Atene, umiliata ed offesa di Ennio Caretto

Atene, umiliata ed offesa L'INCUBO DI CIPRO DOPO LA LIBERTÀ CONQUISTATA Atene, umiliata ed offesa Studenti e operai meditano ora imprese gloriose in nome di un vago panellenismo dopo "l'insulto patito per mano dei turchi" Fermenti antiamericani: la vignetta di un giornale raffigura soldati Usa nell'atto di piantare a Nicosia la bandiera con la stella e la mezzaluna, si diffonde lo slogan: "Yankee go home" - Adesso i turisti sono pochi, le notti inquiete e dense di interrogativi (Dal nostro inviato speciale) Atene, 18 agosto. Capannelli dì giovani e di vecchi, di studentesse e di massaie discutono in piedi, tra i tavoli e le aiuole di piazza Syntagma, in un'atmosfera emotiva ed eccitante. Sono le tre del mattino, e davanti all'American Express, dall'altra parte della strada, riposano sui marciapiedi e sotto i portici hippies, i turisti in attesa di abbandonare il Paese. Di fronte al Parlamento, accanto agli euzones nei pittoreschi costumi bianchi, neri e azzurri, vegliano i greco-ciprioti, da quarantotto ore in sciopero della fame. Si spengono ad una ad una le scritte luminose sulle facciate dei palazzi, dal Pireo spira la diaccia brezza del mare. La notte è profumata e inquieta, come tutte le notti di Atene da una settimana. La guerra di Cipro ha sconvolto questa città feli¬ ce. L'ho lasciata domenica scorsa vibrante della libertà conquistata, serena nel ricordo del martirio subito. L'ho ritrovata, tre giorni più tardi, tumultuante e ferita, accesa di passioni senza sbocco. Ogni sera, dal settimo piano dell'albergo Grande Bretagne, l'ho sentita fremere, e gridare, tra ali fitte di poliziotti, la sua ira per (d'insulto patito per mano dei turchi». L'ho vista sfilare con cartelli d'accusa all'America e alla Nato, dimentica della vecchia amicizia. M'è parso quasi di violare il pianto più intimo di un popolo nel momento del dolore. Nuovo ideale Dice un canto cretese che per un ideale «si può sacrificare l'intera giovinezza e non averne pena». Oggi questo ideale è Cipro, come negli anni della dittatura lo è stato la democrazia. Stu- denti e operai dichiarano di volersi preparare alla guerriglia sui monti Troodos, dove si rifugiò l'arcivescovo Makarios il giorno del «golpe», meditano imprese gloriose nel nome di un panellenismo più forte delle ideologie, si esaltano al pensiero della lotta contro l'atavico nemico. Spesso divisi, dispersi, anche nella resistenza, dalla vis polemica e dai bizantinismi, ì greci sono tornati all'unità nell'umiliazione e nel pericolo. Atene è sempre vissuta di notte. Impigrita di giorno dal sole accecante, dagli splendidi specchi marini, dalla maestà dei suoi monumenti, si è scossa soltanto al tramonto. Ad ogni crepuscolo, dai rioni popolari di piazza Omonia e dai quartieri ricchi di piazza Kolonaki, lungo la Athinas e la Vassilissis Sofias, una folla immensa è scesa al Plaka, a Microlimano (prima di Cipro, si chiamava Turcolimano), a Glìfada, per mescolarsi ai turisti e danzare al suono del bouzuki. Chi la conosce, sa quanto possa essere bella Atene nelle tenebre, come una donna al primo incontro d'amore. Ma in queste notti inquiete d'agosto, si prova una particolare suggestione. La città vive un'esperienza corale ad un tempo triste ed esaltante. Abolita la censura, i giornali hanno riscoperto il gusto della verità e delle notizie, e nel centro le edicole-cabine, dai caratteristici telefoni rossi, non chiudono neppure per un'ora. Registi e attori reduci dalla famigerata isola-penitenziario di Yaros rappresentano a teatro le satire della deposta dittatura, raffigurando i colonnelli come altrettanti «padrini» della mafia. I negozi hanno esaurito i dischi di Mìkis Theodorakis, proscritti dalla giunta, e andati a ruba appena messi in vendita. Eppure si balla Mancano i turisti, spaventati dalla guerra, e diffidenti della stabilità del governo Karamanlis (quante telefonate di italiani ai nostri consolati), eppure le taverne sono piene, e si balla il sirtaki. Con la mobilitazione generale, più che uomini, mandati nelle caserme e al fronte, si vedono ragazze, fiere, mosse altresì dalla novità del femminismo, inviso