Cruyff, il «grande» sconfitto di Fulvio Cinti

Cruyff, il «grande» sconfitto E ancora lui il personaggio numero uno dei mondiali Cruyff, il «grande» sconfitto (Dal nostro inviato speciale) Monaco, 7 luglio. Un giorno gli chiesero: « Che cos'è per lei il football? ». Rispose: « Tutto. La cosa più grande della mia vita, con la famiglia. Quando qualcuno, come me, riesce a mescolare perfettamente passatempo e professione, io credo che abbia il diritto di essere felice. Bisogna lavorare in qualche cosa che si ama e amare ciò che si fa ». — Che cosa si attende dal football? « Che continui a regalarmi la gioia di vivere ». Oggi il football, cioè la cosa che egli più ama, ha negato a Johann Cruyff la gioia più bella. Probabilmente, ma solo per qualche giorno, poiché è nei momenti di maggior delusione e sconforto che uomini come Cruyff trovano in se stessi la grande forza morale per ribellarsi alla realtà e risalire, dispetto, rabbia e dolore gli offuscheranno anche la gioia di vivere. Questo grande campione della palla rotonda che, a ventotto anni, ha già assaporato l'inebriante nettare della gloria, conosciuto gli agi della ricchezza e gioito del caldo abbraccio della felicità, proprio nel giorno della consacrazione esce, dallo stadio olimpico di Monaco come un pretendente al trono, unanimemente designato per capacità e valore, che, al momento di assidervisi, inciampi maldestramente sull'ultimo gradino. Si ritrova abbandonato dai cortigiani, deriso dai rivali, fischiato dalla folla, la stessa gente che, nei trenta giorni del campionato, lo aveva ammirato, applaudito e osannato. Cruyff non chiede certo pietà. Non ha ottenuto la consacrazione che voleva ed era scopo e traguardo deliberato della sua carriera, poiché fra quattro anni potrebbe essere troppo tardi per ottenerlo, ma resta il campione che ha dato un'impronta personalissima ai campionati del mondo, che saprà ancora esaltare i valori di una squadra attraverso le sue gesta. Non chiede pietà, ma stasera cercherà comprensione agli olandesi, a questi suoi rumorosi connazionali, calati a Monaco sull'onda ubriacante di molti successi passati e ai quali viene negata la sbornia più solenne e lunga. A Dortmund, la notte che venne battuto il Brasile, fecero il mattino prosciugando le botti delle vecchie «gasthaus»; da Monaco, se avessero vinto, se ne sarebbero andati fra tre giorni. Non sarà difatti Rìnus Michels, generale in panchina, a sopportare lo schiacciante peso della sconfitta; non saranno Jansen, che ha provocato il calcio di rigore, o Rijsbergen che non ha impedito a Mueller di sbattere in rete la palla vincente, a subire la spietata crocefissione dei ti fosì. Agli occhi ed ai risentimenti degli olandesi vi sarà un unico, grande colpevole: Johan Cruyff. A lui rimprovereranno tutto ciò che sarà possibile rimproverargli. Di aver sbagliato il match decisivo, di non aver saputo or ehestrare e dirigere il gioco della pirotecnica formazione arancione, di essersi fatto cancellare, talvolta persino umiliare, da un tedescotto biondo, tarchiato e protervo, che gli ha addentato le caviglie, con ì denti aguzzi di un implacabile mastino Cruyff, unico tra i giocato ri olandesi che, a testa bassa, lasciavano il campo a fine partita, ha timidamente alzato il braccio verso la tribù na d'onore, dove il principe Bernardo d'Olanda aveva sperato, al pari dei suoi sudditi di impossessarsi della prezio sa coppa d'oro. Nell'ossequioso e umile gesto di Cruyff vi era l'implicita richiesta di benevolenza del suddito colpevole. Tanti incontri Cruyff ha giocato, tanti altri ne giocherà, ma a nessun altro come a quello odierno egli legava legherà le aspirazioni della sua carriera. Non era una questione di milioni. Venti in più o venti in meno, nel grosso conto in banca di Cruyff, non modificano un bilancio (il giocatore però non li disprezzava). In un'avversa giornata di luglio, questo mister miliardo ha conosciuto tutto ciò che di più balordo può esservi nella vita di un giocatore di calcio, oltre la sconfitta. Ha avuto contro di sé tutto tutti: avversari, arbitro, folla. Perché anche Taylor non gli ha risparmiato l'onta di un'ammonizione. Ma, soprattutto, Cruyff ha avuto contro se stesso. Onestamente, dovrà infatti ammettere, a mente serena, che stavolta non ha avuto estro, non ha saputo orchestrare il gioco della propria squadra, anzi ha perduto il filo ed in alcuni momenti della partita perfino la posizione giusta, tanto da sembrare confuso e sbandato. Se Cruyff, in sostanza, non è campione del mondo, lo deve solo a se stesso. Fulvio Cinti La delusione sui volto di Johann Cruyff, "stella" e grande sconfitto dei Mondiali