Fuff o, fuoriclasse bocciato da Pozzo

Fuff o, fuoriclasse bocciato da Pozzo IL PERSONAGGIO BERNARDINI Fuff o, fuoriclasse bocciato da Pozzo Nel mondo del calcio, ansi dello sport, è difficile trovare un tipo come il «collega» Fulvio Bernardini, da poco assurto agli onori della panchina nazionale, uno dei pochi settori del nostro football da lui non ancora esplorato. Campione di calcio negli anni d'oro, quindi affermato giornalista e poi allenatore, ancora valente tennista, ricorda sotto certi aspetti Vittorio Posso pur non possedendo un «carnet» altrettanto prestigioso. Proprio Posso decise in parte il destino di «Furvio nostro», come lo chiamavano i suoi concittadini romani, estromettendolo dalla Nazionale nel momento migliore della carriera. Il sorriso dell'impertinente atleta aleggiava sempre sul suo volto quando Posso parlava cercando di infiammare i suoi assurri citando magari il Piave o il generale Diaz. Dicono che il commissario tecnico della Nazionale al cospetto di Bernardini si sentisse a disagio. Fatto sta che un giorno Bernardini venne avvicinato da Pozzo che gli fece questo discorso che noi riprendiamo da un libro scritto dallo stesso «Furvio nostro»: «Vede, Bernardini — gli disse — lei gioca attualmente in modo superiore; in modo perfetto, direi, dal punto di vista della prestazione individuale. Gli altri (Meazza, Ferrari, Orsi, Monseglio: n.d.r.) non possono arrivare alla concezione che lei ha del gioco e finiscono per trovarsi in soggezione. Dovrei quasi chiederle di giocare meno bene: sacrificare lei o tutti gli altri?». Bernardini che sa il latino rispose: «Promoveatur ut amoveatur». La battuta non piacque decisamente a Posso che liquidò il giocatore sostituendolo con U più anziano Monti. Bernardini aveva soltanto 26 anni. Portiere Tutta la sua carriera è un insieme di brillanti risultati e di aneddoti. A dieci anni era già capitano dell'Esquilino, quartiere della nativa Roma. Giocava in porta ed era molto bravo tanto è vero che a 12 anni gli affidavano la difesa della rete dell'Esquilia. Prelevato dalla Lazio, esordì in prima squadra proprio contro la sua ex squadra nella cui porta giocava il fratello maggiore di Fulvio, Vittorio Bernardini. Una botta in testa rimediata contro la Fortitudo, lo convinse che il ruolo di portiere era troppo pericoloso: divenne così attaccante e si mise a giocare così bene che esordì anche in questo ruolo nella Lazio proprio contro la Juventus battuta per 2 a 1. Fuffo segnò un gol di testa. Dalla Lazio all'Inter, dove si trasforma in centromediano: a Milano ne approfitta per completare gli studi alla Bocconi e laurearsi. Torna nella capitale nel 1928 nelle file della Roma per la quale Bernardini avrebbe giocato per dieci anni finché a 33 anni interruppe la carriera per dedicarsi al giornalismo sportivo. Torino rappresentò una tappa importante per il Bernardini azzurro: vi esordì il 22 marzo 1925 quando aveva appena 19 anni. La formazione italiana che stracciò in quell'occasione la Francia (7 a 0) comprendeva nomi famosi: Cambi, Caligaris, De Vecchi, Barbieri, Bernardini, Fayenz, Conti, Baloncieri, Moscardini, Cevenini III, Levratto. Sempre a Torino, segnò il primo dei tre gol firmati in Nazionale: avvenne nel 1926 al Motovelodromo quando l'Italia battè l'Eire per 3-0. Così Bernardini decrisse nel suo libro Dieci anni con la Nazionale quella prodessa: «Non ero più un novizio ma avevo solo vent'anni. Quindi tutte le incertezze del giovane che si trova in compagnia di vecchi lupi della pelouse. Allo scadere del primo tempo (avevamo un vantaggio di due porte) il pallone ostinatamente respinto dalla difesa irlandese se ne veniva verso di me. Che fare? L'attacco nostro era tutto in area nemica. A chi consegnare la preziosa sfera? Valeva la pena di tentare. Il tiro partì fulmineo: non avevo la pretesa di segnare ma il tiro improvviso sorprese il portiere e finì in rete. Ora che tanto tempo è passato, ricordo ancora l'attimo che precedette il tiro e il violento tuffo al cuore che provai quando vidi il pallone scuotere violentemente la rete irlandese». Il Bernardini giornalista