Le comparse di Venezia di Stefano Reggiani

Le comparse di Venezia DUE MODI PER SALVARE (O PERDERE) LA CITTÀ Le comparse di Venezia Gli americani che organizzano balli di beneficenza resteranno i padroni del campo? - Il teatro "La Fenice" minacciato, i dipendenti senza stipendio, lo Stato non paga i debiti (Dal nostro inviato speciale) Venezia, settembre. Ci sono due modi per salvare Venezia: divertendosi e lavorando. La prima maniera è scelta dai turisti abbienti, dagli stranieri danarosi, dagli stravaganti internazionali che frequentano la buona società. Nei giorni scorsi un plico, ornato di coccarde e di nappe tricolori, è giunto ai rappresentanti della nobiltà e dell'imprenditoria veneziane: conteneva un biglietto di invito, un proclama su carta pergamena e la copertina di un libro. L'americano Roloff Beny, fotografo e studioso d'arte, aveva deciso di presentare il suo volume di immagini « in Italy » con due feste ragguardevoli, la prima in villa ad Asolo, l'altra addirittura in Palazzo Ducale. Gratuita, a quanto risulta dagli atti, la partecipazione al picnic asolano « con giochi e baldoria », poiché ne era organizzatrice generosa la rediviva regina Caterina Cornare Le ragioni festevoli della sovrana sono spiegate nella pergamena d'invito, scritta in una lingua italo-americana adatta alla circostanza. Il ricevimento si dà in onore del citato dott. Beny perché « ha fatto possibile per gli Amici di Venezia di approfittare della presentazione del suo libro, aiutando così le finanze per la ricostruzione: in più, il libro stesso porta un messaggio del magico fascino che l'Italia ha per il mondo e rinforzando così la validità del restauro: fotograficamente coordinando un Paese non-coesivo come l'Italia ». Gli amici di Dallas La festa a Palazzo Ducale è sorta con intenzioni più solenni, affidata all'organizzazione della società « Friends of Venice » (Dallas, Texas) e volta alla beneficenza e al restauro. Ogni coppia è stata invitata a versare la somma di cento dollari (ridotta a venticinque per gli innamorati sotto i venticinque anni) « a vantaggio del fondo di restauro e dell'Associazione Fanciulli subnormali». E' stato deciso di accettare anche i ballerini singoli dietro versamento di soli quindici dollari o diecimila lire. Beny e gli Amici di Dallas non hanno potuto, tuttavia, portare fino in fondo il loro piano generoso e danzante: il Palazzo Ducale è stato concesso solo per la consegna simbolica del libro al Sindaco, già ingentilito nel risvolto di copertina col nome femminile di Giorgia Longo. L'orchestra da ballo è stata tempestivamente alloggiata in Ca' Giustinian, forse con pericolo per la stabilità del palazzo e per gli uffici della rinascente Biennale. Il Comitato di Dallas conta una sottosezione veneta ricca dei migliori nomi, politici e aristocratici. Lavori di restauro sono già stati condotti a Ca1 Pesaro, con il denaro delle coppie amiche della laguna. Gli invitati di Beny sono giunti non solo dal Texas, ma perfino da Honolulu, testimoniando che si può affrontare un viaggio di migliaia di chilometri e le spese di un lungo soggiorno pur di offrire cento dollari alla serenissima malata. Questi turisti miliardari e moderatamente benefici rappresentano le comparse di lusso per Venezia, gli unici forse che riescano a divertirsi al punto attuale della commedia. « Ma la città non è ur. teatro, e chi la vede in una dimensione scenica non ha capito nulla », dice la contessa Teresa Foscari Foscolo, presidente della Sezione di « Italia Nostra », renitente ai balli e al manierismo lagunare. Chiusa in Palazzo Mocenigo, smembra sapientemente la società veneziana, rintracciando vizi e meriti, e giustifica la stanchezza presente di alcuni difensori. « Noi di "Italia Nostra" abbiamo anticipato tutti i temi del restauro conservativo vent'anni fa; abbiamo indicato la strada per salvare l'edilizia minore ». Ma adesso, congiurando la stretta economica, chi potrà seguirla? Le comparse di lusso importate dall'estero resteranno padrone del campo? Contro il modo allegro per salvare Venezia, con balli in maschera a Ca' Giustinian, c'è la maniera delle comparse indigene, mandatarie della cultura e del folklore, le quali chiedono di recitare professionalmente e non per hobby. Poniamo: i cento coristi del teatro La Fenice o i quattrocentocinquanta gondolieri. Le loro vicende sono fortemente attuali, poiché l'iniziativa pubblica (Fenice) sta naufragando, mentre