ai Papadopulos e ai Joannides, ma importato dall'attrice Melina Mercouri. Mi riferiscono che anch'esse sono state torturate e imprigionate sotto i colonnelli, e lo confermano gli occhi velati di ventenni che non hanno conosciuto l'adolescenza. Per il rientro di Andrea Papandreu dall'esilio, la sera di venerdì 16 agosto, decine di migliaia di persone sono accorse all'aeroporto e lungo l'autostrada che porta al Parlamento. Le automobili recavano rami di ulivo, risuonava l'inno nazionale, la gente applaudiva. Più che un politico, An- drea Papandreu è un tribuno, e la sua presenza ad Atene costituisce un motivo d'apprensione, non di sicurezza. Ma al nome di suo padre sono legate l'età più bella della Grecia in questo dopoguerra, le illusioni di una generazione, le rivendicazioni sociali ed economiche. Mi hanno spiegato che solo l'arrivo di Karamanlis, il 23 luglio, destò maggiori consensi e commozione. Di solito, a ora tarda, finito il mio lavoro, esco con Statis Panagulis, uno dei protagonisti della resistenza, sulle orme del fratello Alecos. Andiamo al Plaka, il cuore della vecchia Atene, a mangiare taramossalada e moustakà, a bere il vino resinato, e ad ascoltare le canzoni rivoluzionarie; e ci mescoliamo più tardi ai dimostranti e agli studenti di piazza Syntagma. Il greco ama l'italiano, gli ha perdonato l'invasione nell'ultimo conflitto, ha accolto fraternamente i resti dell'«armata S'agapò », l'« armata ti amo», come chiamavano i nostri soldati. Ci considerano amici, a ogni incontro citano un proverbio che dice: «Una faccia, una razza». Come dormire ad Atene in queste notti? Cipro, la dittatura, Karamanlis, gli americani: sono cose troppo grandi per non viverle completamente. Nell'anima della città si agita una tempesta di emozioni. Come non ha accettato la giunta, così non accetta l'invasione dei turchi. Di Karamanlis pensa che sarà un De Gaulle, un salvatore della patria. Indica nella crisi cipriota la Watergate di Kissinger, il primo, forse fatale passo falso di questo superdiplomatico. Nell'ostilità agli Usa, emergono l'orgoglio di una cultura millenaria, un senso di rivalsa sui potenti barbari, la volontà dell'affermazione nazionale. Una guerra? Qua tutto è incerto. Una sera, tra i dimostranti, Statis Panagulis ha riconosciuto uno dei suoi torturatori, un poliziotto travestito da hippy, che li sorvegliava e raccoglieva informazioni. E' giunta notizia da qualche giorno che non tutta la giunta si è arresa, e il suo emblema, la fenice, campeggia ancora sui pubblici edifici: qualche ministro, nelle sue visite, ha ricevuto dalla popolazione un'accoglienza timorosa e diffidente, quasi essa prevedesse il ritorno dei colonnelli. Suscita disagio il fatto che Papadopulos e Joannides non vengano puniti, e i loro pretoriani, come Pattakos, rilascino interviste. Ma sebbene il processo di normalizzazione sia preca¬ rio, Atene non può preoccuparsene. Il suo incubo è Cipro. Sotto la patina di gaiezza presentata ai turisti più disattenti, essa nasconde la violenza. L'antiamericanismo ha raggiunto punte parossistiche. Sono state incendiate tre automobili di diplomatici, la radio ha invitato le famiglie a non uscire di casa, intorno all'ambasciata si tengono pronti ad intervenire gli agenti. Una vignetta di un giornale ha mostrato dei soldati Usa nell'atto di piantare la bandiera turca, con la stella e la mezzaluna, a Nicosia. «Yankee go home» è ormai un grido di battaglia. Ogni notte è densa di interrogativi. A Cipro c'è la tregua, ma i turchi continuano ad avanzare, e come escludere una guerra tra Ankara e Atene? La vita prosegue febbrile, perché questa è la Grecia, ma si stringe il cuore alla sua angoscia e alla sua sofferenza. Una sera siamo andati ad ascoltare Kaloyannis, il cantante di Theodorakis, in un giardino buio dei cortili del Plaka. Era pieno di giovani che bevevano uzo e metaxa, e l'orchestra suonava «Myrta» e «Il cantico di cantici». Per ultimo, Kaloyannis lasciò «I primi morti» di Alecos Panagulis, e i giovani applaudivano e piangevano, pensando forse ai loro padri, e ai figli che verranno. Ennio Caretto Atene. Folla alle edicole, i giornali annunciano che la