nacque subito dopo l'addio alla Roma, ma quasi contemporaneamente si aveva il Bernardini allenatore: giocava per diletto in una squadra asiendale, la Mater, fungendo anche da trainer. Cosicché quando nel 1949 la Roma lo chiamò per guidare la squadra non ci pensò due volte. Fu un esordio deludente: contestato dagli stessi tifosi che un tempo lo adoravano, venne licensiato. Finì a Reggio Calabria, quindi alla Fiorentina dopo una breve parentesi nel Vicensa. I vio¬ la vennero trasformati dallandò, come si ricorderà, una serie prestigiosa fatta di venti vittorie, tredici pareggi e una sola sconfitta. La stessa squadra arrivò seconda nella Coppa dei Campioni dietro al grande Real. Quindi la Lazio, poi il Bologna, un altro scudetto, l'esplosivo caso doping e il declassamento in «provincia», a Genova con la Sampdoria per sei anni. Tutte cose recenti, così come la sua elesione a presidente dell'Associazione allenatori. Testardo Testardo, litigioso («Non accetta consigli da nessuno — dicono —, anche quando sbaglia e se ne accorge, continua a sbagliare per non ammettere di aver sbagliato»,/. Raccontano che un giorno (era allenatore della Roma) un giocatore giallorosso di nome Fusco entrò nella sua stanza, allo stadio. Bernardini era seduto a un tavolo e scriveva. Fusco aprì la porta e disse: «A Fulvio, che fai?». Bernardini alsò la testa dal tavolo e disse: uMo' esci, chiudi la porta, poi bussi, chiedi permesso a quanno te lo dico io, riapri la porta, entri, dici bongiorno, richiudi la porta, me dai del lei e mi chiami dottore». Il Bernardini degli ultimi tempi, naturalmente, è cambiato ma qualcosa è rimasto dell'antico spirito battagliero nonostante i 68 anni. E' ancora in parte quel «costruttore della partita — come scriveva Bruno Roghi — che conferisce ad essa le dimensioni, gli obiettivi, le angolazioni ritmiche, la simmetria, l'impulso, la vigorìa, l'ordine, l'equilibrio, le ali del capolavoro sportivo». Saprà farlo anche con la Nasionale? E' naturalmente l'augurio di tutti. g. gand. Milano 1934. Bernardini di testa in Roma-Ambrosiana Fuff o, fuoriclasse bocciato da Pozzo IL PERSONAGGIO BERNARDINI Fuff o, fuoriclasse bocciato da Pozzo Nel mondo del calcio, ansi dello sport, è difficile trovare un tipo come il «collega» Fulvio Bernardini, da poco assurto agli onori della panchina nazionale, uno dei pochi settori del nostro football da lui non ancora esplorato. Campione di calcio negli anni d'oro, quindi affermato giornalista e poi allenatore, ancora valente tennista, ricorda sotto certi aspetti Vittorio Posso pur non possedendo un «carnet» altrettanto prestigioso. Proprio Posso decise in parte il destino di «Furvio nostro», come lo chiamavano i suoi concittadini romani, estromettendolo dalla Nazionale nel momento migliore della carriera. Il sorriso dell'impertinente atleta aleggiava sempre sul suo volto quando Posso parlava cercando di infiammare i suoi assurri citando magari il Piave o il generale Diaz. Dicono che il commissario tecnico della Nazionale al cospetto di Bernardini si sentisse a disagio. Fatto sta che un giorno Bernardini venne avvicinato da Pozzo che gli fece questo discorso che noi riprendiamo da un libro scritto dallo stesso «Furvio nostro»: «Vede, Bernardini — gli disse — lei gioca attualmente in modo superiore; in modo perfetto, direi, dal punto di vista della prestazione individuale. Gli altri (Meazza, Ferrari, Orsi, Monseglio: n.d.r.) non possono arrivare alla concezione che lei ha del gioco e finiscono per trovarsi in soggezione. Dovrei quasi chiederle di giocare meno bene: sacrificare lei o tutti gli altri?». Bernardini che sa il latino rispose: «Promoveatur ut amoveatur». La battuta non piacque decisamente a Posso che liquidò il giocatore sostituendolo con U più anziano Monti. Bernardini aveva soltanto 26 anni. Portiere Tutta la sua carriera è un insieme di brillanti risultati e di aneddoti. A dieci anni era già capitano dell'Esquilino, quartiere della nativa Roma. Giocava in porta ed era molto bravo tanto è vero che a 12 anni gli affidavano la difesa della rete dell'Esquilia. Prelevato dalla