Il caso Kissinger di Alberto Ronchey

Il caso Kissinger DOPO LA CRISI DI CIPRO Il caso Kissinger (Dal nostro invialo speciale) Washington, agosto. All'aeroporto di Mosci, nell'attesa che fosse posto riparo a un guasto di motori, Kissinger domandò a Podgorny se conoscesse la «. legge della perversità degli oggetti ». « No », rispose perplesso il Presidente del Presidium del Soviet Supremo. « Bene », spiegò Kissinger, « se voi lasciate cadere una fetta di pane imburrata sopra un tappeto nuovo, le probabilità che cada dalla parte del burro sono direttamente proporzionali al costo del tappeto ». Podgorny appariva confuso e assorto. Di fronte all'atonia della sua larga faccia contadina, Kissinger giudicò che doveva offrire un secondo esempio. « Se vi cade una moneta sul pavimento », spiegò fissando Podgorny dritto negli occhi, « le probabilità che rotoli lontano da voi, anziché verso di voi, sono direttamente proporzionali al valore della moneta». Podgorny appariva sempre assorto in una vacua indifferenza. Ma dopo una misura di silenzio, finalmente si scosse. « Quando lascio cadere monete », disse, « rotolano verso di me ». Da quei giorni del maggio 1972, l'epoca della « Carta di Mosca », gli eventi hanno provato come l'assorto Podgorny avesse ragione. Le monete rotolano verso di loro. Kissinger può meditare sulla « maledizione insita nelle cose in generale ». Dal 1969 al 73, Kissinger ha compiuto un'opera notevole. L'apertura alla Cina, l'uso calcolato di tale impresa per moderare l'Urss, l'arduo negoziato vietnamita concluso a gennaio del 73. Ma poi d'un colpo la guerra arabo-israeliana del Yom Kippur ha sconvolto l'intero assetto internazionale, con l'embargo del petrolio e l'ascesa dei prezzi, l'inflazione occidentale « intrattabile », i vantaggi inattesi per l'economia e la diplomazia dell'Urss. In seguito, Kissinger ha compiuto ancora un'opera notevole. La conferenza di Washington, la smobilitazione lungo il Canale di Suez, il recupero diplomatico dell'Egitto di Sadat, la mediazione tra Siria e Israele. Ma ora la crisi greco-turca per Cipro sconvolge il fronte Sud-Est del Mediterraneo, offre inattese occasioni all'Urss nell'Egeo, suscita nuove ondate antiamericane, dall'assassinio dell' ambasciatore Davies all'odio e ai tumulti di Atene, alle invettive stile Duverger su Le Monde. ★ * Quando Kissinger negoziava tra cinesi, vietnamiti e sovietici, trascurava le variabili conflittuali del Medio Oriente. Ma poi, negoziando sul Medio Oriente, trascurava l'incognita conflittuale greco-turca. Nell'ansia di seguire un disegno, negligeva gli ostacoli laterali. Forse c'è in Kissinger l'ambizione un po' astratta, razionalistica, metternichiana, di ridurre gli eventi e i disparati fattori di crisi del mondo in un solo processo, che possa essere afferrato dalla mente, previsto e regolato secondo un ordine. Dopo il colpo di Stato del 15 luglio a Cipro, rimane inspiegabile come abbia potuto accettare il rovesciamento di Makarios, anche se inaccurate sono le notizie che la Citi ne fosse avvertita. Eppure Cipro era fra le incognite-cognite della composita crisi mediterranea, che va dal Medio Oriente alla Jugoslavia, da Tripoli a Malta, dall'Italia alla Spagna. Era manifesto da dieci anni almeno, dall'epoca delle prime stragi greco-turche di Cipro, che l'ambiguo Etnarca governante in un bagno di sacralità scongiurava malgrado tutto un bagno di sangue. Makarios impediva l'esplosione del « macigno staccato dall' Anatolia », fra i partigiani deU'enosis, l'unione alla Grecia in nome della maggioranza etnica, e i turchi partigiani della spartizione in nome dei diritti minoritari, non meno che delle ragioni geopolitiche. Da dieci anni l'Urss contemplava la vistosa « contraddizione » di Cipro, che sarebbe esplosa scavando una breccia in Grecia o in Turchia. Ora questo è accaduto, e fra tale « incidente della Nato », le difficoltà del negoziato russo-americano Sali II e un intricato contenzioso europeo, pare volgere alla fine quel periodo creativo della politica estera di Kissinger, che è stato possibile « parte per fortuna e circostanze, parte per disegno». Kissinger, già capace di conciliare l'uso della forza con la flessibilità della diplomazia, sembra aver smarrito la chiave del suo ebarming hierogliphic. Il complesso dei suoi arcani disegni non affascina più come prima, è oggetto di analisi. Per ora la Vice Presidenza Rockefellcr è anche una base politica per Kissinger. Lo stesso Gerald Ford è da tempo un suo ascoltatore, sia vero o no che di politica estera « ne sa quanto una farfalla ». Ma è controverso che cosa possa fare ancora Kissinger, fino al giorno in cui cederà il rango ministeriale che fu di Jefferson e Webster, Achcson e Foster Dulles. L'ipotesi è che Henry Kissinger sia esausto fra le difficolta, senza la prospettiva d'un nuovo ciclo di successi. Al bilancio del più celebrato e controverso diplomatico del nostro tempo è dedicata già una letteratura, da Kissinger: The Uses of Power, di David Landau, a Kissinger: Porlrail of a Mind, di Stephen Graubard, fino al compendio cronistorico di Marvin e Bernard Kalb, che s'intitola solo Kissinger. A un'attenta lettura, si scopre che Kissinger ha detto sempre le stesse cose, prima in Harvard, quando emerse fra una schiera di precettori politici come McGeorge Bundy, Stanley Iloffmann, Adam Yarmolinsky, Richard