Cruyff, il «grande» sconfitto E ancora lui il personaggio numero uno dei mondiali Cruyff, il «grande» sconfitto (Dal nostro inviato speciale) Monaco, 7 luglio. Un giorno gli chiesero: « Che cos'è per lei il football? ». Rispose: « Tutto. La cosa più grande della mia vita, con la famiglia. Quando qualcuno, come me, riesce a mescolare perfettamente passatempo e professione, io credo che abbia il diritto di essere felice. Bisogna lavorare in qualche cosa che si ama e amare ciò che si fa ». — Che cosa si attende dal football? « Che continui a regalarmi la gioia di vivere ». Oggi il football, cioè la cosa che egli più ama, ha negato a Johann Cruyff la gioia più bella. Probabilmente, ma solo per qualche giorno, poiché è nei momenti di maggior delusione e sconforto che uomini come Cruyff trovano in se stessi la grande forza morale per ribellarsi alla realtà e risalire, dispetto, rabbia e dolore gli offuscheranno anche la gioia di vivere. Questo grande campione della palla rotonda che, a ventotto anni, ha già assaporato l'inebriante nettare della gloria, conosciuto gli agi della ricchezza e gioito del caldo abbraccio della felicità, proprio nel giorno della consacrazione esce, dallo stadio olimpico di Monaco come un pretendente al trono, unanimemente designato per capacità e valore, che, al momento di assidervisi, inciampi maldestramente sull'ultimo gradino. Si ritrova abbandonato dai cortigiani, deriso dai rivali, fischiato dalla folla, la stessa gente che, nei trenta giorni del campionato, lo aveva ammirato, applaudito e osannato. Cruyff non chiede certo pietà. Non ha ottenuto la consacrazione che voleva ed era scopo e traguardo deliberato della sua carriera, poiché fra quattro anni potrebbe essere troppo tardi per ottenerlo, ma resta il campione che ha dato un'impronta personalissima ai campionati del mondo, che saprà ancora esaltare i valori di una squadra attraverso le sue gesta. Non chiede pietà, ma stasera cercherà comprensione agli olandesi, a questi suoi rumorosi connazionali, calati a Monaco sull'onda ubriacante di molti successi passati e ai quali viene negata la sbornia più solenne e lunga. A Dortmund, la notte che venne battuto il Brasile, fecero il mattino prosciugando le botti delle vecchie «gasthaus»; da Monaco, se avessero vinto, se ne sarebbero andati fra tre giorni. Non sarà difatti Rìnus Michels, generale in panchina, a sopportare lo schiacciante peso della sconfitta; non saranno Jansen, che ha provocato il calcio di rigore, o Rijsbergen che non ha impedito a Mueller di sbattere in rete la palla vincente, a subire la spietata crocefissione dei ti fosì. Agli occhi ed ai risentimenti degli olandesi vi sarà un unico, grande colpevole: Johan Cruyff. A lui rimprovereranno tutto ciò che sarà possibile rimproverargli. Di aver sbagliato il match decisivo, di non aver saputo or ehestrare e dirigere il gioco della pirotecnica formazione arancione, di essersi fatto cancellare, talvolta persino umiliare, da un tedescotto biondo, tarchiato e protervo, che gli ha addentato le caviglie, con ì denti aguzzi di un implacabile mastino Cruyff, unico tra i giocato ri olandesi che, a testa bassa, lasciavano il campo a fine partita, ha timidamente alzato il braccio verso la tribù na d'onore, dove il principe Bernardo d'Olanda aveva sperato, al pari dei suoi sudditi di impossessarsi della prezio sa coppa d'oro. Nell'ossequioso e umile gesto di Cruyff vi era l'implicita richiesta di benevolenza del suddito colpevole. Tanti incontri Cruyff ha giocato, tanti altri ne giocherà, ma a nessun altro come a quello odierno egli legava legherà le aspirazioni della sua carriera. Non era una questione di milioni. Venti in più o venti in meno, nel grosso conto in banca di Cruyff, non modificano un bilancio (il giocatore però non li disprezzava). In un'avversa giornata di luglio, questo mister miliardo ha conosciuto tutto ciò che di più balordo può esservi nella vita di un giocatore di calcio, oltre la sconfitta. Ha avuto contro di sé tutto tutti: avversari, arbitro, folla. Perché anche Taylor non gli ha risparmiato l'onta di un'ammonizione. Ma, soprattutto, Cruyff ha avuto contro se stesso. Onestamente, dovrà infatti ammettere, a mente serena, che stavolta non ha avuto estro, non ha saputo orchestrare il gioco della propria squadra, anzi ha perduto il filo ed in alcuni momenti della partita perfino la posizione giusta, tanto da sembrare confuso e sbandato. Se Cruyff, in sostanza, non è campione del mondo, lo deve solo a se stesso. Fulvio Cinti La delusione sui volto di Johann Cruyff, "stella" e grande sconfitto dei Mondiali

Luoghi citati: Brasile, Dortmund, Monaco