Un "pope,, contro i colonnelli di Ennio Caretto

Un "pope,, contro i colonnelli Incontro ad Atene con il prete Georgios Pyroynakis Un "pope,, contro i colonnelli Per sette anni ha denunciato dal pulpito la tirannide dei militari in Grecia - Arrestato e torturato, per tre volte ha sfiorato la morte - Statis Panagulis dice : " La sua opera e le sue parole sono un esempio di coraggio e libertà" (Dal nostro inviato speciale) Atene, 11 agosto. Sulla croce d'argento che porta sul petto c'è scritto «Agape e elefteria», amore e libertà, e i suoi sermoni sono tinche discorsi politici. E' un vecchio ieratico dalla gran barba bianca, gli occhi ora ispirati ora assorti, splendente nella tunica chiara d'estate. Lo chiamano il «pope ribelle» perché è uno dei pochi preti ortodossi che hanno partecipato alla resistenza nei sette anni della dittatura militare. Il suo nome vero è Georgios Pyroynakis, «e per noi greci», mi ha detto Statis Panagulis, «significa giustizia e coraggio». Sono seduto sulla sua scrivania. Mi ha accolto abbracciandomi e baciandomi su entrambe le guance, come si fa con i fedeli. Tra le mani, tiene una stampa ricordo del venticinquesimo anniversario del suo apostolato, caduto dì recente: San Giorgio e il drago. Le pareti sono coperte di quadri, gli scaffali di libri autografati, regali di amici artisti, che egli vende per aiutare ì poveri di Atene. «Benvenuto nella Grecia ri- j t . di m Q 1 polo hanno sconfitto il male, sebbene la nostra Chiesa abbia molto peccato». E' noto quale equivoco ruolo la gerarchia ecclesiastica abbia rivestito sotto i colonnelli. Teoricamente in grado di costituire la principale opposizione del regime dopo lo scioglimento dei partiti, in pratica essa ne è stata invece la più importante collaboratrice. Il golpe di Papadopulos del '67 e quello di Ioannides del '73 hanno portato ciascuno un nuovo primate — Ieronimos prima e Serafim poi —, ma ne hanno lasciato la strategia inalterata. Ripetutamente, il sinodo htt richiamato i ribelli come Georgios Pyroynakis alla disciplina. La Chiesa Chiedo al pope i motivi di questo comportamento, «ha nostra religione — mi risponde — ama troppo gli onori temporali. Leggi anacronistiche rendono il sinodo suddito dello Stato: ogni dittatore può imporre i suoi simpatizzanti come membri. Occorrono una riforma costituzionale che restituisca autonomia alla Chiesa e un rinnovamento spirituale che restituisca dignità alla gerarchia ecclesiastica». Si ferma un attimo: «Abbiamo dimenticato che la fede è sacrificio, che Cristo fu il liberatore degli oppressi, e che ciò deve ispirare il sinodo». Come ha potuto combattere contro la giunta militare? «Quale prete e uomo non avevo alternativa. Un ministro di Dio, che predica giustizia, non può accettare un regime fascista. I collaboratori hanno bestemmiato: he sentito il metropolita di Salonicco, Leonidas, dire che i colonnelli erano buoni cristiani e Cristo parlava attraverso Papadopulos». Continua: «Ho difeso la democrazia come avevo fatto durante l'occupazione nazista, non ho dubitato della Grecia né della Provvidenza ». La biografia di Georgios Pyroynakis ricorda quelle dei preti operai francesi, di certi sacerdoti italiani, e dei «vescovi rossi» del Sudamerica, come monsignor Camara. E' nato ud Adamandas, nell'Isola di Milos, nel 1910. «Il mio villaggio fu ricostruito dai leggendari sfak'ani cretesi dopo la rivolta del 1821 contro i turchi. Mio padre era patriota e socialista, prese parte alla rivoluzione del 1896, fin da bambino mi insegnò che la libertà è il bene più prezioso. Emigrò in America prima della mia nascita, ma dopo sei mesi ne tornò deluso». Georgios Pyroynakis crebbe al Pireo, l'antico porto di Atene, e si laureò in teologia all'Università nel 1932. «Allora non pensavo di abbracciare la religione. Mi dedicai invece all'insegnamento e formai un'organizzazione giovanile con alcuni compagni, "Amicizia Sociale". Cercavamo fondi per la costruzione di scuole e l'assistenza ai poveri. Fondammo il primo ginnasio serale per lavoratori e un'università laica». L'attività del gruppo suscitò i sospetti del governo, e nel '39 il dittatore Metaxas