Neustadt, Thomas Shelling, e poi a Washington. Una simmetria notevole è apparsa finora tra l'enunciazione dei problemi, nei vent'anni accademici di monografie, analisi, seminari, e l'impresa diplomatica d'affrontare i problemi, nei cinque anni di missioni come consigliere della Casa Bianca o come ministro. Nel saggio Nttclear Weupons and Foreign Polìcy, del '57, affrontava già la questione del rapporto tra potenza nucleare ultimativa e circostanze elusive della politica. George Kennan e Dean Acheson ne disputarono a lungo, avanzando dubbi sull'attitudine dei dirigenti sovietici a « trattare razionalmente » una minaccia nucleare, limitata o totale. « Ragionano come noi? ». Sì, l'esperienza ha provato che in parte ragionavano allo stesso modo, in parte Kissinger li ha persuasi a usare la stessa logica. E' accaduto sul Vietnam, sul Medio Oriente, sul negoziato Sali I per la limitazione dei missili nucleari. Invece il Sali II è più arduo, coinvolgendo le armi più complesse, i Miro a testata multipla, e ora accade che siano le tendenze riluttanti alle limitazioni di potenza a usare la stessa logica, dall'una e dall'altra parte. Durante il Vertice di luglio 74 a Mosca, Kissinger denunciò tale fenomeno: « Ambedue le parti — osservò — devono persuadere i loro apparati militari sui vantaggi delle limitazioni ». Anche l'America, disse, deve domandarsi « che cosa in nome di Dio significa una superiorità strategica, dal punto di vista politico, militare, operativo, fra un così gran numero di missili e ogive nucleari ». Alludeva ai timori, espressi in Senato da Henry Jackson e nello stesso governo dal ministro James Schlesinger, che si concedesse troppo all'Urss. Invece la più celebre dissertazione di Kissinger, A World Restored: Metternich, Castlereagb and the Problems of Peace 1812-1822, apparsa nel '57, poneva la questione della stabilità internazionale, d'un « sistema di legittimità », ossia d'un equilibrio non contestato da nessuna delle potenze maggiori. Sebbene Kissinger abbia definito cbildish, infantile, ogni eccessivo paragone tra l'era post-napoleonica e quella post-staliniana, rimane che nessuno mai studia il passato senza pensare al presente. Infatti un'edizione nuova del saggio, nel '64, adottava il sottotitolo più attuale The Polilics of Conservatisi/.' in a Revolutionary Age. Quel che Kissinger ha tentato in seguito è stato per l'appunto un empirico « sistema di legittimità », che potesse attrarre anche la Cina fuori dall'isolamento rivoluzionario, e anzi potesse utilizzarla come fattore d'equilibrio rispetto alla potenza continentale sovietica. Nel momento in cui tentava questo, le condizioni erano favorevoli. L'Urss e la Cina era¬ no più ostili tra loro che verso gli Stati Uniti. Tale dissidio aveva indotto l'Urss a mitigare la sua politica di confronto con l'Occidente, e la Cina a riesaminare la sua politica d'altero isolamento. A sua volta l'America, dopo il Vietnam, cessava di considerare se stessa come « il poliziotto del mondo ». Anche sulla questione vietnamita, è evidente una simmetria fra l'analisi storico-politica e la pratica della diplomazia. Un rapporto di Kissinger sul possibile disimpegno dal Vietnam, divenuto nel '68 il « piano Rockefellcr », fu all'origine del negoziato segreto condotto per 30 mesi a Parigi con Le Due Tho. Il solo studio senza un seguito politico fu The Troitbled Partnership: A Rcappraisal of the Atlantic Alliance, del '65. Nel 73, quando Kissinger s'è rivolto all'Europa dopo l'incubo vietnamita, le condizioni erano mutate. Esistevano problemi nuovi, anzitutto economici e monetari, fra le ondate di eurodollari, le fluttuazioni e svalutazioni, la crisi energetica e l'inflazione intrattabile. Tali materie, estranee all'esperienza e alla vocazione di Kissinger, non erano propizie alla showmanship, alla personalizzazione del dialogo e alle stupefacenti scorciatoie della diplomazia segreta. Lo storico Stanley Hoffmann iscrive senza mezzi termini nel passivo di Kissinger il neglect of economie relations e il mismanagement of Western Europe and Japan. La stessa proposta d'una nuova Carta Atlantica è apparsa un espediente, o un diversivo retorico. Una cerimonia solenne può ancora lusingare Sadat, non Giscard d'Estaing. ★ ★ Ora il problema non è: «Può funzionare Kissinger senza Nixon?». E' l'esame dell'opera di Kissinger che non lascia prevedere quanto egli possa fare di più, fra le crisi irrisolte e le crisi nuove. Sembra evidente, invece, che il disegno seguito finora fu suo, non di Nixon. E' confutabile anche il luogo comune che Nixon, nel '69, abbia assunto Kissinger sulla base di complesse intuizioni. Kissinger, in verità, fu chiamato alla Casa Bianca perché era il solo analista politico di prestigio che non fosse un democratico. « Dopo tutto — osservò allora l'amico Sonnenfeldt — sei il solo repubblicano con adeguate credenziali accademiche ». La stessa promozione di Kissinger alla Segreteria di Stato non aveva gran significato per Nixon, fedele al detto: « Il Segretario di Stato non è davvero importante ». A sua volta Kissinger, personalmente remoto da Nixon, accolse l'invito perché attratto dal potere come « un seminario eccezionale », una lezione di government che Harvard non avrebbe mai potuto imitare. Alberto Ronchey Kissinger, di Levine (Copyright N.Y. RcVicw or Rooks. Opera Mundi c per l'Italia La Stampa)