Non e sicuro l'avvento degli uomini-formiche

Non e sicuro l'avvento degli uomini-formiche DIBATTITO DEMOGRAFICO A BUCAREST Non e sicuro l'avvento degli uomini-formiche Roma, settembre « Siamo troppi su questa Terra » sembrava, fino alla conferenza mondiale di Bucarest, un messaggio quasi indiscutibile. La prospettiva di una catastrofe verso i primi del Duemila, per fame e sovraffollamento, era data per certa e veniva mitigata soltanto dalla relativa lontananza dal traguardo disperato. Secondo i biologi e i demografi di parte neomalthusiana, all'esaurimento delle risorse naturali e all'avvelenamento del pianeta, si sarebbe aggiunta l'esplosione dell'aggressività innata negli individui. Fra trenta o quarant'anni, sette miliardi di « sottouomini » in conflitto fra loro come formiche impazzite in un paesaggio lunare. Un film americano di fantascienza ha anticipato l'estrazione di proteine dai cadaveri. E chi non ricorda i paralleli fra gli uomini e i topi che diventano rissosi, sessualmente anormali, feroci con i piccoli, se racchiusi in gran numero entro spazi limitati? Gli etologi hanno usato anche lo spauracchio delle deviazioni nel comportamento degli animali per rafforzare la predicazione contro l'eccesj siva natalità. A Bucarest quei sta propaganda è stata attacI cata come una vera e propria j mistificazione. Sono state messe in dubbio o smentite I persino le previsioni numeri- | che per il 2000. Il tasso di ac-1' crescimento della popolazio- ne mondiale potrebbe cam- biare fortemente in rapporto al miglioramento dei redditi individuali, delle condizioni sociali e culturali nei paesi sottosviluppati. Si è ricordato che in Europa alcuni paesi avanzati hanno ormai raggiunto l'equilibrio fra nati e morti. Nella Germania Federale (reddito medio superiore di 40 volte a quello dell'Etiopia o della Bolivia) la popolazione ha cessato di crescere. In Giappone e in Francia il tasso medio è sceso all'I per cento, in Russia e in Ungheria è ancor più basso ed è presumibile che venga raggiunta la staticità. La scuola conta Nei paesi sottosviluppati il calo della fecondità è netto tra le donne che hanno frequentato le scuole elementari e vinto contemporaneamente la fame. In Cile, secondo studi delle Nazioni Unite, le donne prive di istruzione mettono al mondo cinque figli, quelle che hanno raggiunto il livello elementare soltanto un figlio (media 1,3). Purtroppo nel mondo si contano ancora 700 milioni di analfabeti, in gran parte sottoalimentati. A Bucarest queste tesi hanno avuto larga udienza. Si potrebbe parlare di successo degli « ottimisti », appartenenti alla corrente di sinistra, in polemica da molti anni con i « pessimisti » della scuola di Erlich (o ecologi di destra) e contro i teorici dei « limiti dello sviluppo », convinti della necessità di contenere la crescita demografica per evitare l'esaurimento delle risorse naturali e la catastrofe planetaria. Gli « ottimisti » riprendono il discorso avviato vent'anni fa da Josué De Castro nel celebre saggio Geografia della fame: « Il mondo non troverà il cammino della sopravvivenza tentando di limitare le nascite, ma sforzandosi di sfamare e di rendere produttivi tutti gli uomini che vivono sulla Terra ». Uno degli esponenti italiani di questa corrente, Giulio A. Maccacaro, direttore dell'Istituto di Biometria all'Università di Milano, mi dice: « La numerosità non è una malattia o una colpa dei poveri. Non servono a nulla le pressioni spinte sino a premiare con poche rupie ì contadini indiani che si fanno sterilizzare ». Per non dire dei progetti che portano il segno del cinismo assoluto, come quello di sostanze chimiche da sciogliere nell'acqua per ridurre in misura programmata la fecondità di un popolo. Secondo Maccacaro (e su questo punto concordano molti demografi di parte opposta) « il desiderio di una famiglia più piccola nasce quando l'uomo ha superato lo stadio della lotta della sua sopravvivenza. Lo spauracchio della bomba demografica non è che un espediente delle nazioni ricche e delle classi agiate per mantenere inalterati i rapporti di forza». Oggi una persona su 18 è americana, tra un secolo soltanto una persona su 46 sarà americana, secondo i calcoli di G. Hardin. Gli « ottimisti » sostengono inoltre che le preoc- 1 cupazioni per l'esaurimento j delle risorse maschererebbero ! in realtà il timore dei paesi ricchi di doverle dividere con quelli