Tra arcivescovo e preti del no più acuto il dissidio a Potenza di Luciano Curino

Tra arcivescovo e preti del no più acuto il dissidio a Potenza Allontanati alcuni parroci e insegnanti di religione Tra arcivescovo e preti del no più acuto il dissidio a Potenza Pure smentendo le "punizioni", le autorità religiose denunciano "l'opera diseducativa di alcuni sacerdoti" I cattolici del dissenso hanno reagito alla "inquisizione potentina" occupando, martedì scorso, la cattedrale Molti di loro attribuiscono i provvedimenti repressivi a motivi politici - Spesso vana la ricerca d'un dialogo (Dal nostro inviato speciale) Potenzu, 5 settembre. Nel referendum del 12 maggio, ottanta dei cento Comuni del Potentino hanno volalo «si». I «sì» della provincia di Potenza sono stati il 54,8%. ma sarebbero stati di più senza la propaganda dei cattolici del dissenso e lo zelo di una pattuglia di sacerdoti. Ora questi preti affermano che l'arcivescovo Aurelio Sorrentino ha preso occasione dal referendum per iniziare un'jzione di repressione contro i sacerdoti del « no ». La curia di Potenza risponde: « Questo è falso, anche se il referendum ha maggiormente evidenziato ed acutizzato elementi di crisi, già esistenti nella Chiesa. Da mollo tempo l'arcivescovo Sorrentino andava svolgendo un'opera di chiarificazione e denunciava l'opera diseducativa di alcuni sacerdoti del dissenso ». Vendette" Comunque le punizioni, eadendo dopo il 12 maggio, hanno il sapore di «vendette» postreferendum. II primo ad essere colpito è stato il viceparroco di Ruvo del Monte, don Gugliotta, che è stato estromesso dall'incarico. Il canonico del duomo, don Ruggieri, è sialo privato dell'incarico di pastore di due frazioni contadine. L'offensiva ha colpito il parroco e il viceparroco della parrocchia San Michele di Potenza, padre Mariano e padre Pellegrino, francescani, dichiarati « indesiderabili » nella diocesi. Infine, al laico prof. Prinzi è stato re- vocato l'incarico dell'insegnamento di religione in una scuola media. A questo punto i cattolici del dissenso reagiscono all'* inquisizione potentina » in modo clamoroso. Martedì della scorsa settimana occupano la cattedrale. Definiscono l'azione «giornata di preghiera e di digiuno», in realtà è una vera occupazio¬ ne, sebbene pacifica e senza incidenti. Potenza, che ha grande tradizione religiosa, resta esterrefatta: si può dunque occupare una chiesa? Per l'arcivescovo si tratta di « doloroso episodio ». La curia lenta di minimizzare facendo notare che « nonostante l'appello rivolto a tutti i cristiani di Potenza, largameli- te diffuso, perché si dessero convegno in cattedrale per unii azione di protesta, i partecipanti all'occupazione sono stati un centinaio di persone, compresi ragazzi e giovani venuti da altri paesi, pare, anche da altre regioni ». Rispondono i promotori della manifestazione: «Anzitutto eravamo più di 150. Ma anche cento è già un successo. Non molto tempo fa non esistevamo. Prima del referendum una azione come questa sarebbe probabilmente fallita. Alcuni sono venuti da altri paesi? Bene: questo significa che il fenomeno è a livello regionale, che le comunità di base si sono diffuse e continuano a diffondersi ». In curia mi danno questi dati: tre dei sessanta sacerdoti della diocesi di Potenza sono attivi nelle comunità di base. Nella diocesi di Muro Lucano sono due su ventisette. I preti del dissenso fanno invece un lungo elenco. Vi sono comunità di baso a Lauria, Lavello, Montcscaglioso, Latronico, Rivcllo, Avigliano. Terranova, Muro Lucano, Ruvo del Monte. Ve ne sono quattro: nella parrocchia di Sant'Anna, di San Giuseppe, di San Michele, di San Giovanni Evangelista. Repressione Chi mi dà queste informazioni è don Giuseppe Noie, che regge la parrocchia San Giuseppe del rione Lucania. Con lui ci sono padre Pellegrino, il parroco di San Michele, e don Franco Corbo, viceparroco di Sant'Anna. E' notte, siamo nella casa di don Poppino Noie, fra grandi cartelloni disegnati allegramente dai ragazzi della comunità e vi è caricaturato un signor Sorrentino che ripete nelle nuvolette del fumetto: «Io sono il vescovo, io sono il vescovo... ». Me li indica don Poppino: «Non contestiamo l'autorità del vescovo, ci crediamo. Però che il vescovo non sia staccato dalla realtà, sia attento ai segni dei tempi. Invece Sorrentino è un burocrate. Noi abbiamo un capitale di idee nuove, che lui non accetta, non vuole nemmeno conoscere. E' conformista, non prende posizione decisa». Ma su questo punto non lutti sono d'accordo, anche fra gli slessi cattolici del dissenso molli ammettono l'opera dell'arcive¬ scovo nel denunciare apertamente situazioni di arretratezza e di patente ingiustizia, nel reclamare decisi interventi a favore delle Regioni, e più volte ha lamentato «un'emigrazione massiccia, non guidala, abbandonata a se stessa, anzi lasciata all'arbitrio del capitalismo del