"Se parlo uccidono mia moglie,, sosterrà al processo Jack Begon

"Se parlo uccidono mia moglie,, sosterrà al processo Jack Begon Il giornalista accusato d'aver simulato il rapimento "Se parlo uccidono mia moglie,, sosterrà al processo Jack Begon Oggi a Roma s'inizia il processo - L'americano afferma ancora di essere stato sequestrato dalla mafia e portato in aereo negli Usa perché aveva scoperto il loro traffico (Nostro servizio particolare) Roma, 7 luglio. «Quando domani comparirò davanti ai giudici che dovranno occuparsi della mia vicenda — afferma il giornalista americano Jack Begon, accusato d'aver simulato d'essere stato rapito — non potrò difendermi come sarebbe mio diritto. Coloro che lo scorso anno, proprio in questi giorni, mi rapirono mentre indagavo sui loro affari, mi hanno strappato delle promesse. E se non le mantenessi metterei in pericolo l'incolumità di mia moglie, che vive a Roma, e di mia figlia, che abita invece in America». Questa sarà domani la linea difensiva del giornalista di New York, ex corrispondente da Roma della compagnia televisiva A.B.C., che comparirà davanti ai giudici della sesta sezione penale accusato di simulazione di reato e appropriazione indebita. La mattina del 22 luglio dello scorso anno, domenica, Begon uscì di casa per recarsi — come disse alla moglie Mary Aquaro — a intervistare Richard Burton e Liz Taylor di passaggio a Roma e non ancora divorziati. Da quel momento nessuno lo vide più per circa un mese. La sua automobile, una «Ford Capri», fu trovata al i e e i | parcheggio dell'aeroporto di Fiumicino con la chiave nel cruscotto e le portiere spalancate. Alcuni documenti dimostravano che il giornalista stava svolgendo una delicata inchiesta a sfondo evidentemente mafioso. Un vero «affaire» internazionale. Begon era scomparso dopo alcuni viaggi fuori Roma e tra le diverse tappe compariva anche Palermo. Gli inquirenti pur non scartando l'ipotesi di un rapimento, seguirono con maggior convinzione la pista della messinscena. Mentre le in- j dagini erano in pieno sviluppo e si controllavano decine di volte i movimenti dello scomparso, Mary Aquaro, il 17 agosto del 1973, ricevette una telefonata dal marito. Begon raccontò di trovarsi in una cabina telefonica pubblica; di essere appena rientrato a Fiumicino dagli Stati Uniti, dove era stato trasportato da personaggi misteriosi, appartenenti sicuramente alla mafia americana. Il racconto fatto alla moglie lo ripetè poco dopo al sostituto procuratore della Repubblica Ettore Torri, recatosi ad interrogarlo in una clinica romana dove si era fatto ricoverare. Due giorni di pressanti contestazioni, mossegli alla presenza dell'avvocato Giovanni Le Pera, convinsero il magistrato che la storia di Begon era inventata di sana pianta e che tutta la vicenda poteva considerarsi un estremo tentativo fatto dal giornalista, ormai alle porte della pensione, per fare l'ultimo «colpo» della sua carriera. Perciò l'istruttoria si concluse con il rinvio a giudizio del «rapito». Naturalmente la convinzione del magistrato viene contestata da Begon il quale, facendo alcune dichiarazioni, ha in sostanza sostenuto dr essere stato veramente vittima di un rapimento. «Quando venni portato via da Roma — ha detto il giornalista — stavo indagando sul traffico dei "dollari scottanti". Su quelle somme di danaro, cioè, che in America sono il frutto di rapine e di altre gravi attività illecite. E' evidente che questi dollari, una volta che sono finiti nelle mani delle bande organizzate, non possono tornare immediatamente in circolazione. E' necessario cioè portarli fuori degli Stati Uniti, magari in Svizzera, farli passare per qualche altro Paese e infine riportarli in America come capitale da investire». « Avevo già fatto un buon lavoro — afferma Begon — ma a questo punto è accaduta la mia disavventura. Sono stato prelevato, trasportato in America e, quasi sempre in aereo, trasferito da uno Stato all'altro con la minaccia incombente di far fare una brutta fine a mia moglie e a mia figlia se non avessi accettato le imposizioni dei miei rapitori. Alla fine ho dovuto