Chi "proteggeva,, i neofascisti che furono arrestati nel reatino ? di Liliana Madeo

Chi "proteggeva,, i neofascisti che furono arrestati nel reatino ? L'inchiesta sui campeggi paramilitari Chi "proteggeva,, i neofascisti che furono arrestati nel reatino ? e furono arrestati nel reatino ?Le indagini della magistratura sarebbero giunte a una svolta clamorosa (Dl t iit ilDi p) Rieti, 28 agosto. In uno dei prossimi giorni il sostituto procuratore Giovambattista Lelli e il giudice istruttore Franco Giampiero si recheranno in Abruzzo, a Lanciano, per incontrarsi con il dottor Mario D'Ovidio, procuratore della Repubblica. Sarà un incontro fra magistrati che, con mansioni e responsabilità diverse, sono interessati tutti alle indagini sui piani eversivi dell'estrema destra: i giudici reatini in quanto conducono l'inchiesta aperta il 30 maggio scorso con la scoperta sui monti di Rascino di un commando fascista; il dottor D'Ovidio per l'alta carica che ricopre nella cittadina abruzzese, divenuta un tassello importante nella ricostruzione della trama nera che i magistrati di Rieti compiono, seguendo il filo che parte dalla morte di Giancarlo Esposti e dalla cattura dei due camerati che erano con lui. Ma le indagini sono giunte a un punto tale che l'incontro potrebbe avere svolte clamorose, proprio per la posizione di rilievo che il procuratore e i suoi due figli occupano nella vita della cittadina. «Stiamo ancora procedendo all'identificazione delle persone che entrano nella vicenda — dicono al palazzo di giustizia di Rieti — . Abbiamo messo la mani su personaggi tutto sommato "piccoli". Gli altri, quelli che contano e avevano i contatti "in alto", o sono spariti appena il gruppo Esposti è stato scoperto, o sono riusciti a svignarsela quando stavano per essere arrestati. Siamo ancora ben lontani dalla conclusione dell'istruttoria. La catena delle complicità e delle connivenze si rivela di giorno in giorno più articolata, e sorprendente». In tre mesi l'inchiesta non ha segnato il passo. Sono stati emessi 12 ordini di cattura, incriminate un paio di persone, disposti accertamenti e perquisizioni in altre città d'Italia, rinvenuti vari depositi di esplosivo e armi da guerra. Sette sono gli arrestati (per i reati di associazione sovversiva, attentato contro la Costituzione dello Stato, istigazione alla guerra civile, ricostituzione del partito fascista): cinque si trovano nelle carceri di Rieti, due a Roma. Cinque i latitanti. n , e i . i Dai tre milanesi che erano venuti ad accamparsi sui monti reatini — Danieletti, D'Intino e Vivirito — si sta risalendo ai loro «amici». «La nostra organizzazione aveva diramazioni in altri Paesi, in Spagna, Portogallo, Grecia» dicono gli imputati affermandosi parte integrante di un'« internazionale fascista » assai potente: ed è probabile che gli inquirenti stralcino questa parte dell'indagine per inviarla al giudice Sica che a Roma lavora su tale pista. Hanno ventilato anche l'ombra del Sid, come un sostegno su cui potevano contare: ma sembra che a tali dichiarazioni non abbiano fatto seguire dati concreti. Hanno ricevuto nei primi giorni d'agosto lettere contenenti lo stesso slogan di cui sarebbe autore Italo Bono (.«nella triste ora che sta attraversando l'Italia, l'idea rinasce ogni ora di più»): e su questi «camerati» di Milano, Pisa, Livorno, hanno preso il via nuovi accertamenti. Da loro, già, si è risaliti ai fascisti che li aiutarono nelle Marche (la sorella di Nardi, Alba, e il fidanzato Piergiorgio Marini, rifugiatisi all'estero, sembra in Svizzera, e Giuseppe Ortenzi, l'unico del gruppo finito in galera) e a quelli che trovarono in Abruzzo (il meccanico Guido Ciccone e il farmacista Amedeo Tosti, ora nelle carceri di Rieti, e il « sanbabilino » Luciano Bernadelli fuggito da Lanciano il giorno stesso che l'ordine di cattura veniva spiccato). La fuga di Bernadelli ha aperto inquietanti interrogativi Qualcuno lo aveva messo sull'avviso in tempo, permettendogli di non finire nelle mani della giustizia, affinché non parlasse e magari coinvolgesse i suoi protettori. Lo ha dichiarato lui in un'intervista all'«Europeo», e lo ha confermato lo stesso Ciccone. L'attenzione degli inquirenti si è spostata allora negli ambienti giudiziari di Lanciano. Un capitano dei carabinieri, Vecchione, «improvvisamente» ha raggiunto i limiti di età e si è messo in congedo. Un commissario di p.s., Andreassi, è stato trasferito a Trieste. Il maresciallo dei carabinieri Luigi Jeronino, comandante del nucleo di polizia giudiziaria, è stato desti¬ tuito dal suo ufficio passando ai nucleo operativo, in attesa che diventi operante il suo trasferimento all'Aquila. I magistrati reatini, dal canto loro, lo hanno interrogato per dieci ore, mentre un ufficiale dei carabinieri di Rieti passeggiava nel corridoio pronto ad intervenire. Alla fine, Jeronino è s^ato incriminato per favoreggiamento: ma per difendersi — sembra — egli ha parlato, e avrebbe scaricato su altri, più in alto di lui, le responsabilità maggiori. La sua deposizione ha prospettato ai magistrati il clima di violenze fasciste che da anni turbano la vita della città, e gli umori, le accuse, i giudizi che le forze democratiche antifasciste da tempo vanno manifestando. In Parlamento per tre volte, dal '70 al '72, sono state presentate interrogazioni dai parlamentari comunisti della provincia. Ai ministri dell'Interno e di Grazia e Giustizia, gli on.li Brini, Di Mauro, Esposto, Perantuono, Scipione hanno chiesto se fossero a conoscenza dell'attività svolta da squadracce fasciste guidate dal Bernadelli e da Ettore D'Ovidio, figlio del procuratore della Repubblica; denunciavano l'« atteggiamento omissivo e convivente » del commissario Andreassi; ricordavano che quelle azioni erano state preparate nella casa stessa del procuratore, e auspicavano la fine di una situazione che faceva pensare come « la copertura dei teppisti debba essere ricercata in un delicato organo di giustizia ». Liliana Madeo