lo mise fuori legge. Georgios Pyroynakis si sposò nel 1938. «Mia moglie mi ha dato otto figli, e ha sempre tenuto la famiglia molto unita. Senza la sua solidarietà, non avrei concluso nulla. Nei momenti di crisi, mi ha esortato a seguire i miei principi». Sorride al ricordo di un episodio recente. «Qualche mese fa, il primate Serafim mi convocò per rimproverarmi l'opposizione alla giunta. "Ma non pensi ai tuoi figli?" mi chiese. Gli risposi: il Vangelo dice che non dobbiamo anteporre le nostre creature a quelle degli altri». La guerra mondiale avvicinò Georgios Pyroynakis alla Chiesa. «La vissi ad Atene tra i feriti e i carcerati, le scuole e la Resistenza. Volevamo aiutare i partigiani e gli orfani, ma potevamo fare ben poco. Eravamo perseguitati dagli invasori tedeschi e dalla polizia greca». Gli orrori continuarono durante il conflitto civile, dal '46 al '49, un periodo buio, che ancora oggi angoscia il Paese, e di cui la dittatura militare di Papadopulos e Joannides è stato uno strascico funesto. Nel '49, Georgios Pyroynakis divenne « pope». Gli affidarono la parrocchia di Elefsina e il liceo Moraitu di Psichoico, nei dintorni di Atene. «Io amo i giovani, e i giovani amano me: sono stati innanzitutto essi ad abbattere la dittatura, gli studenti morti combattendo al politecnico un anno fa, gli operai che non hanno ceduto alle torture. Ma io ero — sono — un prete scomodo, e le mie predi¬ che e le mie azioni a Elefsina, dove sorge una base militare americana, preoccupavano le autorità. Esse temevano che i giovani organizzassero manifestazioni. Così, sempre ossequiente, la gerarchia ecclesiastica mi spostò a Boiati come vice parroco ». A Boiati, a quindici chilometri dalla capitale, c'è una delle più grosse caserme del Paese. Dopo il colpo di Stato del 1967, i colonnelli ne fecero un centro carcerario e di tortura. L'intera resistenza greca 3 passata da Boiati, compresi i fratelli Panagulis, Alessandro e Statis. Il pope Pyroynakis si trovò di colpo a contatto con la realtà della repressione. «Incominciai pubbliche proteste perché mi proibivano di visitare i detenuti politici, perché mi impedivano di pubblicare il bollettino parrocchiale, perché calpestavano i diritti dei fedeli». Ogni domenica, dal pulpito, egli esortava alla lotta per la democrazia. Dopo poche settimane, la polizia militare lo persegui¬ tava, e terrorizzava i parrocchiani. Chi assisteva alle sue messe era convocato per interrogatori, veniva coinvolto in incidenti automobilistici, perdeva l'impiego. Racconta il pope ribelle che il maggiore Deoflokianos lo minacciava bestemmiando, e che tentò di strangolarlo tre volte. «Ti scuoierò vivo in piazza — mi gridò un giorno — percuotendomi. Mi chiamò porco prete ateo, comunista, apostata. I veri cristiani siamo noi, diceva, e rideva». Non cede Georgios Pyroynakis — mi spiega Statis Panagulis — non cedette mai. Esercitò anzi pressioni sull'alta gerarchia ecclesiastica, invitando a prendere posizione contro la giunta militare. Insieme a due altri prelati, esponenti della Resistenza, il metropolita di Atene, Iacovos, e quello di Siro, Doroteos, si adoprò, invano, per ottenere il permesso di stabilirsi a Yaros, la famigerata isola penitenziaria dell'Egeo, e condivi¬ dere così la sorte dei prigionieri. Domenica scorsa, alla celebrazione del venticinquesimo anniversario del suo apostolato, la chiesa di Boiati si è riempita di una folla commossa e plaudente. Georgios Pyroynakis ha dovuto placare il tumulto, rammentando ai fedeli vecchi e nuovi il rispetto per il luogo di culto. Ha tenuto un sermone commosso, sottolineando come sia dovere dei credenti combattere per la Chiesa e per la libertà, per la loro intera vita. «Prete, vuol dire padre — ha detto — e tutti voi siete i miei figli. Quale genitore snaturato non sacrificherebbe la propria esistenza per il bene dei suoi discendenti?». E ha concluso: «Essere cristiani, capire il Vangelo, vuol dire tenersi sempre dalla parte dei giusti: la lotta che abbiamo combattuto per sette anni è stata voluta da Dio e dal popolo, è stato Cristo a insegnarci per primo che l'umanità deve liberarsi da tutte le