accettare». r. s. Roma. Jack Begon "Se parlo uccidono mia moglie,, sosterrà al processo Jack Begon Il giornalista accusato d'aver simulato il rapimento "Se parlo uccidono mia moglie,, sosterrà al processo Jack Begon Oggi a Roma s'inizia il processo - L'americano afferma ancora di essere stato sequestrato dalla mafia e portato in aereo negli Usa perché aveva scoperto il loro traffico (Nostro servizio particolare) Roma, 7 luglio. «Quando domani comparirò davanti ai giudici che dovranno occuparsi della mia vicenda — afferma il giornalista americano Jack Begon, accusato d'aver simulato d'essere stato rapito — non potrò difendermi come sarebbe mio diritto. Coloro che lo scorso anno, proprio in questi giorni, mi rapirono mentre indagavo sui loro affari, mi hanno strappato delle promesse. E se non le mantenessi metterei in pericolo l'incolumità di mia moglie, che vive a Roma, e di mia figlia, che abita invece in America». Questa sarà domani la linea difensiva del giornalista di New York, ex corrispondente da Roma della compagnia televisiva A.B.C., che comparirà davanti ai giudici della sesta sezione penale accusato di simulazione di reato e appropriazione indebita. La mattina del 22 luglio dello scorso anno, domenica, Begon uscì di casa per recarsi — come disse alla moglie Mary Aquaro — a intervistare Richard Burton e Liz Taylor di passaggio a Roma e non ancora divorziati. Da quel momento nessuno lo vide più per circa un mese. La sua automobile, una «Ford Capri», fu trovata al i e e i | parcheggio dell'aeroporto di Fiumicino con la chiave nel cruscotto e le portiere spalancate. Alcuni documenti dimostravano che il giornalista stava svolgendo una delicata inchiesta a sfondo evidentemente mafioso. Un vero «affaire» internazionale. Begon era scomparso dopo alcuni viaggi fuori Roma e tra le diverse tappe compariva anche Palermo. Gli inquirenti pur non scartando l'ipotesi di un rapimento, seguirono con maggior convinzione la pista della messinscena. Mentre le in- j dagini erano in pieno sviluppo e si controllavano decine di volte i movimenti dello scomparso, Mary Aquaro, il 17 agosto del 1973, ricevette una telefonata dal marito. Begon raccontò di trovarsi in una cabina telefonica pubblica; di essere appena rientrato a Fiumicino dagli Stati Uniti, dove era stato trasportato da personaggi misteriosi, appartenenti sicuramente alla mafia americana. Il racconto fatto alla moglie lo ripetè poco dopo al sostituto procuratore della Repubblica Ettore Torri, recatosi ad interrogarlo in una clinica romana dove si era fatto ricoverare. Due giorni di pressanti contestazioni, mossegli alla presenza dell'avvocato Giovanni Le Pera, convinsero il magistrato che la storia di Begon era inventata di sana pianta e che tutta la vicenda poteva considerarsi un estremo tentativo fatto dal giornalista, ormai alle porte della pensione, per fare l'ultimo «colpo» della sua carriera. Perciò l'istruttoria si concluse con il rinvio a giudizio del «rapito». Naturalmente la convinzione del magistrato viene contestata da Begon il quale, facendo alcune dichiarazioni, ha in sostanza sostenuto dr essere stato veramente vittima di un rapimento. «Quando venni portato via da Roma — ha detto il giornalista — stavo indagando sul traffico dei "dollari scottanti". Su quelle somme di danaro, cioè, che in America sono il frutto di rapine e di altre gravi attività illecite. E' evidente che questi dollari, una volta che sono finiti nelle mani delle bande organizzate, non possono tornare immediatamente in circolazione. E' necessario cioè portarli fuori degli Stati Uniti, magari in Svizzera, farli passare per qualche altro Paese e infine riportarli in America come capitale da investire». « Avevo già fatto un buon lavoro — afferma Begon — ma a questo punto è accaduta la mia disavventura. Sono stato prelevato, trasportato in America e, quasi sempre in aereo, trasferito da uno Stato all'altro con la minaccia incombente di far fare una brutta fine a mia moglie e a mia figlia se non avessi accettato le imposizioni dei miei rapitori. Alla fine ho dovuto accettare». r. s. Roma. Jack Begon