Grecia lascia la Nato Atene, umiliata ed offesa L'INCUBO DI CIPRO DOPO LA LIBERTÀ CONQUISTATA Atene, umiliata ed offesa Studenti e operai meditano ora imprese gloriose in nome di un vago panellenismo dopo "l'insulto patito per mano dei turchi" Fermenti antiamericani: la vignetta di un giornale raffigura soldati Usa nell'atto di piantare a Nicosia la bandiera con la stella e la mezzaluna, si diffonde lo slogan: "Yankee go home" - Adesso i turisti sono pochi, le notti inquiete e dense di interrogativi (Dal nostro inviato speciale) Atene, 18 agosto. Capannelli dì giovani e di vecchi, di studentesse e di massaie discutono in piedi, tra i tavoli e le aiuole di piazza Syntagma, in un'atmosfera emotiva ed eccitante. Sono le tre del mattino, e davanti all'American Express, dall'altra parte della strada, riposano sui marciapiedi e sotto i portici hippies, i turisti in attesa di abbandonare il Paese. Di fronte al Parlamento, accanto agli euzones nei pittoreschi costumi bianchi, neri e azzurri, vegliano i greco-ciprioti, da quarantotto ore in sciopero della fame. Si spengono ad una ad una le scritte luminose sulle facciate dei palazzi, dal Pireo spira la diaccia brezza del mare. La notte è profumata e inquieta, come tutte le notti di Atene da una settimana. La guerra di Cipro ha sconvolto questa città feli¬ ce. L'ho lasciata domenica scorsa vibrante della libertà conquistata, serena nel ricordo del martirio subito. L'ho ritrovata, tre giorni più tardi, tumultuante e ferita, accesa di passioni senza sbocco. Ogni sera, dal settimo piano dell'albergo Grande Bretagne, l'ho sentita fremere, e gridare, tra ali fitte di poliziotti, la sua ira per (d'insulto patito per mano dei turchi». L'ho vista sfilare con cartelli d'accusa all'America e alla Nato, dimentica della vecchia amicizia. M'è parso quasi di violare il pianto più intimo di un popolo nel momento del dolore. Nuovo ideale Dice un canto cretese che per un ideale «si può sacrificare l'intera giovinezza e non averne pena». Oggi questo ideale è Cipro, come negli anni della dittatura lo è stato la democrazia. Stu- denti e operai dichiarano di volersi preparare alla guerriglia sui monti Troodos, dove si rifugiò l'arcivescovo Makarios il giorno del «golpe», meditano imprese gloriose nel nome di un panellenismo più forte delle ideologie, si esaltano al pensiero della lotta contro l'atavico nemico. Spesso divisi, dispersi, anche nella resistenza, dalla vis polemica e dai bizantinismi, ì greci sono tornati all'unità nell'umiliazione e nel pericolo. Atene è sempre vissuta di notte. Impigrita di giorno dal sole accecante, dagli splendidi specchi marini, dalla maestà dei suoi monumenti, si è scossa soltanto al tramonto. Ad ogni crepuscolo, dai rioni popolari di piazza Omonia e dai quartieri ricchi di piazza Kolonaki, lungo la Athinas e la Vassilissis Sofias, una folla immensa è scesa al Plaka, a Microlimano (prima di Cipro, si chiamava Turcolimano), a Glìfada, per mescolarsi ai turisti e danzare al suono del bouzuki. Chi la conosce, sa quanto possa essere bella Atene nelle tenebre, come una donna al primo incontro d'amore. Ma in queste notti inquiete d'agosto, si prova una particolare suggestione. La città vive un'esperienza corale ad un tempo triste ed esaltante. Abolita la censura, i giornali hanno riscoperto il gusto della verità e delle notizie, e nel centro le edicole-cabine, dai caratteristici telefoni rossi, non chiudono neppure per un'ora. Registi e attori reduci dalla famigerata isola-penitenziario di Yaros rappresentano a teatro le satire della deposta dittatura, raffigurando i colonnelli come altrettanti «padrini» della mafia. I negozi hanno esaurito i dischi di Mìkis Theodorakis, proscritti dalla giunta, e andati a ruba appena messi in vendita. Eppure si balla Mancano i turisti, spaventati dalla guerra, e diffidenti della stabilità del governo Karamanlis (quante telefonate di italiani ai nostri consolati), eppure le taverne sono piene, e si balla il sirtaki. Con la mobilitazione generale, più che uomini, mandati nelle caserme e al fronte, si vedono ragazze, fiere, mosse altresì dalla novità del femminismo, inviso ai Papadopulos e