La Scala puntuale con i balletti

La Scala puntuale con i balletti Successo della prima serata, fra novità e tradizione La Scala puntuale con i balletti "Lo specchio a tre luci" di Mortari, con la Savignano angelo-demonio - Applausi per la Cosi e Bortoluzzi (Dal nostro inviato speciale) Milano, 3 settembre. Bene, si ricomincia. Anche se quest'anno la sosta è stata breve, sino a pochi giorni fa ancora si danzava sulle piazze, nelle arene, sui laghi, un briciolo d'emozione lo dà sempre il dischiudersi lento e solenne del sipario sul grande palcoscenico della Scala, puntualissima come suole all'appuntamento col balletto: un palcoscenico che ieri sera sembrava ancora più grande nella sua nudità bagnata da una luce bianchissima che stagliava i contorni delle due figurette in calzamaglia alle quali toccava di disegnare le prime nitide geometrie del balletto di Balanchìne «I quattro temperamenti» sulla musica, altrettanto nitida e geometrica, di Hindemith. Una serata tradizionale, anche troppo con quei quattro «pezzi» abbastanza dissimili l'uno dall'altro quasi ad accontentare tutti i gusti. E ■nemmeno mancava, concessione al divismo, un tradizionalissimo « pas de deux »: la scena del balcone da Romeo e Giulietta di Prokofiev con un Roberto Fascilla sicurissimo, ma forse troppo impetuoso nell'incontro con la tenerezza, a volte anch'essa tuttavia un po' brusca, nella quale Liliana Cosi scioglie la sua formida¬ bile tecnica. Ma, a ravvivare un interesse un po' languido, uno dei quattro brani era una novità, addirittura una prima assoluta: «Specchio a tre luci» di Virgilio Mortari. Ci si lamenta talvolta che, mentre i ballerini abbondano, scarseggino i musicisti e i coreografi: i nostri compositori, si dice, non scrivono più per il balletto che oggi è in cerca di nuove musiche e di nuove idee. Ed è vero, ma ecco due onorevolissime eccezioni: Virgilio Mortari che a 72 anni mette al servizio della danza — alla quale s'era accostato, prima d'ora, una sola volta e quasi trent'anni fa — la sua esperienza, e sapienza, di compositore; e Mario Pistoni che non ha esitato ad assumersi l'arduo (o impossibile?) compito di trasportare concetti e simboli in movimenti e figure. Perché questo è l'intoppo di « Spechio a tre luci »: lo smarrirsi in un discorso vago non meno che ambizioso sulla storia recente dell'uomo e dell'umanità che, dalle rovine della guerra, cerca di costruire una nuova vita ed è insidiato, forse sopraffatto, dalla Vanità, dal Potere e dal Denaro che un'enigmatica figura incarna di volta in volta per poi assumere i volti della Bellezza e dell'Amore in un fina¬ le che apre uno spiraglio, appena un barlume, di salvezza. Non si discute la qualità di una musica, alla quale se mai si potrebbe rimproverare un ossequio alla tradizione inadatto alle nuove esigenze della danza, ma l'intento irrealizzato di raccontare con essa tutto questo e altro come la presenza ineliminabile del Dolore nel travaglio dell'umanità, anche se proprio questa presenza suggerisce al compositore toccanti accenni di serena disperazione. Inevitabilmente, anche la coreografia è un po' travolta dall'affanno di spiegare tutto. Ma Pistoni è riuscito, come il musicista del resto, a isolare in plastica evidenza il tema del dolore, o meglio della fatica di una vita intesa come condanna e che il coreografo, ispirandosi palesemente alla grande pittura toscana, addossa come simbolico fardello sulle spalle e sui torsi nudi dei danzatori. E questo senso di angoscia e di maledizione è finemente sottolineato dall'originale scenografia di Mariano Mercuri con un gigantesco tunnel di legno che ingoia e vomita, comprime e stritola la dolente umanità che lo percorre. Il balletto ha avuto un eccellente esito, con molte chiamate per tutti gli interpreti. per l'autore e per il maestro Pier Luigi Urbini che l'ha diretto con la consueta perizia. Ma gran parte del merito, oltre alla coreografia di Pistoni che ha anche reso con bella intensità la sofferenza dell'emblematico protagonista, spetta a Luciana Savignano che la guaina serpentesca nella quale era avvolta e i lunghi capelli che a un certo punto si è sciolti sulle spalle facevano ancora più sinuosa e flessuosa, se possibile, nei passi quasi acrobatici del suo personaggio di angelo-demonio. Ma anche «I quattro temperamenti» nanno avuto impeccabili interpreti in Fiorella Cova e Vera Colombo, in Luigi Sironi, Bruno Telloli, Giancarlo Morganti, Alfredo Caporali e in tutto il corpo di ballo. Per tacere di Paolo Bortoluzzi che ha concluso trionfalmente la serata riproponendo la versione bejartiana del l'« Uccello di fuoco » di Stravinskij, affidata nel marzo scorso a Jorge Donn: vuoi per la straordinaria bravura del ballerino, vuoi per lo splendore di stile (e anche l'anelito comunitario) di questo ardito balletto, il fatto è che si esce dalla Scala con la sensazione di avere ritrovato, già al primo incontro, il piacere sottile della danza. Alberto Blandi

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