Galleria di "teste d'uovo" di Ferdinando Vegas

Galleria di "teste d'uovo" America amara prima di Watergate Galleria di "teste d'uovo" rio David Halberstam: « Le teste d'uovo », Ed. Mondadori, pag. 766, lire 6000. Sul piano immediato l'America è uscita bene dalla crisi del Watergate: l'« imbroglioncello » Nixon e la sua banda sono stati sgominati, i valori migliori della tradizione americana riaffermati, l'equilibrio tra i poteri esecutivo, legislativo e giudìziaraddrizzato. Ma il Wa¬ tergate non è stato che la punta emergente deH'iceberg, l'episodio finale e più vistoso, tuttavia in sé ben secondario, della crisi di fondo che l'America sta attraversando: crisi nel senso più preciso del termine, cioè l'incrinarsi, anzi ormai il venir meno del vecchio ordine, senza che il nuovo si sia ancora stabilito. Considerata la crisi sotto questo profilo, ossia nella debita prospettiva storica, appare evidente che essa non deriva dalle qualità negative d'un singolo soggetto, Nixon, e nemmeno da uno squilibrio nell'assetto istituzionale, bensì è lo scotto del processo di trasformazione dell'America in « repubblica imperiale ». Si tratta d'un processo oggettivo, talmente grandioso e complesso che a dominarlo si sono rivelati impari, nonché un Nixon o un Johnson, anche Kennedy e la sua schiera dei « migliori e più brillanti », come suona il titolo originale rThe Best and the BrightesU di quest'opera di recente tradotta in italiano. L'autore, rappresentante del miglior giornalismo americano, inviato speciale del New York Times in Indocina nel 1962 e 1963, vuole rispondere alla domanda che si impone a chiunque consideri l'America degli Anni Sessanta, così sinteticamente formulata nella presentazione editoriale italiana: « Com'è stato possibile che questo eccezionale corpo di amministratori sia diventato, contrariamente a ogni aspettativa, il simbolo stesso di un "decennio nero"? Perché gli Stati Uniti, proprio quando hanno affidato la leadership politica al più smagliante gruppo delle loro teste d'uovo, hanno registrato clamorosi insuccessi e. sono stati coinvolti nella più tragica delle "sales guerres" del nostro tempo? ». La risposta è implicita nella disamina che l'Halberstam compie degli uomini, delle loro mentalità, del modo come prendevano le decisioni, degli ambienti da cui provenivano e di quelli in cui si muovevano, guidandoci con mano esperta e sicura in una affascinante ricognizione del funzionamento interno di quel complicatissimo meccanismo che è il sistema politico americano. Ne risulta una narrazione che è già storica o, quanto meno, offre allo storico futuro una solida base di partenza; l'autore, infatti, ha condotto circa cinquecento interviste ed ha esplorato con scrupolo una vasta massa documentaria. Spiccano soprattutto i ritratti delle teste d'uovo, una vera galleria di « primi della classe », i quali — come vuole una diffusa opinione — non sono poi riusciti i primi nella vita; non, certamente, in quel periodo della loro vita impiegato a dirigere o consigliare la condotta della politica estera e militare degli Stati Uniti. Si prenda, per esempio, Walt Rostow, colui che « era sempre stato un fanciullo prodigio, il più giovane a fare qualsiasi cosa», nello studio, nell'insegnamento (k una delle stelle di prima grandezza» a Harvard), negli incarichi che aveva ricevuto uno dopo l'altro, sino ad entrare nell'orbita di Kennedy, che, divenuto Presidente, ne fece uno dei suoi più ascoltati ed autorevoli consiglieri. Ebbene, fu proprio Rostow, « entusiasta dei bombardamenti », nei quali vedeva « la soluzione, la carta vincente », che divenne uno dei maggiori propugnatori deZZ'escalation della guerra sul Vietnam settentrionale: una scelta non solo disumana, ma anche, come i fatti dovevano dimostrare, non conducente al successo. Il fallimento dell'escalation convinse infine Johnson a non ripresentarsi candidato alla presidenza; e Rostow fu uno dei pochi che gli rimasero accanto sino all'ultimo, « come Rasputin per uno zar assediato », secondo l'espressione d'un aiutante di Johnson stesso. Che cosa vi era dunque di « distorto » (il termine è usato dall'Halberstam per le teste d'uovo in generale) nella personalità d'un uomo energico, risoluto, impegnato, ottimista, lavoratore instancabile quale Rostow? La facilità di cambiare, adeguandosi alla moda del momento, la sostanziale incapacità di autocritica, per troppa sicurezza di se stesso e della rettitudine delle proprie idee, un dinamismo pericoloso che non gli faceva capire quand'era il momento di fermarsi. Difetti simili in parte a questi' che l'Halberstam attribuisce a Rostow aveva pure McGeorge Bundy, « la stella più luminosa della scintillante costellazione che circondava » Kennedy, « una specie di quintessenza dell'intelligenza nazionale »; e, se lo spazio lo consentisse, si potrebbe continuare l'esemplificazione con McNamara o col generale Taylor, intellettuale, statista-soldato, o con altri ancora. Da questi uomini, dunque, l'America si aspettava che immettessero uno spirito nuovo, più energico, nel ruolo che la storia aveva assegnato agli Stati Uniti, di « tradurre in realtà il sogno americano non necessariamente qui, in patria, ma altrove nel mondo ». Perché, allora, fallirono? Precisamente per il rovescio negativo delle loro doti positive in quanto teste d'uovo, cioè la presunzione, l'orgoglio intellettuale, la pretesa che il freddo calcolo razionale, magari affidato ai calcolatori elettronici, potesse sopraffare le altrui ragioni umane e vitali. Come dirà McNamara, ricredendosi a proposito dei vietnamiti: « Non mi passò mai per l'anticamera del cervello che le cose sarebbero andate così. Non immaginavo che questa gente avesse una simile capacità di battersi ». E non immaginarono neppure, le teste I i d'uovo, che altri preferissero ' le proprie umili realtà allo splendido sogno americano. In questa incapacità di inter¬ e pretare saggiamente il ruolo imperiale attribuitole dal corso storico sta la radice oggettiva della crisi dell'America. Ferdinando Vegas