La vita è uno sgambetto

La vita è uno sgambetto ALDO PALAZZESCHI IN UN* OPERETTA MINORE La vita è uno sgambetto "Scherzi di gioventù" esprime con allegrezza il senso della memoria - L'abilità di risolvere il serio in buffo ed il buffo in serio - L'uomo nasce già vestito di "mantelli e mantellini, sciarpe, coccarde e fiocchi", difficile è poi spogliarsi «La luna mi sembra un mondo polmonare. Il sole un mondo cuor ale. La terra un mondo., intestinale ». Anche un sordo sente subilo Palazzeschi, la sua inconfondibile battuta di artista spontaneo c perciò necessario. In morie del poeta, consiglieremmo di riprendere quella delle sue opercltc minori — Scherzi di gioventù (Ricciardi, 1956) — che esprime con più .allegrezza il senso, per sé dolcnlc, della memoria. Sono appunto scherzi, migae, prosette slegate del primo e più ripido Palazzeschi, quello che s'intinse, ma a modo suo, dell'esperienza futuristica. Cui va innanzi una prefazione che è essa stessa un componimento giocoso {«non avrei mai pensato di scrivere per un mio libro la prefazione: ma prima di morire bisogna provarle tutte»): dove l'Autore spiega perché ha licenziato, senza mutarvi sillaba, scritti nei quali si rivedeva piccolo e lontano come dalle lenti di un cannocchiale capovolto. Pagine acerbe Perché insomma lo scritto per cui è passato uno scrittore, non si cancella; che è ragione vera non meno in arte che in morale, e verissima poi quanto alla propria arte di lui. Palazzeschi infatti, come ogni artista vero, si era fatto grande sopra una pianella; e quantunque con gli anni, dopo le iniziali fumisterie che la cri¬ tica decadentistica tenacemente rimpianse, il suo umorismo avesse pian piano ritrovato la via di casa (Giusti Collodi Yorick), con qualche proficua incursione (parte dei Cuccoli e Roma) nella giulleria mistica, j l'humus palazzeschiano era rimasto sempre quello; e chi rilegge queste paginette acerbe, vi ritrova in germe e non di rado in foglia tutto Palazzeschi: la natura d'uomo felpato e adunco, dolce fino al punto d'arresto della malizia; la gioia profana che lo mette in filo col Boccaccio; l'abilità di risolvere il serio in buffo e il buffo in : serio o di lasciarli a un'alleanza impossibile, magicamente giustapposti; gli estri e le scap- i paté d'una scrittura che aliena- ! la dalla sintassi, reggentesi per ' linee interne, dà l'impressione di non voltarsi mai indietro e la tentazione di rifalla (ma a toccarla appena, si svuota istanlaneamcntc di senso e di ritmo), e altre cose ancora per cui il più importante se non l'unico Aldo della nostra letteratura, è anche dei moderni lo scrittore che meno somiglia a nessun altro; insieme con Svevo, in vita tanto meno fortunato di lui, il più veramente originale. Il libriccino è diviso in tre parti. La prima è di «lazzi frizzi schizzi girigogoli e ghiribizzi»: una scatolina di pulci ammaestrate a pizzicarvi non si sa bene dove: cosette avanzate all'officina dell'Incendiario, che dall'orlo dell'idiozia si ripiglia¬ no per misteriose tangenti (Palazzeschi non dà mai, o di rado, la freddura rotonda e comunicabile; il suo humour è radicale.) Qui si può rileggere a caso e a salto, appunto pulecscamente. «La cosa più difficile alla quale possa un uomo arrivare è '. bararsi di miti i cenci, vestili e vestitini, mantelli e mantellini, sciarpe coccarde fiocchi, gale nappetle a nastri, di cui gli altri lo avranno abbellito e coperto da quando era uovo nell'uovo dell'uovo... Curiosa faccenda, non è vero? Come si nasce vestiti. Parrebbe tutto il contrario. E che po' po' di lavoro, per quelli che ci riescono, potersi un pochino con grandissimo scandalo spogliare.» (Dove è già tutlo Palazzeschi nella sua nuda allegria.) Il paradosso O saranno epigrammi («anche in un fazzoletto da naso può esserci un firmamento, busta sapercelo vedere ») e bozzetti al fulmicotone, che nella fiorentinità non mai stenlerellesca, fanno pensare a un Collodi affilatosi ai poètes maudits. La seconda, «Equilibrio», è una cicalata sul gusto di quelle della Piramide, da leggersi di seguito e d'un fiato. Posto che la creazione è «un gioco di bussolotti» e che si nasce soltanto «per vivere»; rimanere nel punto dove vi hanno messo, al centro del cerchio, è la cosa più intelligente di tutte. Ma è anche la più difficile, perché sin da quando v'insegnano a pigliare la poppa materna con la mano destra, una forza ve ne vuole scostate e incamminarvi, su per il raggio, fino alla circonferenza. Rimanete al centro: non siale sentimentali perché una volta sentimentali, e nemmeno cinici perché una volta cinici. Piangete pure fino a sera sulla