane che seguire lo stesso percorso, non politico e partitico, non di convenienza o di strategia, ma nello spazio delle abitudini psicologiche e della tradizione morale. Dopo tutto è stato riconosciuto da tutti che Gerald Ford è una specie di rappresentazione vivente del « middle american ». Ma se lui è, anche in coscienza, anche nelle sue decisioni più delicate e solitarie, l'uomo medio che abbiamo visto nei « western » e nei film di Frank Capra, allora sappiamo che il gesto di perdonar;, anche se sfida la popolarità, non è estraneo al vecchio modello. Ci sono due tipi di vittoria, nello schema tradizionale del « western », che è il romanzo popolare d'America. In uno il nemico si distrugge da sé o viene distrutto dalle necessità imposte dalla vicenda. Nell'altro lo sconfino sella il cavallo e abbandona la città dove aveva spadroneggiato. La camera e l'occhio del protagonista non 10 seguono oltre l'inquadratura. Nessuna di queste storie esemplari si chiude con le formalità di un processo, persino se sembra ingiusto che la storia finisca dove finisce, cioè nella scomparsa « di fatto » dell'avversario. 11 western di crudeltà e di sangue è venuto dopo, è il prodotto marginale di una esasperata società dei consumi e in molti casi non è neppure americano. Invece .mettersi davanti alla porta del saloon e impedire alla folla indignata di mettere le mani addosso al colpevole è un gesto classico della narrazione popolare. In questo tipo di storia, infatti, ci deve essere tempo per vedere che la città ricomincia a vivere, per capire che la costruzione comincia esattamente nel punto in cui era finita la lotta. In questo senso, il gesto «imprudente» di Ford è forse altrettanto americano quanto l'indignazione e la prolesta che ha suscitato. Non nasconde alcun doppio fondo o significato sinistro. L'uomo con la faccia da americano medio si comporta secondo una tradizione che probabilmente gli appartiene in profondo, a costo di rompere un incanto e di sfidare la popolarità. Se è così vuol dire che in Ford certi tratti della vecchia eredità americana emergono, in caso di tensione, con più forza dell'abilità del politico. Il politico deve infatti confrontarsi con la catena di problemi che il suo gesto ha creato. Di questi l'onda della temporanea impopolarità è forse il minore. C'è troppo bisogno di pace, dopo la lacerazione di Watergate, perché il cielo dell'opinione pubblica non tenda, appena possibile, a tornare al sereno. Ma una volta imboccata la strada della cancellazione del passato attraverso il perdono, Ford non potrà ormai evitare di confrontarsi al più presto con le altre due decisioni che, come si è detto, lo aspellano: l'amnistia per le persone coinvolte nel Watergate, e la questione di coloro che hanno scello di non partecipare alla guerra nel Vietnam. Dovrà studiare dettagli tecnici per l'uno e per l'altro caso. Per esempio distinguere, fra la gente del Watergate, i reati comuni dalle violazioni che siano direttamente dipese dai comportamenti dell'ex presidente. Formulare cioè una amnistia selettiva, condizionata alla necessità di traversare il meno possibile l'applicazione generale e comune della legge. Quanto ai giovani che hanno vissuto all'estero piuttosto che combattere in Vietnam, Ford dovrà valutare il delicato meccanismo dell'obbedienza contro quello altrettanto delicato della coscienza. E inoltre calcolare sia la necessità di richiamare tulle le energie giovani alla costruzione del futuro americano, sia il bisogno così grande, così evidente di chiudere per sempre anche il doloroso capitolo Vietnam. Si può affermare dunque che il senso del perdono di Ford a Nixon si spiegherà, di fronte alla maggioranza di americani che in nome della legge per ora contesta quel gesto, con le prossime scelte del Presidente. Esse mostreranno infatti se Ford sta cercando l'inquadratura finale del vecchio spettacolo per avere le mani libere e ricominciare da capo, senza bagagli. Come è avvenuto spesso nella tradizione americana. Furio Colombo Il presidente Ford

Luoghi citati: America, Vietnam