Le importazioni di suini rovinano gli allevatori

Le importazioni di suini rovinano gli allevatori Si produce a 670, si vende a 550 Le importazioni di suini rovinano gli allevatori Sono arrivate forti quantità di carni straniere a prezzi bassissimi (ma il consumatore non ne ha avuto alcun beneficio) Forse lo spezzatino di maiale entrerà nelle mense militari (Dal nostro inviato speciale) Milano, 5 settembre. Per adesso gli allevatori italiani non sgozzeranno come in Francia i loro maiali davanti ai municipi dei paesi, né sfileranno in corteo per le città con migliaia di suinetti; nemmeno faranno «serrate» o altre manifestazioni del genere per richiamare l'attenzione del governo sui loro problemi. Non è che stiano meglio dei loro colleghi francesi, olandesi, danesi: per ogni suino prodotto perdono 15 mila lire, con un prezzo di vendita che si aggira intorno alle 550 lire il chilo e con un costo di produzione che supera le 670: ciò, purtroppo, non fa scendere di una lira i prezzi al consumo. Malgrado questa drammatica situazione i suinicoltori hanno buon senso, così come quelli associati (e sono la maggioranza) hanno dirigenti che sentono il peso della loro responsabilità e non li mandano allo sbaraglio in azioni tanto clamorose quanto inutili. Sembrava che in provincia di Modena gli allevatori di suini volessero attuare una serrata e abbandonare .gli allevamenti perché lavorano in perdita; ma all'Associazione agricoltori, cui aderisce l'80 per cento dei suinicoltori della provincia, affermano che nessuno intende chiudere gli allevamenti. Al massimo non si rinnovano gli impianti, anche perché mancano interventi statali o regionali. Una pratica abbastanza diffusa, invece — ci dicono sempre all'Associazione agricoltori — è quella di rinviare l'uccisione dei suini. In Emilia di solito il maiale viene portato a 150-160 chili, poiché, a differenza di altre regioni, qui prevale il suino pesante. Ora questa consuetudine viene abbandonata; poiché ai prezzi attuali non è conveniente vendere, si continua a ingrassare il maiale, fino al limite di rottura (quando l'animale è troppo grasso c'è il pericolo che gli si spezzino le gambe), cioè fino a 180 e anche 200 chili. E' naturale, però, che quando si supera il livello ottimale (150160 chili), il rapporto di conversione mangime-carne diventa sempre meno remunerativo. Comunque, si ritiene che sia meglio attendere giorni migliori, anche con qualche rischio, piuttosto che vendere oggi sottocosto. Questa grave situazione è la conseguenza di più fattori negativi, che si sono sommati. I vincoli alle importazioni di carne in Italia, che hanno funzionato soprattutto in giugno, hanno fatto bloccare oltre frontiera grandi quantità di carni suine, che sono state messe nei frigoriferi in attesa di tempi migliori. Caduta la cauzione del 50 per cento sulle importazioni, in luglio, tutta questa massa di carne si è riversata in Italia dalla Danimarca, dall'Olanda, dalla Germania, dalla Francia, a prezzi estremamente bassi, meno di 500 lire il chilo. Ciò ha depresso i nostri mercati e gli allevatori italiani hanno dovuto vendere, a volte, al prezzo record di 480 lire il chilo, rimettendoci quasi 200 lire. Questa batosta, inoltre, è capitata in luglio, cioè nella stagione calda, in cui normalmente il consumo di carne suina diminuisce. Il presidente dell'Anas (Associazione nazionale allevatori suini), Doro Caffagni, si augura che vengano accolte le proposte già da tempo avanzate dalla sua associazione: aiuti alla conservazione, in forme diverse dal congelamento; anticipazione dall'I novembre all'I agosto dell'entrata in vigore del nuovo prezzo di base dei suini, cioè 93 unità di conto il quintale, pari ad un aumento di circa 56 lire il chilo peso morto rispetto al prezzo di base attuale, da valere per la campagna '74-'75; stoccaggio pubblico delle carcasse di suino, se il prezzo dovesse ancora scendere sotto le 500 lire; applicazione della clausola di salvaguardia, come per i bovini, e conseguente sospensione immediata di tutte le importazioni di suini vivi e carni suine fresche e refrigerate e congelate dai Paesi terzi. Anche se si muove su un piano più velleitario rispetto all'Anas, il presidente dell'altra associazione suinicola, l'Unas (Unione nazionale allevatori suini), Giuseppe Alberini, è d'accordo con Caffagni per quanto riguarda le manifestazioni violente, che, anche se c'è una spinta dalla base, egli cerca di evitare. In luglio, quando la bufera era più violenta, Alberini invitò i suoi associati a non vendere i suini all'industria e a riprendere la vendita a fine mese, senza però scendere sotto le 650 lire il chilo per i suini grassi e le 1100 per i lattonzoli. La prima parti? dell'operazione è riuscita, perché molti mercati sono rimasti chiusi per quindici giorni. Ma non la seconda, perché, dice Alberini, spe¬ cie in Emilia molti hanno ceduto gli animali a prezzi inferiori a quelli che avevano stabilito. In Piemonte le cose sono andate meglio. L'Unas sta portando avanti un'iniziativa che dovrebbe permettere di smaltire il cinque per cento della produzione nazionale. Alberini ha scritto al ministero della Difesa, invitandolo a introdurre la carne di suino nella dieta dei militari. La risposta non è stata negativa («possiamo discuterne») e quindi l'iniziativa va avanti. Facendo mangiare due volte la settimana spezzatino di maiale ai militari, si smaltirebbero 40-50 mila suini il mese. Un'altra azione che l'Unas sta portando avanti è il ritocco dei tempi di fissazione dei prelievi, cioè di quel meccanismo che interviene per attenuare i danni dovuti alle flessioni dei prezzi agricoli. Adesso la cadenza è trimestrale; secondo l'Unas, invece, i prezzi dovrebbero essere fissati ogni otto giorni. La richiesta era stata già fatta nel '71, ma Tallora ministro dell'Agricol- tura aveva fatto rispondere negativamente. Tutto sommato, Alberini non è troppo pessimista: se teniamo duro ancora un mese, il mercato ai primi di ottobre dovrebbe risollevarsi, anche perché, con la stagione fredda, riprendono i consumi. Livio Burato

Persone citate: Alberini, Caffagni, Giuseppe Alberini, Livio Burato