crudele uccisione di Abele, a patto che dopo cena facciate un brindisi a Caino. Prendersi il gusto di essere una volta un uomo e un'altra un altro: «Lei ha un caràttere? Che bravo, io ne ho due, tre, quattro, otto, sedici, trentadue, cento! E coma punto di partenza nessuno.» Qui è un Palazzeschi che si diverte a fare confusione morale, e per paradossi sprigiona umori e impassibilità di futuro romanziere. Ma la terza, «L'anlidolore», è la più divertente e «attuale» di tutte; e dispiacque che l'Autore, discorrendone nella prefazione, fosse stato così succinto. Perché contiene il «manifesto futurista» che il giovane Aldo stese e portò al giudizio del generale del Movimento, Marinetti, che pur trovandovi parecchie scorie passatistiche (e il titolo voleva mutato in «Controdolore»), in complesso rise, cioè lodò. 11 componimento è una polifonia alla gioia, come dovere imperativo dell'uomo. Si comincia da una nuova idea del Padreterno: « perché questo spirilo supremo dovrebbe essere la perfezione della serietà e non dell'allegria? Secondo me, fra le sue labbra divine si accentra l'universo in un'eterna, motrice, tutelare risata.» Quindi si danno precelti per conformarsi a tanto esempio; e poiché l'esemplificazione è il forte di questo grande burlesco che per un avanzo di molla sempre ricomincia dond'è giunto più stanco, hai un'irresistibile nuova veduta del mondo, dove gli ospedali sono labarins, i funerali cortei mascherati, i cimiteri hma-parks, gli istituti di bellezza istituti di laidezza e schifo; dove alla vecchiaia si va incontro allegramente, anticipandola, le rose fresche stanno in cucina e le fradicie in salotto, la beghina accarezza la cocotte c la cocotte la beghina; dove finalmente la norma è il riso e non altro l'esistenza dell'uomo che «una serie di sgambetti dalla mattina alla sera». Racconta Palazzeschi, come fosse niente, che da tale «manifesto» fu tratto a suo tempo un cortometraggio, alla cui proiezione il pubblico, invece d'inveire, si torceva sopra le sedie per la violenza delle risate. L'onda comica di queste paginette celebranti a modo loro la coincidentia oppositorum, ce lo fa credere facilmente; e a disperdere almeno per una sera la noia dei fuoriprogramma cinematografici, bisognerebbe ritrovare quella «pizza». Leo Pestelli La vita è uno sgambetto ALDO PALAZZESCHI IN UN* OPERETTA MINORE La vita è uno sgambetto "Scherzi di gioventù" esprime con allegrezza il senso della memoria - L'abilità di risolvere il serio in buffo ed il buffo in serio - L'uomo nasce già vestito di "mantelli e mantellini, sciarpe, coccarde e fiocchi", difficile è poi spogliarsi «La luna mi sembra un mondo polmonare. Il sole un mondo cuor ale. La terra un mondo., intestinale ». Anche un sordo sente subilo Palazzeschi, la sua inconfondibile battuta di artista spontaneo c perciò necessario. In morie del poeta, consiglieremmo di riprendere quella delle sue opercltc minori — Scherzi di gioventù (Ricciardi, 1956) — che esprime con più .allegrezza il senso, per sé dolcnlc, della memoria. Sono appunto scherzi, migae, prosette slegate del primo e più ripido Palazzeschi, quello che s'intinse, ma a modo suo, dell'esperienza futuristica. Cui va innanzi una prefazione che è essa stessa un componimento giocoso {«non avrei mai pensato di scrivere per un mio libro la prefazione: ma prima di morire bisogna provarle tutte»): dove l'Autore spiega perché ha licenziato, senza mutarvi sillaba, scritti nei quali si rivedeva piccolo e lontano come dalle lenti di un cannocchiale capovolto. Pagine acerbe Perché insomma lo scritto per cui è passato uno scrittore, non si cancella; che è ragione vera non meno in arte che in morale, e verissima poi quanto alla propria arte di lui. Palazzeschi infatti, come ogni artista vero, si era fatto grande sopra una pianella; e quantunque con gli anni, dopo le iniziali fumisterie che la cri¬ tica decadentistica tenacemente rimpianse, il suo umorismo avesse pian piano ritrovato la via di casa (Giusti Collodi Yorick), con qualche proficua incursione (parte dei Cuccoli e Roma) nella giulleria mistica, j l'humus palazzeschiano era rimasto sempre quello; e chi rilegge queste paginette acerbe, vi ritrova in germe e non di rado in foglia tutto Palazzeschi: la natura d'uomo felpato e adunco, dolce fino al punto d'arresto della malizia; la gioia profana che lo mette in filo col Boccaccio; l'abilità di risolvere il serio in buffo e il buffo in : serio o di lasciarli a un'alleanza impossibile, magicamente giustapposti; gli estri e le scap- i paté d'una scrittura che aliena- ! la dalla sintassi, reggentesi per ' linee