Si riaccende la polemica sulla psicochirurgia di Ezio Giacobini

Si riaccende la polemica sulla psicochirurgia Si riaccende la polemica sulla psicochirurgia Con il bisturi nel cervello per "curare,, la violenza Con l'isolamento dei lobi frontali, che sono una "centrale" di emozioni, si tentò di alleviare le malattie mentali e ridurre la carica di violenza - Poi si scoprì che la personalità del paziente risultava "svuotata' 'guariti" diventavano automi - Gli studiosi americani continuano le ricerche sulla leucotomia, ma sconsigliano, per ora, gli interventi sull'uomo Pochi mesi fa il massimo organo di ricerca americano nel campo delle malattie mentali, il Nimh (National Institute of Mental Health), ha pubblicato un libretto dedicato alla psicochirurgia che concludeva: « Un giorno sarà /orse possibile dire qualcosa, al lume della nostra conoscenza, sul potenziale beneficio della psicochirurgia e se tale effetto benefico sia di gran lunga maggiore dei rischi ai quali si sottopongono gli esseri umani trattati. Oggi tale giudizio non è ancora possibile ». Sulle scimmie Con questa moderata ma precisa conclusione il Nimh tenta di buttare un po' d'acqua sul fuoco delle polemiche sorte negli ultimi due anni negli Stati Uniti a proposito di questa delicata questione. Anche William Swcet, Io psicochirurgo di Boston — che rappresenta il maggior fautore dei nuovi metodi psicochirurgici — tenta di calmare le acque con un suo articolo apparso sul New England Journal of Medicine dal titolo « Il trattamento degli stati mentali incurabili, per mezzo della leucotomia frontale limitata è giustificabile? ». Intanto, in alcuni maggiori centri universitari, nuovi casi vengono trattati, specie quelli cosiddetti di « violenza incontrollabile » attribuita a stati epilettici con partenza dal lobo temporale o casi di forme dolorose croniche particolarmente in pazienti affetti da tumori. Per il momento tali interventi sfuggono totalmente al tipo di regolazione stabilito dall'Istituto Nazionale della Sanità (Nili) e dalla Fda (Food and Drug Administration) per l'esperimentazione clinica di nuovi metodi terapeutici e di farmaci su soggetti umani. L'unico giudice delle pratiche psicochirurgiche attuali rimangono i colleghi delle Facoltà Mediche, loro stessi, il più delle volle, coinvolti nella ricerca e quindi non obbiettivi nell'esaminare i rischi dei nuovi tipi di intervento. Onde comprendere che cos'è la psicochirurgia moderna occorre risalire indietro di quasi 40 anni e vedere come questa si è sviluppata dalla chirurgia sperimentale e dalla psicologia. Partendo dalle osservazioni del neurofisiologo americano Fulton, circa la difficoltà a riprodurre neurosi artificiali in scimmie alle quali era stato rimosso il lobo frontale del cervello, il chirurgo portoghese Egaz Antonio Moniz introdusse nel 1936 un nuovo metodo operativo chiamalo leucotomia frontale. Precedenti osservazioni su pazienti indicavano le parti anteriori del cervello quali integratrici di impressioni ed esperienze, e perfino attivatrici di particolari stati emotivi, con- celti morali ecc. Partendo da questi presupposti, Moniz si era chiesto se era possibile ottenere un effetto favorevole sui malati mentali isolando i lobi frontali dal resto del cervello. Poiché alcune malattie mentali sono caratterizzate da stati di tensione e ansia continua, Moniz sperava che in questi pazienti fosse possibile diminuire tale tensione tagliando le vie nervose connesse con i lobi frontali. Come si può immaginare, la prima ondata di lobotomie, iniziata nell'ultima parte degli Anni 30 in Portogallo, si diffuse rapidamente agli Stati Uniti e all'Europa. Lo scopo principale di tale intervento era quello di « fare qualcosa » a favore di due larghe categorie di pazienti allora incurabili, gli schizofrenici e i maniaco-depressivi. All'inizio dei '50 già 50.000 pazienti erano stati operati solo negli Stati Uniti e centinaia di pubblicazioni lodavano i risultati dell'intervento. Purtrop-1 po, la doccia fredda venne più tardi quando, a distanza di 10 o più anni, si potè ristudiare gli stessi individui e vederne sia l'efTetto sulla malattia che quello sulla personalità. Gli studi retrospettivi dimostrarono la scarsità di effetti terapeutici e la presenza di un deterioramento quasi totale della personalità del paziente. L'isolamento dei lobi frontali mediante leucotomia portava ad una distruzione quasi completa delle reazioni emotive, con indifferenza totale per l'ambiente, obliterazione della memoria e del senso di iniziativa del paziente. Colla diminuzione della tensione nervosa e delle ossessioni una nuova personalità era emersa, ottusa, priva di iniziativa, disorientata e apatica, lenta e pigra, con mancanza di interesse per la vita, un vero fantoccio umano. Come reazione, in alcuni Paesi, come in Svizzera, la leucotomia veniva non solo abbandonata come cura, ma pubblicamente condannata. Nella maggior parte degli ospedali mentali di tutto il mondo tale pratica veniva, al sorgere dell'era psicofarmacologica verso la metà degli Anni 50, cioè del trattamento delle malattie mentali mediante farmaci, completamente abbandonata. Obbedienti Malgrado, come