Nord, per il quale il profitto era ed è lo scopo primario, mentre l'uomo è un semplice strumento della produzione». Quest'opera gli viene riconosciuta, ma si insiste anche sul suo autoritarismo. Dicono: «Se avesse avuto anche solo l'ombra del dubbio che noi fossimo fuori della Chiesa, gl'incombeva l'obbligo gravissimo di venire a trovarci per parlarci e salvarci. Invece aspetta che siamo noi ad andare a ossequiarlo, a visitarlo, a cercarlo». Dice don Poppino Noie: «Il vescovo dovrebbe venire più spesso tra di noi, perché la realtà delia povera gente fa riscoprire il Vangelo». I suoi parrocchiani sono per lo più povera gente. Il rione Lucania è sorto otto anni fa (all'inizio era covo di malavita e prostituzione) e ancora sta crescendo, il 95 per conio delle case sono edilizia popolare. Don Poppino ricorda: «Quando sono arrivato, cinque anni fa, questo era un rione-ghetto, senza servizi sociali, culturali, senza nulla che renda sopportabile la vita. Venivo dalla curia romana, dove ero vissuto tra cardinali e monsignori, e mi sono trovato tra disoccupati e sottoccupati, senza speranza né sorrisi. Il mio vero seminario è stato il rione. Ho imparato che il problema principale era creare le condizioni umane necessarie perché il messaggio di Cristo potesse essere recepito». Dice: «Senza cultura non c'è uomo e se non c'è l'uomo non ci può essere cristiano». Si è battuto finché ha ottenuto per il rione Lucania una scuola media. Ha istituito un doposcuola serale per operai, una scuola materna gestita dai membri del comitato di base, parchi Robinson, ha mobilitato i giovani per costruire una strada che rompesse l'isolamento del quartiere («Invademmo anche qualche proprietà privata, ma tutto finì bene»). Indisse assemblee di quartiere dove venivano dibattuti i problemi più vari, dalle fognature alla scuola. Dice: «Partecipare alla vita di questa gente, solidarizzare con loro porta talvolta a rompere con la gerarchia e anche con il potere politico. Alle elezioni del 70 rifiutai di fare da galoppino per chiunque. Un candidato, meravigliatosi del mio atteggiamento, disse: "E' la prima volta che a Potenza un prete rifiuta di collaborare con la democrazia cristiana"». Interviene don Corbi: «Non vogliamo strumentalizzare nessuno né essere strumentalizzati. Un'altra cosa mi preme dire: operiamo in campo sociale e culturale, ma siamo soprattutto sacerdoti. Quindi: preghiera, Bibbia, eucaristia. Teniamo campi di formazione religiosa, cerchiamo un eremo per ritiri spirituali». Continua don Peppino: «Non è facile qui essere contro il potere, che esercita pressioni su chi è più facilmente influenzabile -j manovrabile. Si ricatta il giovane della comunità di buse in cerca di lavoro: "Se continui a frequentare quel prete il posto non lo avrai'. E così arriva il brutto giorno che quel giovane mi dice: "Don Peppino, mi dispiace, ma io non posso più venire in comunità"». A quest'accusa la curia risponde: «Le cosiddette comunità di base, seguendo una ben nota linea ideologica, hanno chiesto appoggio ai sindacali e ai partiti politici. L'invilo è stato accolto con speciale favore dalle forze di sinistra». Dice don Peppino: «Naturalmente il referendum per noi, oltre che una scelta di libertà civile, è stato anche una scelta politica: no al fascismo. In parrocchia non ho fi Ito propaganda diretta, ho esortato tutti a sentirsi liberi e a votare secondo coscienza. Nel rione il no ha vinto con 200 voti in più. Non ci speravo. Quando ho conosciuto il risultato, sono stato fiero di essere parroco del rione Lucania». Conformista «Lei però, don Peppino, non ha avuto noie per il suo dissenso». Potrebbero venire, non è detto che la repressione sia finita. Afferma don Peppino: «Ho detto al vescovo che accetto qualsiasi provvedimento, anche il più grave, ma preso nella comunità e che la comunità conosca bene i termini della questione». Conclude: «Ma non c'è solo il referendum. I provvedimenti repressivi derivano anche dall'impegno che noi sacerdoti del dissenso esercitiamo per liberare la Chiesa locale da gravi compromessi con la classe politica e dirigente e per annunciare il Vangelo di liberazione che nella situazione concreta realizza un'opera di evangelizzazione, di testimonianze tese alla redenzione religiosa, sociale, ed economica delle masse povere della regione». La curia risponde: «Senza il vescovo, o peggio, contro il vescovo, non vi è e non vi può essere vera Chiesa. Nella Chiesa c'è posto per tutti, anche per un sano pluralismo, che non sia però individualistica libertà e disordinata affermazione di opinioni personali, che mirano a spezzare quella comunione che è l'esistenza stessa della Chiesa». Dal rione Lucania alla curia vi sono in linea d'aria poche centinaia di metri. Ma è come se fossero separati da anni luce. Luciano Curino Roma. Celati per i giovani preti a passeggio nei giardini del Pincio (foto Team)