ai Joannides, ma importato dall'attrice Melina Mercouri. Mi riferiscono che anch'esse sono state torturate e imprigionate sotto i colonnelli, e lo confermano gli occhi velati di ventenni che non hanno conosciuto l'adolescenza. Per il rientro di Andrea Papandreu dall'esilio, la sera di venerdì 16 agosto, decine di migliaia di persone sono accorse all'aeroporto e lungo l'autostrada che porta al Parlamento. Le automobili recavano rami di ulivo, risuonava l'inno nazionale, la gente applaudiva. Più che un politico, An- drea Papandreu è un tribuno, e la sua presenza ad Atene costituisce un motivo d'apprensione, non di sicurezza. Ma al nome di suo padre sono legate l'età più bella della Grecia in questo dopoguerra, le illusioni di una generazione, le rivendicazioni sociali ed economiche. Mi hanno spiegato che solo l'arrivo di Karamanlis, il 23 luglio, destò maggiori consensi e commozione. Di solito, a ora tarda, finito il mio lavoro, esco con Statis Panagulis, uno dei protagonisti della resistenza, sulle orme del fratello Alecos. Andiamo al Plaka, il cuore della vecchia Atene, a mangiare taramossalada e moustakà, a bere il vino resinato, e ad ascoltare le canzoni rivoluzionarie; e ci mescoliamo più tardi ai dimostranti e agli studenti di piazza Syntagma. Il greco ama l'italiano, gli ha perdonato l'invasione nell'ultimo conflitto, ha accolto fraternamente i resti dell'«armata S'agapò », l'« armata ti amo», come chiamavano i nostri soldati. Ci considerano amici, a ogni incontro citano un proverbio che dice: «Una faccia, una razza». Come dormire ad Atene in queste notti? Cipro, la dittatura, Karamanlis, gli americani: sono cose troppo grandi per non viverle completamente. Nell'anima della città si agita una tempesta di emozioni. Come non ha accettato la giunta, così non accetta l'invasione dei turchi. Di Karamanlis pensa che sarà un De Gaulle, un salvatore della patria. Indica nella crisi cipriota la Watergate di Kissinger, il primo, forse fatale passo falso di questo superdiplomatico. Nell'ostilità agli Usa, emergono l'orgoglio di una cultura millenaria, un senso di rivalsa sui potenti barbari, la volontà dell'affermazione nazionale. Una guerra? Qua tutto è incerto. Una sera, tra i dimostranti, Statis Panagulis ha riconosciuto uno dei suoi torturatori, un poliziotto travestito da hippy, che li sorvegliava e raccoglieva informazioni. E' giunta notizia da qualche giorno che non tutta la giunta si è arresa, e il suo emblema, la fenice, campeggia ancora sui pubblici edifici: qualche ministro, nelle sue visite, ha ricevuto dalla popolazione un'accoglienza timorosa e diffidente, quasi essa prevedesse il ritorno dei colonnelli. Suscita disagio il fatto che Papadopulos e Joannides non vengano puniti, e i loro pretoriani, come Pattakos, rilascino interviste. Ma sebbene il processo di normalizzazione sia preca¬ rio, Atene non può preoccuparsene. Il suo incubo è Cipro. Sotto la patina di gaiezza presentata ai turisti più disattenti, essa nasconde la violenza. L'antiamericanismo ha raggiunto punte parossistiche. Sono state incendiate tre automobili di diplomatici, la radio ha invitato le famiglie a non uscire di casa, intorno all'ambasciata si tengono pronti ad intervenire gli agenti. Una vignetta di un giornale ha mostrato dei soldati Usa nell'atto di piantare la bandiera turca, con la stella e la mezzaluna, a Nicosia. «Yankee go home» è ormai un grido di battaglia. Ogni notte è densa di interrogativi. A Cipro c'è la tregua, ma i turchi continuano ad avanzare, e come escludere una guerra tra Ankara e Atene? La vita prosegue febbrile, perché questa è la Grecia, ma si stringe il cuore alla sua angoscia e alla sua sofferenza. Una sera siamo andati ad ascoltare Kaloyannis, il cantante di Theodorakis, in un giardino buio dei cortili del Plaka. Era pieno di giovani che bevevano uzo e metaxa, e l'orchestra suonava «Myrta» e «Il cantico di cantici». Per ultimo, Kaloyannis lasciò «I primi morti» di Alecos Panagulis, e i giovani applaudivano e piangevano, pensando forse ai loro padri, e ai figli che verranno. Ennio Caretto Atene. Folla alle edicole, i giornali annunciano che la Grecia lascia la Nato