Sì alla difesa dell'ambiente (ma rispettando l'economia)

Sì alla difesa dell'ambiente (ma rispettando l'economia) Concluso a Trento il convegno suir«Avvenire delle Alpi» Sì alla difesa dell'ambiente (ma rispettando l'economia) Le Alpi non vanno trasformate in un museo delle cere, è stato sottolineato durante l'incontro di Trento - Sono usciti sconfitti i "protezionisti assoluti" - Un documento (Dal nostro inviato speciale) Trento, 6 settembre. A conclusione di questo convegno sull'avvenire delle Alpi, molti temevano che le sei commissioni di esperti perdessero di vista il discorso globale e si limitarsero ciascuna a chiedere la protezione di qualche fiore o l'abolizione della caccia (un botanico, per esempio, l'altra sera decantava a un collega le alte qualità del proprio cane da ferma), la soppressione di qualche autostrada o di qualche funivia in progetto. Non è avvenuto cosi, per fortuna, e il «piano d'azione» presentato stamattina nell'ultima seduta, presenti il ministro Ripamonti e il presidente del Senato Spagnolli, condensa in una globalità abbastanza omogenea tutte le esigenze particolari. Qualità della vita Novanta punti (ne sono stati cancellati alcuni dal documento di base dopo due notti di discussione) che in sostanza non intendono trasformare le Alpi in una specie di museo delle cere ma che all'esigenza della conservazione e tutela legano quella di uno sviluppo controllato. Tanto che il ministro Ripamonti ha potuto affermare: «Il problema della tutela dell'ambiente come componente costituitiva della "qualità della vita" mette di fronte coloro che perseguono una tutela rigida, garantita da un livello di "sviluppo zero" e coloro che concepiscono invece un protezionismo inserito in un disegno economico che non può essere bloccato. Un contrasto di tale tipo ha possibilità di verificarsi solo quando le due opposte tesi vengono estremizzate, rifiutandosi aprioristicamente ogni tentativo di ulteriore analisi. Accanto all'esigenza di tutelare il sistema alpino nella sua integrità ■ecologica e culturale vi è quella di attivare in tale sistema un meccanismo di sviluppo capace di dare una risposta positiva ai problemi socio-economici e culturali delle popolazioni e di potenziare anche il contributo che la valorizzazione della montagna può dare alla soluzione di più ampi problemi regionali e nazionali dei vari Paesi interessati». In questi giorni si è parlato anche, cedendo ad una facile retorica, del montanaro «custode di un grande patrimonio europeo». Sulla base di queste espressioni un gruppo contestatore, capeggiato dalll'architetto Micheletti, ex sindaco di Cavalese, ha presentato una «contromozione» nella quale fra l'altro si afferma: «In cambio di questo ruolo e di questa responsabilità che comporta la rinuncia, a favore di tutte le popolazioni europee, al privilegio di usare le risorse alpine come proprie, le popolazioni delle Alpi devono ottenere non la graziosa concessione di piccole dosi degli stessi modelli di sviluppo della società industriale, ma contropartite in termini economici e culturali adatte a sviluppare modelli di vita autenticamente alternativi per la società di domani ». Il ministro ha accettato questa tesi e l'ha portata avanti: «Lo sviluppo economico della montagna deve avere a monte una politica ambientale non concepita come fine a se stessa. Il montanaro-giardiniere non può sopravvivere a lungo se il giardino non dà frutti utili e adeguati al sostegno di una famiglia, di una comunità, secondo parametri di vita non dissimili da quelli che si riscontrano nelle aree più evolute. La gente della montagna — ha aggiunto — ha chiaramente dimostrato il rifiuto delle condizioni di tutore dell'ambiente senza quelle contropartite economiche, civili, sociali, che si prospettano nelle zone urbane e nelle aree industriali. L'esodo delle popolazioni è la conferma di questo rifiuto». La partecipazione In sostanza il montanaro respinge la condizione di «colonizzato». Finora tutte le decisioni erano prese da gente della città e i risultati sono a disposizione di tutti. Ora il «piano di azione» afferma: «Ogni tipo di sviluppo, soprattutto quello turistico, deve essere deciso con la partecipazione maggioritaria delle comunità locali. In caso contrario è necessario prevedere un controllo pubblico dei flussi dei capitali stranieri e degli investimenti privati». Almeno questo punto in Italia è già operante, perché le comunità montane appena varate hanno come primo compito quello di preparare il proprio pia- ! no di sviluppo da sottoporre alla Regione. Da queste proposte derivano le relative conseguenze: «Favorire l'agricoltura, le attività artigianali o di piccole e medie industrie che utilizzino le risorse locali e le capacità della popolazione residente; abbandonare l'attuale modello di sfruttamento turistico basato sulle grandi concentrazioni immobiliari strettamente collegate con gli impianti di risalita; gestione della selvaggina su basi ecologiche razionali nella misura in cui le economie forestali ed agricole vengono spesso danneggiate da un eccesso di selvaggina». Ancora a questo proposito: «Tutta la fauna selvatica, compresa quella oggetto di caccia, deve essere considerata come un putrimonio collettivo e la sua gestione deve ispirarsi a questo principio». Si può concludere che dal convegno trentino sono usciti sconfitti i protezionisti assoluti ed è prevalsa invece la tesi dello sviluppo coordinato alla tutela che si esprime anche nella richiesta, contenuta in una mozione, di «proibire i mezzi meccanizzati fuori strada nei boschi, pascoli, nevai e ghiacciai», di abolire l'uccellagione, di contenere l'espansione delle infrastrutture, compresa l'autostrada d'Alemagna. In otto giorni si sono mossi i primi passi, ora il documento sarà sottoposto alle autorità politiche dei sei Paesi interessati e si spera che qualcosa accada, prima che sia troppo tardi. Domenico Garbarino

Persone citate: Alemagna, Domenico Garbarino, Micheletti, Ripamonti, Spagnolli

Luoghi citati: Cavalese, Italia, Trento