Il tramonto d'un impero di Renato Cantoni

Il tramonto d'un impero La complessa vicenda di Michele S indona Il tramonto d'un impero La chiusura della piccola Banca Wolff di Amburgo ha riportato alla ribalta il «caso» di Michele Sindona. Una delle sue holding, infatti, possiede il 50 per cento delle azioni della Wolff e non è improbabile che proprio le vicissitudini del gruppo Sindona siano state la causa principale della corsa al ritiro dei depositi da parte della sua clientela, il che ha provocato difficoltà insormontabili alla banca. E' venuto il momento di fare il punto sulla complicata situazione della costellazione ruotante attorno al finanziere messinese. Le operazioni di Sindona hanno avuto sempre come centro propulsore una società del Liechtenstein, la Fasco, che, beneficiando delle leggi molto liberali del piccolo principato, ha efficacemente coperto le più mirabolanti imprese col massimo segreto. Esiste anche un'altra Fasco che ha sede a Lussemburgo ed è servita per particolari iniziative. Anche nel Lussemburgo le società straniere usufruiscono di speciali agevolazioni e di amplissima libertà di manovra. Finora le due Fasco non sono state travolte dall'alluvione che ha sconvolto uno dei maggiori imperi finanziari costituiti negli ultimi anni in Europa e negli Stati Uniti da un singolo finanziere. Rimane tuttora un mistero l'effettiva consistenza di queste società e il dettaglio delle partecipazioni azionarie che vi fanno capo. Abbastanza chiara è invece la situazione degli interessi americani e italiani di Sindona che sono al centro di accese polemiche e di accurate indagini da parte degli enti che si sono sostituiti al gruppo di controllo. E' proprio la crisi della maggior interessenza di Sindona negli Stati Uniti, la Franklin National Bank, che ha provocato quella serie di complicazioni che ha polverizzato il suo mito. Anche negli Usa, come in Italia con l'affare Finambrc, la mancata autorizzazione alla fusione nella Franklin de.'la importante società finar iaria Talcott ha segnato i1 punto di svolta nella rapida e fortunata ascesa di Sindona nel firmamento della grande finanza. Il grave scacco e la scoperta di perdite sui cambi durante la verifica dei conti della Franklin hanno provocato drammatiche ripercussioni in Italia. Presso la Banca Privata Finanziaria e soprattutto presso la Banca Unione, i due istituti di credito recentemente fusi nella Banca Privata Italiana, il ritiro dei depositi e il mancato rinnovo dei prestiti in lire e in valuta estera rastrellati sul mercato interbancario hanno provocato in breve una grave carenza di liquidità. Inoltre, massicci realizzi di azioni Immobiliare Roma hanno costretto Sindona a intervenire continuamente per impedire un disastroso crollo delle quotazioni e a impegnare in tal modo cospicue risorse finanziarie in un momento assai delicato. La situazione poteva precipitare da un momento all'altro in un clamoroso dissesto, ma Sindona non si perdette d'animo e trovò un'ancora di salvezza nel Banco di Roma, che intervenne a sostenere sia le banche sia l'Immobiliare Roma con una robusta immissione di fondi. Una parte di questi fu utilizzata da Sindona per estinguere debiti a vista che non potevano essere ulteriormente prorogati, altri servirono per immettere liquidità nelle casse esauste delle banche. Come garanzia il Banco di Roma ottenne in pegno il pacchetto di maggioranza della Banca Privata Italiana e quello di controllo dell'Immobiliare Roma. Per avere la libera disponibilità di quest'ultimo occorreva però annullare la vendita di Immobiliare Ro ma fatta a suo tempo dal gruppo Sindona a una società, la Finambro, che, aumentando il suo capitale da un milione a 160 miliardi, doveva costituire il «polmone finanziario» dell'intero gruppo, Non è tuttora chiaro come questa restituzione sia avve nuta e in qual modo sia stata conteggiata l'enorme perdita che è derivata dalla grande differenza di quotazione dell'Immobiliare Roma fra il giugno 1973 e il luglio 1974. In ogni caso la recente revoca, deliberata dall'assemblea, degli aumenti di capitale della Finambro prelude allo smantellamento, o comunque al drastico ridimensionamento, di questa società. Rimane ancora oscuro il de stino della Banca Generale di Credito, un piccolo istituto milanese, che l'anno scorso era passato dal finanziere Zingone alla Finambro, mentre per la legione di investitori che nell'estate 1973 avevano sottoscritto azioni Finambro per circa 15 miliardi ha avuto inizio il rimborso delle quote versate. La partita, però, non è ter minata, come dimostrano la chiusura degli sportelli della Banca Wolff e i crolli subiti in Borsa da due società, la Venchi Unica e la Smeriglio, controllate da tempo da Michele Sindona e che sembrano abbandonate in balia della burrasca. Ma non basta. Sindona aveva assunto interessenze in numerosissime altre imprese sia in America sia in Italia. Basti citare l'Interphoto statunitense che balza continuamente alla ribalta per incidenti di ogni genere. Quale sarà il destino in Italia della Moneyrex una delle più grandi imprese per l'intermediazione valutaria? E quale quello dell'Italswiss e del Mediolanum Fund, assai attivi nell'intermediazione mobiliare? Come finiranno alcune partecipazioni azionarie della società Edilcentro-Sviluppo, divisione finanziaria dell'Immobiliare Roma, e quale sarà la conclusione di grosse operazioni speculative sui cambi e sulle merci, specialmente sull'argento? Qual è l'effettiva situazione di migliaia di clienti della Banca Unione e dell'Edilcentro che a suo tempo avevano dato ampio mandato di gestione dei loro capitali? C'è poi il problema delle partecipazioni bancarie svizzere. La Finabank di Ginevra, controllata dalla Banca Priva- ta Finanziaria, non dovrebbe dare molti dispiaceri, a parte una notevole perdita di credibilità e conseguentemente di clienti e depositi. C'è poi la questione Amincor. Si tratta di un piccolo istituto con sede a Zurigo e filiale a Chiasso che le autorità americane indicano come il tramite di operazioni poco ortodosse di compra-vendita di valuta della Franklin. Sindona ha negato recisamente ogni legame con l'Amincor ma è certo che fra l'Amincor e le banche e società italiane del gruppo Sindona vi sono stati frequenti e importanti contatti. In quanto al Daily American, il quotidino romano di lingua inglese controllato da qualche anno da Sindona, esso è recentemente passato di mano. Concludendo, non è difficile affermare che il «caso Sindona» non può essere considerato a tutt'oggi come circoscritto e che occorrerà parecchio tempo per avere un quadro definitivo della situazione. Sarà ancora facile fare confusione fra le imprese che sono sotto il controllo di grossi enti e quelle che attendono una opportuna sistemazione e perdurerà il mistero della Fasco di Vaduz e di quella di Lussemburgo. Renato Cantoni