interne, dà l'impressione di non voltarsi mai indietro e la tentazione di rifalla (ma a toccarla appena, si svuota istanlaneamcntc di senso e di ritmo), e altre cose ancora per cui il più importante se non l'unico Aldo della nostra letteratura, è anche dei moderni lo scrittore che meno somiglia a nessun altro; insieme con Svevo, in vita tanto meno fortunato di lui, il più veramente originale. Il libriccino è diviso in tre parti. La prima è di «lazzi frizzi schizzi girigogoli e ghiribizzi»: una scatolina di pulci ammaestrate a pizzicarvi non si sa bene dove: cosette avanzate all'officina dell'Incendiario, che dall'orlo dell'idiozia si ripiglia¬ no per misteriose tangenti (Palazzeschi non dà mai, o di rado, la freddura rotonda e comunicabile; il suo humour è radicale.) Qui si può rileggere a caso e a salto, appunto pulecscamente. «La cosa più difficile alla quale possa un uomo arrivare è '. bararsi di miti i cenci, vestili e vestitini, mantelli e mantellini, sciarpe coccarde fiocchi, gale nappetle a nastri, di cui gli altri lo avranno abbellito e coperto da quando era uovo nell'uovo dell'uovo... Curiosa faccenda, non è vero? Come si nasce vestiti. Parrebbe tutto il contrario. E che po' po' di lavoro, per quelli che ci riescono, potersi un pochino con grandissimo scandalo spogliare.» (Dove è già tutlo Palazzeschi nella sua nuda allegria.) Il paradosso O saranno epigrammi («anche in un fazzoletto da naso può esserci un firmamento, busta sapercelo vedere ») e bozzetti al fulmicotone, che nella fiorentinità non mai stenlerellesca, fanno pensare a un Collodi affilatosi ai poètes maudits. La seconda, «Equilibrio», è una cicalata sul gusto di quelle della Piramide, da leggersi di seguito e d'un fiato. Posto che la creazione è «un gioco di bussolotti» e che si nasce soltanto «per vivere»; rimanere nel punto dove vi hanno messo, al centro del cerchio, è la cosa più intelligente di tutte. Ma è anche la più difficile, perché sin da quando v'insegnano a pigliare la poppa materna con la mano destra, una forza ve ne vuole scostate e incamminarvi, su per il raggio, fino alla circonferenza. Rimanete al centro: non siale sentimentali perché una volta sentimentali, e nemmeno cinici perché una volta cinici. Piangete pure fino a sera sulla crudele uccisione di Abele, a patto che dopo cena facciate un brindisi a Caino. Prendersi il gusto di essere una volta un uomo e un'altra un altro: «Lei ha un caràttere? Che bravo, io ne ho due, tre, quattro, otto, sedici, trentadue, cento! E coma punto di partenza nessuno.» Qui è un Palazzeschi che si diverte a fare confusione morale, e per paradossi sprigiona umori e impassibilità di futuro romanziere. Ma la terza, «L'anlidolore», è la più divertente e «attuale» di tutte; e dispiacque che l'Autore, discorrendone nella prefazione, fosse stato così succinto. Perché contiene il «manifesto futurista» che il giovane Aldo stese e portò al giudizio del generale del Movimento, Marinetti, che pur trovandovi parecchie scorie passatistiche (e il titolo voleva mutato in «Controdolore»), in complesso rise, cioè lodò. 11 componimento è una polifonia alla gioia, come dovere imperativo dell'uomo. Si comincia da una nuova idea del Padreterno: « perché questo spirilo supremo dovrebbe essere la perfezione della serietà e non dell'allegria? Secondo me, fra le sue labbra divine si accentra l'universo in un'eterna, motrice, tutelare risata.» Quindi si danno precelti per conformarsi a tanto esempio; e poiché l'esemplificazione è il forte di questo grande burlesco che per un avanzo di molla sempre ricomincia dond'è giunto più stanco, hai un'irresistibile nuova veduta del mondo, dove gli ospedali sono labarins, i funerali cortei mascherati, i cimiteri hma-parks, gli istituti di bellezza istituti di laidezza e schifo; dove alla vecchiaia si va incontro allegramente, anticipandola, le rose fresche stanno in cucina e le fradicie in salotto, la beghina accarezza la cocotte c la cocotte la beghina; dove finalmente la norma è il riso e non altro l'esistenza dell'uomo che «una serie di sgambetti dalla mattina alla sera». Racconta Palazzeschi, come fosse niente, che da tale «manifesto» fu tratto a suo tempo un cortometraggio, alla cui proiezione il pubblico, invece d'inveire, si torceva sopra le sedie per la violenza delle risate. L'onda comica di queste paginette celebranti a modo loro la coincidentia oppositorum, ce lo fa credere facilmente; e a disperdere almeno per una sera la noia dei fuoriprogramma cinematografici, bisognerebbe ritrovare quella «pizza». Leo Pestelli

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