Da Beethoven a Schönberg e tanti applausi per Mehta

Da Beethoven a Schönberg e tanti applausi per Mehta Il concerto alle "Settimane,, di Stresa Da Beethoven a Schönberg e tanti applausi per Mehta Con gli oltre cento musicisti della Filarmonica di Los Angeles (Dal nostro inviato speciale) Stresa, 9 settembre. Zubin Mehta e l'Orchestra Filarmonica di Los Angeles hanno esercitato un richiamo eccezionale sul pubblico delle Settimane Musicali di Stresa: il Teatro del Paazzo dei Congressi è risultato troppo piccolo per il numero degli spettatori e file di sedie supplementari e sedili di fortuna sono stati aggiunti tempestivamente prima del concerto. Mehta è direttore stabile degli oltre cento elementi dell'orchestra di Los Angeles da dodici anni, e lo si vede bene nell'immediatezza con cui ogni sua intenzione è raccolta dai vari settori della compagine; è difficile dire quale gruppo di suonatori emerga per bontà di esecuzione, tutti essendo partecipi in modo omogeneo di un alto livello di sicurezza e di civiltà artistica. Precisi ottoni e legni (il test infallibile del Trio del Minuetto nell'ottava sinfonia di Beethoven l'ha ampiamente dimostrato), con momenti di squisita dolcezza nei clarinetti e nei flauti; bello e fuso il suono della massa degli archi, soprattutto dei violoncelli nei quali si è tentati a riconoscere forse la qualità più evidente dell'orchestra americana. Nel ricordo della serata re| stano, più di ogni altra cosa, qualità di fraseggio e di colore: e bisogna darne il merito a Mehta, direttore e concertatore tra i primi oggi al mondo, e secondo forse a nessuno per lucidità tecnica e chiarezza parlante del gesto. La serata si è aperta con i Cinque pezzi opera 16 di Arnold Schoenberg scritti nel 1909 a testimonianza degli estremi aneliti espressivi del decadentismo europeo: queste «opere di confine», queste partiture che coinvolgono una massa enorme di esecutori, da trattare tuttavia con la precisione dell'orafo, sono congeniali al direttore indiano che le rende con lussureggiante vivezza timbrica (non è ancora spento il ricordo della sua realizzazione dei Gurre lieder di Schoenberg due anni fa alla Scala). C'è voluto un certo sforzo di adattamento, avvertito anche dall'orchestra, per passare dallo Schoenberg espressionista dei Cinque pezzi al Beethoven dell'ottava sinfonia. A qualcuno essa è parsa non sufficientemente captante e incisiva; in realtà Mehta ha accentuato, forse più di quan-to avvenga comunemente ma non in modo illegittimo, la di mensione di ripensamento settecentesco che quell'opera limpida e serena contiene: il finale, staccato non così veloce come lo si sente spesso, ha consentito l'affiorare di una quantità di finezze e anche nell'allegretto scherzando c'era più amabilità che l'ironia di solito connessa alla sua origine, la parodia del metronomo inventato dal signor Màlzel. Per finire, la settima sinfonia di Dvorak, opera non in degna delle due più celebri che la seguono; il primo movimento, che a tratti spinge l'omaggio a Brahms ai limiti della citazione, presenta curiosi paralleli con lo spessore di Bruckner; il meglio è nei tempi di mezzo, percorsi da pastorali richiami di corni e 1 da suadenti melodie popola i reggianti. II pubblico che ha fatto magra festa ai Pezzi di Schoenberg, come fosse stato intimorito dall'angoscia che vi serpeggia, ha accolto trionfalmente le altre partiture, specie la Sinfonia di Dvorak, il cui finale tira gli applausi come una calamita; e ha ottenuto due bis: una rutilante Danza slava di Dvorak e un brano di Elgar, che sembrava fatto apposta per mettere in luce la bella sonorità dei violoncelli. Giorgio Pestelli « Settembre torinese » — Domani sera alle 21, nella Cappella dell'Arcivescovado, andrà in scena « Lo Judicio della fine del mondo » di anonimo piemontese del '500 con Gipo Farassino. Al teatro Gobetti, domani alle 21,30, concerto di musiche contemporanee piemontesi a cura di Lidia Palomba.

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