miserie». Ennio Caretto Un "pope,, contro i colonnelli Incontro ad Atene con il prete Georgios Pyroynakis Un "pope,, contro i colonnelli Per sette anni ha denunciato dal pulpito la tirannide dei militari in Grecia - Arrestato e torturato, per tre volte ha sfiorato la morte - Statis Panagulis dice : " La sua opera e le sue parole sono un esempio di coraggio e libertà" (Dal nostro inviato speciale) Atene, 11 agosto. Sulla croce d'argento che porta sul petto c'è scritto «Agape e elefteria», amore e libertà, e i suoi sermoni sono tinche discorsi politici. E' un vecchio ieratico dalla gran barba bianca, gli occhi ora ispirati ora assorti, splendente nella tunica chiara d'estate. Lo chiamano il «pope ribelle» perché è uno dei pochi preti ortodossi che hanno partecipato alla resistenza nei sette anni della dittatura militare. Il suo nome vero è Georgios Pyroynakis, «e per noi greci», mi ha detto Statis Panagulis, «significa giustizia e coraggio». Sono seduto sulla sua scrivania. Mi ha accolto abbracciandomi e baciandomi su entrambe le guance, come si fa con i fedeli. Tra le mani, tiene una stampa ricordo del venticinquesimo anniversario del suo apostolato, caduto dì recente: San Giorgio e il drago. Le pareti sono coperte di quadri, gli scaffali di libri autografati, regali di amici artisti, che egli vende per aiutare ì poveri di Atene. «Benvenuto nella Grecia ri- j t . di m Q 1 polo hanno sconfitto il male, sebbene la nostra Chiesa abbia molto peccato». E' noto quale equivoco ruolo la gerarchia ecclesiastica abbia rivestito sotto i colonnelli. Teoricamente in grado di costituire la principale opposizione del regime dopo lo scioglimento dei partiti, in pratica essa ne è stata invece la più importante collaboratrice. Il golpe di Papadopulos del '67 e quello di Ioannides del '73 hanno portato ciascuno un nuovo primate — Ieronimos prima e Serafim poi —, ma ne hanno lasciato la strategia inalterata. Ripetutamente, il sinodo htt richiamato i ribelli come Georgios Pyroynakis alla disciplina. La Chiesa Chiedo al pope i motivi di questo comportamento, «ha nostra religione — mi risponde — ama troppo gli onori temporali. Leggi anacronistiche rendono il sinodo suddito dello Stato: ogni dittatore può imporre i suoi simpatizzanti come membri. Occorrono una riforma costituzionale che restituisca autonomia alla Chiesa e un rinnovamento spirituale che restituisca dignità alla gerarchia ecclesiastica». Si ferma un attimo: «Abbiamo dimenticato che la fede è sacrificio, che Cristo fu il liberatore degli oppressi, e che ciò deve ispirare il sinodo». Come ha potuto combattere contro la giunta militare? «Quale prete e uomo non avevo alternativa. Un ministro di Dio, che predica giustizia, non può accettare un regime fascista. I collaboratori hanno bestemmiato: he sentito il metropolita di Salonicco, Leonidas, dire che i colonnelli erano buoni cristiani e Cristo parlava attraverso Papadopulos». Continua: «Ho difeso la democrazia come avevo fatto durante l'occupazione nazista, non ho dubitato della Grecia né della Provvidenza ». La biografia di Georgios Pyroynakis ricorda quelle dei preti operai francesi, di certi sacerdoti italiani, e dei «vescovi rossi» del Sudamerica, come monsignor Camara. E' nato ud Adamandas, nell'Isola di Milos, nel 1910. «Il mio villaggio fu ricostruito dai leggendari sfak'ani cretesi dopo la rivolta del 1821 contro i turchi. Mio padre era patriota e socialista, prese parte alla rivoluzione del 1896, fin da bambino mi insegnò che la libertà è il bene più prezioso. Emigrò in America prima della mia nascita, ma dopo sei mesi ne tornò deluso». Georgios Pyroynakis crebbe al Pireo, l'antico porto di Atene, e si laureò in teologia all'Università nel 1932. «Allora non pensavo di abbracciare la religione. Mi dedicai invece all'insegnamento e formai un'organizzazione giovanile con alcuni compagni, "Amicizia Sociale". Cercavamo fondi per la costruzione di scuole e l'assistenza ai poveri. Fondammo il primo ginnasio serale per lavoratori e un'università laica». L'attività del gruppo suscitò i sospetti del governo, e nel '39 il dittatore Metaxas lo mise fuori