sottosviluppati. « Non lui senso contare in assoluto gli abitanti della Terra per dedurne che sono troppi. Se leniamo conto dei consumi individuali, ì 200 milioni di americani valgono come 5 miliardi di indiani », dice ancora Maccacaro. Le statisticho delle Nazioni Unite indicano che un americano consuma tanto acciaio quanto 123 nigeriani, un tedesco quanto 116, un francese quanto 83, un italiano quanto 68. A questo punto sembrerebbe logico proporre la riduzione dei consumi nei Paesi ricchi. Ma gli «ottimisti» contestano il discorso sui limiti e negano ogni validità alla teoria di Malthus per cui la popolazione cresce con ritmo geometrico mentre gli alimenti crescono con ritmo aritmetico. Alcuni condividono la sentenza di Marx: « La produzione sulla Terra può essere accresciuta all'infinito». Altri, non molti, seguono l'economista Colin Clark, convinto della necessità di un grande sviluppo demografico come fattore di progresso sociale, economico e tecnologico. Nora Federici, docente di demografia all'Università di Roma ed esperta della delegazione italiana a Bucarest, si colloca nel mezzo: « Fra le posizioni estreme troviamo molti demografi seguaci di Alfred Sauvy. Essi non nascondono la gravità delle con seguenze di un forte incremento demografico, ma sostengono che lo sviluppo e le trasformazioni sociali nei Paesi del Terzo Mondo sono le sole soluzioni del problema ». Il "superfluo" I neomalthusiani e i fautori dei « limiti dello sviluppo » si sono sensibilmente avvicinati a queste posizioni, secondo Nora Federici. Basterebbe ricordare le ricerche avviate dal « Club di Roma » per un nuovo ordine economico mondiale e le dichiarazioni di Aurelio Peccei sull'urgenza di cambiamenti radicali nella società, nei rapporti tra i popoli, nei meccanismi degli scambi e dei mercati. Gli amici del «Club di Roma» (fra i sostenitori è anche Giscard d'Estaing) ritengono però che la Terra ponga limiti invalicabili alla crescita della popolazione. Gli « ottimisti », al contrario, negano che in un futuro non lontano possano scarseggiare terre coltivabili, acqua, energia, materie prime. Allo stesso modo nega- no, direi con maggiore forza di convinzione, che la catastrofe ecologica possa essere causata dagli inquinamenti dovuti all'aumento delia popolazione. E' nota la tesi di Barry Commoner: « Il pianeta viene avvelenato non da produzioni utili e necessarie, ma da produzioni spesso superflue che danno maggiori profitti ». Gli « ottimisti » insistono: « Soltanto le leggi di mercato impediscono di dare all'umanità quanto occorre per soddisfare i bisogni fondimentaU ». Virginio Bettini, ecologo molto vicino a Commoner, cita alcuni studi della Fao per dimostrare che nell'America Latina le superfici coltivate potrebbero aumentare del 30 per cento e le rese per ettaro del 50 per cento. In Brasile si coltiva soltanto il 3,5 del territorio disponibile, in Perù il 2,1. Dice Bettini: « Il mare non è inesauribile se sfruttato attraverso la sola pesca tradizionale, ma offre immense riserve inesplorate e può produrre enormi quantità di proteine animali col sistema della coltivazione, estesa a lagune e stagni costieri ». Di parere nettamente contrario Lester R. Brown, l'autore del rapporto / limiti della popolazione mondiale uscito in questi giorni presso Mondadori. Secondo Brown, a metà tra pessimisti e ottimisti, non possiamo sperare molto nel mare. Il pescato mondiale ha subito una flessione negli ultimi tre anni e la disponibilità di pesce è di 16 chilogrammi-anno a testa, con un ritorno ai livelli del 1964. Le scorte alimentari si sono enormemente assottigliate: bastano per soli 27 giorni di consumo mondiale, contro i 95 del 1961, mentre nei paesi poveri la disponibilità di cereali è di 181 chilogrammi-anno a testa contro i 1000 chilogrammi degli Stati Uniti. E' evidente a questo punto che la disputa tra « ottimisti » e « pessimisti » potrebbe durare all'infinito. Ma è altrettanto chiaro che, dopo la conferenza di Bucarest, le tesi di stampo manicheo hanno perduto credibilità. Soltanto gli estremisti dell'ottimismo possono sperare che il mondo cambi così radicalmente in breve tempo da risolvere il problema della popolazione. Ma soltanto i violenti, mascherati da demografi od ecologi, possono chiedere ad un popolo di limitare forzosamente le nascite per evitare che domani ci siano troppi affamati o disoccupati dei quali preoccuparsi. Mario Fazio