Lazio, esordì in prima squadra proprio contro la sua ex squadra nella cui porta giocava il fratello maggiore di Fulvio, Vittorio Bernardini. Una botta in testa rimediata contro la Fortitudo, lo convinse che il ruolo di portiere era troppo pericoloso: divenne così attaccante e si mise a giocare così bene che esordì anche in questo ruolo nella Lazio proprio contro la Juventus battuta per 2 a 1. Fuffo segnò un gol di testa. Dalla Lazio all'Inter, dove si trasforma in centromediano: a Milano ne approfitta per completare gli studi alla Bocconi e laurearsi. Torna nella capitale nel 1928 nelle file della Roma per la quale Bernardini avrebbe giocato per dieci anni finché a 33 anni interruppe la carriera per dedicarsi al giornalismo sportivo. Torino rappresentò una tappa importante per il Bernardini azzurro: vi esordì il 22 marzo 1925 quando aveva appena 19 anni. La formazione italiana che stracciò in quell'occasione la Francia (7 a 0) comprendeva nomi famosi: Cambi, Caligaris, De Vecchi, Barbieri, Bernardini, Fayenz, Conti, Baloncieri, Moscardini, Cevenini III, Levratto. Sempre a Torino, segnò il primo dei tre gol firmati in Nazionale: avvenne nel 1926 al Motovelodromo quando l'Italia battè l'Eire per 3-0. Così Bernardini decrisse nel suo libro Dieci anni con la Nazionale quella prodessa: «Non ero più un novizio ma avevo solo vent'anni. Quindi tutte le incertezze del giovane che si trova in compagnia di vecchi lupi della pelouse. Allo scadere del primo tempo (avevamo un vantaggio di due porte) il pallone ostinatamente respinto dalla difesa irlandese se ne veniva verso di me. Che fare? L'attacco nostro era tutto in area nemica. A chi consegnare la preziosa sfera? Valeva la pena di tentare. Il tiro partì fulmineo: non avevo la pretesa di segnare ma il tiro improvviso sorprese il portiere e finì in rete. Ora che tanto tempo è passato, ricordo ancora l'attimo che precedette il tiro e il violento tuffo al cuore che provai quando vidi il pallone scuotere violentemente la rete irlandese». Il Bernardini giornalista nacque subito dopo l'addio alla Roma, ma quasi contemporaneamente si aveva il Bernardini allenatore: giocava per diletto in una squadra asiendale, la Mater, fungendo anche da trainer. Cosicché quando nel 1949 la Roma lo chiamò per guidare la squadra non ci pensò due volte. Fu un esordio deludente: contestato dagli stessi tifosi che un tempo lo adoravano, venne licensiato. Finì a Reggio Calabria, quindi alla Fiorentina dopo una breve parentesi nel Vicensa. I vio¬ la vennero trasformati dallandò, come si ricorderà, una serie prestigiosa fatta di venti vittorie, tredici pareggi e una sola sconfitta. La stessa squadra arrivò seconda nella Coppa dei Campioni dietro al grande Real. Quindi la Lazio, poi il Bologna, un altro scudetto, l'esplosivo caso doping e il declassamento in «provincia», a Genova con la Sampdoria per sei anni. Tutte cose recenti, così come la sua elesione a presidente dell'Associazione allenatori. Testardo Testardo, litigioso («Non accetta consigli da nessuno — dicono —, anche quando sbaglia e se ne accorge, continua a sbagliare per non ammettere di aver sbagliato»,/. Raccontano che un giorno (era allenatore della Roma) un giocatore giallorosso di nome Fusco entrò nella sua stanza, allo stadio. Bernardini era seduto a un tavolo e scriveva. Fusco aprì la porta e disse: «A Fulvio, che fai?». Bernardini alsò la testa dal tavolo e disse: uMo' esci, chiudi la porta, poi bussi, chiedi permesso a quanno te lo dico io, riapri la porta, entri, dici bongiorno, richiudi la porta, me dai del lei e mi chiami dottore». Il Bernardini degli ultimi tempi, naturalmente, è cambiato ma qualcosa è rimasto dell'antico spirito battagliero nonostante i 68 anni. E' ancora in parte quel «costruttore della partita — come scriveva Bruno Roghi — che conferisce ad essa le dimensioni, gli obiettivi, le angolazioni ritmiche, la simmetria, l'impulso, la vigorìa, l'ordine, l'equilibrio, le ali del capolavoro sportivo». Saprà farlo anche con la Nasionale? E' naturalmente l'augurio di tutti. g. gand. Milano 1934. Bernardini di testa in Roma-Ambrosiana