Politica europea delle "strutture,, di Manlio Rossi Doria

Politica europea delle "strutture,, Europa Verde, quale rilancio? Politica europea delle "strutture,, Per quanto continui a man-1 tenere una importanza centrale, vorrei clire pregiudiziale e istituzionale, la politica dei prezzi e dei mercati non rappresenta che una parte della politica agricola comunitaria. Dopo aver visto le revisioni necessarie per la politica di mercato, possono, quindi, essere utili alcune considerazioni per quell'insieme di idee, di progetti e di direttive che (per ora più sulla carta che nella realtà) costituiscono la cosiddetta « politica europea delle strutture». La « svolta » solennemente tracciata al riguardo nel 1968 dal « Memorandum agricoltura '80 », meglio conosciuto col nome di « Piano Mansholt », è stata percorsa, nei sei anni successivi, con tante esitazioni e lentezze da rassomigliare piuttosto che a una « svolta » a una « fermata ». Le direttive per l'ammodernamento delle aziende agricole ed annessi, approvate nell'aprile 1972, sono entrate finalmente in vigore col 1° gennaio '74 in tutti i paesi (salvo il nostro) che hanno adempiuto le richieste prescrizioni ed è, quindi, impossibile valutarne per ora l'efficacia e la concreta rilevanza. La direttiva per l'agricoltura di montagna e di altre zone sfavorite, della quale l'anno scorso sembrava imminente la approvazione e l'entrata in vigore, s'è fermata sui tavoli del consiglio dei ministri della Comunità e nessuno sa quale sorte le sia riservata. La politica regionale, il cui razionale disegno è stato messo a punto all'inizio del 1973, s'è arenata nelle secche delle interminabili trattative ed ha, infine, urtato contro lo scoglio dell'opposizione tedesca, i tentativi di dare consistenza e un razionale contenuto agli impieghi del cosiddetto Fondo sociale europeo sono rimasti nell'empireo delle buone e vaghe intenzioni. Il quadro, come si vede, non è consolante. Gli indirizzi indicati, tuttavia, dal « Piano Mansholt » corrispondono, se non nei dettagli, nella sostanza, a così vere e serie esigenze che, se la ripresa della costruzione europea ci dovrà essere, ad essi bisognerà inevitabilmente ritornare. Sembra, quindi, elementare saggezza utilizzare questo periodo di arresto dei programmi già formulati per rivederli criticamente così da metterli domani in opera con maggiore efficacia e prontezza. A due criteri sembrerebbe opportuno ispirarsi in questa revisione critica. In primo luogo, sembra quanto mai opportuno pensasin da ora ad un organico coordinamento di tutte quelle politiche (direttive per lo ammodernamento delle aziende, direttive per la montagna e le aree sfavorite, politica regionale, programmi di impiego del Fondo sociale). In fin dei conti, esse hanno tutte un oggetto — il riassetto di quelli che un economista tedesco chiama gli «spazi agricoli» — e vanno, perciò, viste nel loro insieme e non come politiche distinte. E' inoltre necessario legarle alla politica industriale, nella misura in cui questa si riferisce alla razionale localizzazione degli impianti. E' sempre più chiaro, infatti, che, salvo rari casi, l'agricoltura isolata ed esclusiva non regge più e che, se il territorio deve restar vivo e popolato, bisogna dovunque puntare a uno sviluppo misto agricolo-industriale. In secondo luogo, sembra altrettanto opportuno che la Comunità la faccia una buona volta finita col rifiuto irragionevole dello stesso concetto di pianificazione, in ossequio a uno stantio rispetto della filosofia della libera impresa. Quando ci si mette — come ci si è messi — sulla via di una politica amministrata di ristrutturazione dell'agricoltura e di razionale risoluzione dei problemi sociali connessi, la filosofia della libera impresa è già superata e gli interventi hanno senso solo se sono coordinati e pianificati. Il problema vero, per queste politiche, non è, quindi, pianificazione sì o pianificazione no, bensì l'altro, più complesso, di come realizzare la pianificazione nel modo più efficiente, con strumenti giuridici adatti e con la diretta partecipazione delle popolazioni interessate, nell'ambito