legge. Georgios Pyroynakis si sposò nel 1938. «Mia moglie mi ha dato otto figli, e ha sempre tenuto la famiglia molto unita. Senza la sua solidarietà, non avrei concluso nulla. Nei momenti di crisi, mi ha esortato a seguire i miei principi». Sorride al ricordo di un episodio recente. «Qualche mese fa, il primate Serafim mi convocò per rimproverarmi l'opposizione alla giunta. "Ma non pensi ai tuoi figli?" mi chiese. Gli risposi: il Vangelo dice che non dobbiamo anteporre le nostre creature a quelle degli altri». La guerra mondiale avvicinò Georgios Pyroynakis alla Chiesa. «La vissi ad Atene tra i feriti e i carcerati, le scuole e la Resistenza. Volevamo aiutare i partigiani e gli orfani, ma potevamo fare ben poco. Eravamo perseguitati dagli invasori tedeschi e dalla polizia greca». Gli orrori continuarono durante il conflitto civile, dal '46 al '49, un periodo buio, che ancora oggi angoscia il Paese, e di cui la dittatura militare di Papadopulos e Joannides è stato uno strascico funesto. Nel '49, Georgios Pyroynakis divenne « pope». Gli affidarono la parrocchia di Elefsina e il liceo Moraitu di Psichoico, nei dintorni di Atene. «Io amo i giovani, e i giovani amano me: sono stati innanzitutto essi ad abbattere la dittatura, gli studenti morti combattendo al politecnico un anno fa, gli operai che non hanno ceduto alle torture. Ma io ero — sono — un prete scomodo, e le mie predi¬ che e le mie azioni a Elefsina, dove sorge una base militare americana, preoccupavano le autorità. Esse temevano che i giovani organizzassero manifestazioni. Così, sempre ossequiente, la gerarchia ecclesiastica mi spostò a Boiati come vice parroco ». A Boiati, a quindici chilometri dalla capitale, c'è una delle più grosse caserme del Paese. Dopo il colpo di Stato del 1967, i colonnelli ne fecero un centro carcerario e di tortura. L'intera resistenza greca 3 passata da Boiati, compresi i fratelli Panagulis, Alessandro e Statis. Il pope Pyroynakis si trovò di colpo a contatto con la realtà della repressione. «Incominciai pubbliche proteste perché mi proibivano di visitare i detenuti politici, perché mi impedivano di pubblicare il bollettino parrocchiale, perché calpestavano i diritti dei fedeli». Ogni domenica, dal pulpito, egli esortava alla lotta per la democrazia. Dopo poche settimane, la polizia militare lo persegui¬ tava, e terrorizzava i parrocchiani. Chi assisteva alle sue messe era convocato per interrogatori, veniva coinvolto in incidenti automobilistici, perdeva l'impiego. Racconta il pope ribelle che il maggiore Deoflokianos lo minacciava bestemmiando, e che tentò di strangolarlo tre volte. «Ti scuoierò vivo in piazza — mi gridò un giorno — percuotendomi. Mi chiamò porco prete ateo, comunista, apostata. I veri cristiani siamo noi, diceva, e rideva». Non cede Georgios Pyroynakis — mi spiega Statis Panagulis — non cedette mai. Esercitò anzi pressioni sull'alta gerarchia ecclesiastica, invitando a prendere posizione contro la giunta militare. Insieme a due altri prelati, esponenti della Resistenza, il metropolita di Atene, Iacovos, e quello di Siro, Doroteos, si adoprò, invano, per ottenere il permesso di stabilirsi a Yaros, la famigerata isola penitenziaria dell'Egeo, e condivi¬ dere così la sorte dei prigionieri. Domenica scorsa, alla celebrazione del venticinquesimo anniversario del suo apostolato, la chiesa di Boiati si è riempita di una folla commossa e plaudente. Georgios Pyroynakis ha dovuto placare il tumulto, rammentando ai fedeli vecchi e nuovi il rispetto per il luogo di culto. Ha tenuto un sermone commosso, sottolineando come sia dovere dei credenti combattere per la Chiesa e per la libertà, per la loro intera vita. «Prete, vuol dire padre — ha detto — e tutti voi siete i miei figli. Quale genitore snaturato non sacrificherebbe la propria esistenza per il bene dei suoi discendenti?». E ha concluso: «Essere cristiani, capire il Vangelo, vuol dire tenersi sempre dalla parte dei giusti: la lotta che abbiamo combattuto per sette anni è stata voluta da Dio e dal popolo, è stato Cristo a insegnarci per primo che l'umanità deve liberarsi da tutte le miserie». Ennio Caretto