quella privata (gondolieri) chiede d'essere pubblicizzata. Il teatro La Fenice non paga i dipendenti da due mesi, ha in forse il programma del- i i , e . i a a , e r n è e a r o o ) , la stagione d'autunno, è minacciato di pignoramento per debiti dallo Stato, il quale da una parte non dà contributi, dall'altra pretende le tasse. Il sovrintendente Luigi Floris Ammannati, a capo di una delegazione, è andato a Granezza, dove era Rumor in vacanza, per sottoporgli i problemi del teatro; il presidente del Consiglio ha promesso il suo interessamento, ma si capisce che La Fenice non possa essere in questo momento il suo maggior pensiero. Ammannati ci spiega le cifre, ricordando che la legge Corona ha stanziato per gli enti lirici sedici miliardi, mentre oggi le spese in Italia toccano i cinquantasei. Dice: « A Venezia abbiamo un bilancio di 4 miliardi e 157 milioni. Lo Stato ci dà sulla carta quasi 4 miliardi, ma i contributi non sono mai tempestivi e noi c'indebitiamo con le banche. Risultato: gli interessi passivi annuali sono di un miliardo e 200 milioni ». Lirica e gondole Si scopre che La Fenice, come gli altri teatri italiani, spende per gli allestimenti il 22 per cento del suo bilancio: il resto va in spese generali (20 per cento) e per le masse, quelle che noi abbiamo chiamato simbolicamente comparse. Il giro degli indebitamenti e degl'interessi è giunto al punto di rottura. Le banche non pagano, lo Stato vuole le tasse, i dipendenti vogliono gli stipendi, i concertisti vogliono che si rispettino i conbratti, il consiglio di amministrazione vorrebbe chiudere e mandare tutti a casa. Ormai le orchestre suonano solo per le banche, ha detto Andreotti in un aforisma giustamente celebre presso le Sovrintendenze. Che fare? « Se vendessimo i biglietti ad un prezzo remunerativo, dice Giuseppe Pugliese, critico e capo ufficio stampa della Fenice, a teatro potrebbe venire solo il conte Cini ». Ma Venezia può rinunciare alla Fenice? Il solo pensiero turba e adira comprensibilmente Pugliese. « Ci siamo guadagnati la fama di miglior teatro lirico del mondo, abbiamo stagioni invidiabili, i giovani affollano la sala. Un inverno a Venezia senza La Fenice sarebbe il più duro e terribile deserto culturale ». Pugliese ha un piano: « Creare il teatro di Stato, -1 togliere il passaporto ai can¬ tanti italiani, obbligarli a lavorare in patria, fare una gestione unica con scuole e centri professionali ». Una specie di riforma sanitaria della lirica, ma intanto nell'atrio della Fenice i coristi discutono a voce altissima, mettendo a profitto il do di petto. Hanno tutte le ragioni, vogliono gli stipendi e che il teatro non chiuda i battenti, pretendono che si riconosca il loro ruolo di produttori di cultura. Ma chi lo spiegherà alla gente? I gondolieri hanno innalzato al traghetto di Santa Maria del Giglio uno striscione che dice: « Salvare Venezia vuol dire garantire il lavoro ai veneziani ». E' una spiegazione chiara, anche se con qualche complicazione turistico-corporativa per quel che riguarda i rematori. «Noi ci battiamo contro gli abusivi, contro il moto ondoso provocato dai motoscafi, per la serietà della professione », conferma il gondoliere Giuseppe Fasan, capo dell'agitazione, giunta alla soglia dello sciopero. I clienti dei traghetti si spaventano davanti alle onde, rinunciano spesso alla comodità dei passaggi. Sono lontani i tempi dello studioso cinquecentesco Tommaso Garzoni, il quale osservava che «nelle gondole vai quieto, riposato, sicuro, solo e accompagnato, e puoi cantare, ridere per quanto ti aggrada, che mai non ti rincresce se non quando sei presso il traghetto die i bezzi ti dimandano ». Il capo dei traghettatori cede a un sincero sconforto: « L'unico aiuto che le autorità ci danno è di consentirci di essere ladri. I gondolieri da nolo, i più favoriti nella categoria, contrattano liberamente con i turisti le tariffe ». Fasan non sarebbe contrario al prezzo fisso, ma vuole che la categoria sia municipalizzata, e goda i benefici degli impiegati comunali. Ricorda le parole di Goldoni nella Putta onorata: « Nualtri servitori de barca formemo un corpo de zente che no se trova in nissun altro paese del mondo ». Può darsi che, tra i lavoratori di Venezia, i gondolieri siano le comparse meno importanti e più fragili, ma ci chiediamo che duro colpo per la storia e per i luoghi comuni sarebbe la sparizione delle gondole dai canali lagunari. Stefano Reggiani