di zone sufficientemente ampie per dare coerenza al piano e sufficientemente ristrette per assicurarne l'autogoverno. Anche per la politica delle strutture, tuttavia, bisognerà essers realisti e guardare in faccia la realtà quale essa è. Quando parliamo di ammodernamento e ristrutturazione dell'agricoltura europea occorre bene intendersi. Nel fatto le agricolture da ammodernare e ristrutturare sono due. La prima è quella delle aree dotate di risorse agricole più o meno ricche, capaci di accogliere un'agricoltura sempre più industrializzata e competitiva e caratterizzate il 1 più delle volte dal fatto che in esse è già localizzata o può localizzarsi la parte più cospicua della moderna industria. La conseguenza di questo stato di cose è quella di render conveniente non solo la riorganizzazione di medie aziende agricole ad alta produttività, ma anche quella di una miriade di piccole aziende « part-time », altamente produttive, se pur bisognose di integrare l'occupazione e i redditi delle famiglie interessate nelle vicine attività industriali. Queste, d'altra parte — da questa simbiosi di agricoltura e industria — hanno tutto da guadagnare e nulla da perdere, non foss'altro che per la maggiore « elasticità » che l'intero sistema economico di queste aree verrebbe così ad acquisire. La seconda agricoltura è, all'opposto, quella delle aree le cui risorse agricole sono modeste o povere, capaci, quindi, di accogliere solo un'agricoltura relativamente estensiva (ossia esercitata da pochi uomini su vaste superfici, se si vogliono raggiungere livelli di produttività e di redditi comparabili). Queste aree sono oggi per lo più scarsamente industrializzate, ma ancora, in molti casi, densamente popolate e — quel che più conta — bisognose di restarlo in avvenire. La presenza di popolazione attiva in molte di queste aree è, infatti, necessaria per assicurare una razionale conservazione delle risorse naturali e per tenere sotto efficace controllo i processi erosivi e alluvionali, che sempre più gravemente minacciano le sottostanti aree ricche e altamente sviluppate. I problemi dell'ammodernamento e della ristrutturazione dell'agricoltura (connessi a quelli della conservazione delle risorse, della difesa dalle alluvioni e del razionale assetto del territorio) si pongono, pertanto, per le due agricolture in termini radicalmente diversi e, in un certo senso, opposti. Nella prima il processo è già avviato, è costoso, ma relativamente semplice, anche se va inserito in un più vasto e complesso processo di riassetto territoriale, di decongestione industriale e urbana e di difesa dell'ambiente. Nella seconda c'è solo, per ora, in atto un processo di abbandono, di « desertificazione » e quindi di degradazione sia della natura che dei valori storici tradizionali. I problemi sono, pertanto, qui più complessi e posso¬ no solo trovare soluzione attraverso una azione collettiva, programmata e, in un certo senso, « controcorrente »: un'azione che porti insieme a un razionale riordinamento, spesso associato, dell'agricoltura e degli insediamenti umani, alla localizzazione in queste aree di una notevole parte delle nuove industrie e a una sistematica e razionale attività di difesa del suolo e di conservazione delle risorse, ossia ad un processo capace di trattenere e richiamare in queste aree una popolazione di giovani, che le ha abbandonate e continua ad abbandonarle. E' una distinzione questa, che si va sempre più chiaramente facendo strada nella mente di tutti, ma che di fatto — malgrado le parole intonate a questi concetti di molti documenti comunitari — per ora non ha maturato nulla che sia capace di tradurre in realtà questa visione dell'avvenire. E' tempo, quindi, che dagli accenni ad una nuova politica si passi ai fatti, ossia alle scelte, gli impegni, i piani e gli investimenti che essa comporta. Manlio Rossi Doria (1 precedenti articoli di Manlio Rossi Doria sul rilancio dell'Europa Verde sono stati pubblicati il 24, 29, 30 agosto e il 4 settembre).

Persone citate: Europa Verde, Manlio Rossi Doria

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