abbiamo visto, il primo periodo della psicochirurgia sia stato poco glorioso, si sta notando negli ultimi anni, specialmente negli Stati Uniti, un ritorno a queste tecniche non più per la cura di malattie mentali quali la schizofrenia, ormai affidate alle cure farmacologiche, ma allo scopo di « curare » la violenza e la criminalità. Come viene spiegato dallo psichiatra americano Walter Freeman, nel suo recente manuale, « il paziente lobolomizzato entra raramente in conflitto con la legge, perché manca dell'immaginazione per escogitare delle nuove diavolerie e dell'energia per metterle in atto ». Un altro psicochirurgo, l'indiano Balasubramanjam, esperto di amigdalotomia, una specie di minilobotomia che chiama « neurochirurgia sedativa », dice che « il paziente diventa calmo e maneggevole dopo l'operazione ». Egli ha già operato in India centinaia di bambini iperattivi ed ipercinetici e descrive un caso tipico « dopo l'operazione il bambino sviluppa un senso di paura, in certi casi è ancora un po' irrequieto, però la minaccia della punizione lo ammansisce, il paziente è più cooperativo e obbedisce agli ordini ». Oltre al trattamento di queste forme infantili la psicochirurgia moderna si sta ora indirizzando verso il trattamento di forme ansiose e ossessive e perfino di forme depressive. La ripresa di queste operazioni negli Stati Uniti ha provocato recentemente una ondata di proteste sia nell'opinione pubblica che a livello di molti specialisti; infatti, oltre alla dimensione strettamente psichiatrica la psicochirurgia ne sta assumendo una politica e repressiva. Chiaramente, negli Slati Uniti, i promotori della psicochirurgia nel campo dell'aggressività l'hanno legata, fin dall'inizio, al controllo del dissenso politico. Tre noti specialisti sono coinvolti nella politicizzazione della psicochirurgia, William Sweet, primario di Neurochirurgia al Massachusetts General Hospital di Boston, Vernon Mark, primario di Neurochirurgia al Bo-ton City Hospital e lo psichiatra Frank Ervin, che recentemente si è trasferito da Boston alla Clinica Psichiatrica dell'Università di California in Los Angeles. Questi tre specialisti reagirono collettivamente alla sommossa di Detroit di qualche anno fa con una lettera al giornale dell'Associazione Medica Americana, riassumendo quanto divenne poi il programma del loro lavoro degli ultimi 5 anni: «E' importante rendersi conto che solamente una piccola parte dei milioni di abitanti dello slum hanno preso parte alla sommossa, e che soltanto una piccola parte di essi ha partecipato agli incendi, alla sparatoria ed all'assalto. Se le condizioni dello slum hanno da sole detcrminato c iniziato questa sommossa, perché la più grande parte degli abitanti sono stati capaci di resistere alla tentazione della violenza? Esiste qualcosa di particolare nell'abitante violento dello slum che lo differenzia dal suo vicino pacifico? ». Le proteste I tre attribuiscono questa «differenza » a una « disfunzione cerebrale » e concludono « la vera lezione delle sommosse urbane è che, a fianco della necessità di studiare i motivi sociali che creano l'atmosfera della sommossa, necessitiamo di un'intensa ricerca e di studi clinici sugli individui che usano la violenza ». Lo scopo di tali studi sarebbe quello di identificare, diagnosticare e trattare le persone con una « bassa soglia alla violenza », prima che esse contribuiscano ad altre tragedie. Credo non vi sia necessità di commenti per intuire l'importanza politica di questo genere di visione; tuttavia, per i lettori che vogliano approfondirsi su questo concetto esiste un libro recente proprio di Mark e Ervin, chiamato « La violenza e il cervello » (1970). Come si può immaginare un atteggiamento del genere ed il ritorno progressivo, anche se in scala fortunatamente ancora limitata ad interventi chirurgici su malati mentali, ha provocato un'ondata di violente proteste, discussioni e appelli non solo nella parte più radicale della stampa americana ma anche tra gli specialisti di scienze neurobiologiche. Tale reazione da parte di molti specialisti vuol tenere in considerazione alcuni fatti quali: a) la necessità di conoscere meglio eventuali risultati favorevoli da parte di interventi psicochirurgici, b) rendersi conto dei casi in cui l'intervento ha avuto dei risultati definiti catastrofici, c) il fatto che la valutazione in entrambi i casi a) c b) è ancora incompleta e che il risultato finale delle varie forme di psicochirurgia è « essenzialmente ancora sconosciuto ». La mozione sottolinea che le pratiche psicochirurgiche sono ancora allo stadio sperimentale e non possono essere considerate come una prassi medica stabilita c giustificabile. Fino a che le nostre conoscenze di base in questo campo (cioè sulle basi fisiologiche e neurochimiche del comportamento) non verranno approfondite e convalidate da dati scientifici validi, la mozione raccomanda di astenersi da ogni forma di psicochirurgia su soggetti umani. Ezio Giacobini Professore di ncuropslcofarmacologla Università del Connecticut, U.S.A.

Persone citate: Antonio Moniz, Frank Ervin, Fulton, Moniz, Vernon Mark, Walter Freeman, William Swcet, William Sweet