Gli interessi delle grandi potenze perpetuano la divisione in Corea

Gli interessi delle grandi potenze perpetuano la divisione in Corea I difficili rapporti politici tra i due Paesi asiatici Gli interessi delle grandi potenze perpetuano la divisione in Corea (Nostro servizio particolare) Panmunjon, 12 settembre. L'attacco d'una folla di sudcoreani alla ambasciata giapponese a Seul e le altre manifestazioni antinipponiche, ripetute più volte in questi giorni, hanno provocato un deciso raffreddamento dei rapporti tra Seul e Tokyo. Questa tensione tra i due governi segue il fallito attentato del 15 agosto contro il presidente Park Chung Hee; In un simile clima politico e mentre la Repubblica popolare democratica di Corea ha appena chiuso le celebrazioni del suo ventiseiesimo anniversario, una evoluzione positiva dei colloqui sull'unificazione delle due Coree appare più aleatoria che mai. Sul 38" parallelo, tutto appare «normale»; ma non c'è nulla di normale all'interno e intorno a questo perimetro, dove le due metà divise d'uno stesso popolo si sforzano di organizzare la loro coesistenza, ma dove non ci si rivolge la parola che per comunicazioni ufficiali. Gli incidenti sono rari, a Panmunjon. I colloqui aperti tra le due zone del Paese, sia tramite la Croce Rossa sia a livello governativo, sono in completa impasse, dopo che nell'agosto 1973 il delegato del Nord ha praticamente messo fine alle sessioni plenarie del comitato di coordinamento Nord-Sud. La delusione è forte, tanto quanto vive erano state le speranze nate con il comunicato congiunto del 4 luglio 1972. Il documento era stato preceduto da lunghe trattative segrete e delegati governativi avevano attraversato per la prima volta, nei due sensi, il 38° parallelo, ricevuti dai presidenti Kim II Sung a Pyongyang, e Park Chung Hee, a Seul. Certamente, la congiuntura era cambiata in Asia, coi viaggi di Nixon in Cina e col primo «summit» russo-americano. Ma il regime di Kim Il Sung modificava la tattica, non la strategia dei suoi rapporti con il Sud; durante la fase attiva dei colloqui — tra il '72 e il '73 — le pro¬ poste fatte da Pyongyang infatti erano: ripresa della proposta di confederazione, già formulata nel 1960; progetto di convocazione d'una «grande assemblea coreana», già proposto dal Nord nel 1948; programma militare in cinque punti (con la riduzione degli effettivi a centomila uomini, da una parte e dall'altra, il ritiro delle forze straniere e la proibizione di forniture militari dall'estero) ripreso pari pari da un piano del 1971. Il regime del presidente Park Chung Hee è vulnerabile su molti di questi punti, e alcune proposte di Pyongyang sono state fatte perché le si sapeva inaccettabili dal Sud. Questa reciproca durezza trasforma in un confronto tra due dittature quello che sarebbe dovuto essere un conflitto di due società, e fa del mantenimento dei poteri l'impossibile condizione per ogni ravvicinamento. Il regime di Seul ha dato prova d'un poco più d'imma- j ginazione con la sua politica estera detta della «porta aperta », annunciata nel giugno '73, appena dopo che la Corea del Nord aveva ottenuto il riconoscimento diplomatico di molti Stati occidentali. La Corea del Sud non era evidentemente in condizione di ! proclamare l'equivalente della « dottrina Hallstein ». Dunque, « porta aperta a tutti gli Stati », anche a quelli che avevano riconosciuto il regime di Pyongyang. Altro aspetto di questa politica: l'esplicita richiesta dell'ammissione dei due Stati coreani all'Onu, « con la riserva che ciò non ostacoli la riunificazione ». A differenza dei suoi colleglli comunisti di Berlino-Est — che hanno sempre chiesto l'ammissione delle due Germanie alle Nazioni Unite — Kim II Sung si è opposto decisamente alle richieste di Seul, argomentando non senza ragione che la ammissione ufficiale dei due Stati consacrerebbe la divisione della penisola. E propone, invece, che le due nazioni costituiscano una confederazione che, con il nome di Koryo (il regno costituito alla fine del X secolo in Corea), avrebbe l'ammissione all'Onu. In ogni caso, l'ostilità dei Paesi comunisti per la Corea del Sud si è ammorbidita, ora che Seul non appare come una minaccia evidente per il suo rivale del Nord. Ma, anche per questo, la politica sudista della «porta aperta» rappresenta un pericolo potenziale per il regime di Kim II Sung, e ci si chiede se essa non sia uno dei motivi che hanno spinto Pyongyang a mettere in un canto il dialogo tra le due Coree, nella scorsa estate. Gli alleati comunisti — s'è forse pensato nella capitale nordista — saranno meno tentati a rivolgersi a Seul, se la distensione tra i due Stati segna il passo. Più duro della media dei Paesi comunisti, sede d'un culto sfrenato — più massiccio ancora di quello di Mao nella contigua Cina — del «grande capo» Kim II Sung, più isolato ancora del Vietnam del Nord, dove il marxismo «all'occidentale» ha lasciato qualche traccia, decisamente militarizzato, questo regime non ha saputo sbarazzarsi d'una pesante aggressività verso il suo rivale del Sud: se ha rinunciato, dopo l'avventura del '50, ad una aperta conquista militare, non concepisce la riunificazione che in termini d'una lotta rivoluzionaria più o meno violenta, che sfocia nella vittoria del suo sistema a Sud. Nello stesso tempo, la Corea del Nord è uno dei Paesi più indipendenti tra le piccole potenze comuniste, insieme con la Romania e il Vietnam del Nord, dopo alcuni complessi tentennamenti nella disputa cino-sovetica. Tra le quattro grandi potenze che, sole, hanno un interesse diretto alle sorti della penisola — Urss, Cina, Giappone e Usa — ognuna appoggia, in teoria, l'uno o l'altro dei due regimi coreani, ma s'augura ancora più ardentemente che il suo rivale diretto non profitti di una modifica del sistema attuale. Nello stesso tempo, nessuna di queste potenze s'augura di veder crescere la tensione nella penisola, col rischio di veder compromessa la distensione Est-Ovest, se non Nord-Sud. Il paradosso di questa distensione è, in Corea come in Germania, che essa poggia sulla divisione di questi Paesi per il bene dei più grandi. A differenza della Germania, la cui unità non ha resistito cento anni, la Corea era già uno Stato unitario dodici secoli fa. Da qualsiasi punto di vista lo si guardi, nulla giustifica l'attuale stato di cose, se non un concorso di circostanze di cui i coreani non sono in alcun modo responsabili: i due Stati clienti di Usa e Urss sono nati soltanto perché russi e americani si misero d'accordo nel '45 di raccogliere, ciascuno nella propria zona occupata, la resa delle truppe giapponesi. Insomma, non il colpevole, ma la vittima dell'aggressione nipponica ha avuto la sorte che in Europa è stata riservata al principale responsabile della guerra. Come pensare che quella che milioni di tedeschi considerano una grave ingiustizia non possa essere considerata insopportabile dai coreani, del Sud e del Nord? Copyright di « Le Monde » e per l'Italia de « La Stampa »

Persone citate: Hallstein, Kim Ii Sung, Kim Il Sung, Mao, Nixon, Park Chung Hee