Sul moralismo degli americani di Alberto Ronchey

Sul moralismo degli americani Sul moralismo degli americani (Dal nostro inviato speciale) Washington, agoslo. Watergate e la saga NixonFord hanno risvegliato in Europa il piacere della disputa sul moralismo americano. Dunque, l'America rifugio storico delle sette religiose, dei ribelli a bastimenti carichi. I quaccheri di William Penn, delusi dall'impresa di Cromwell, e i protestanti tedeschi del Palatinato, avversi al Re Sole. Il senso della società, ma non dello Stato. L'ostilità originaria al principio «machiavellico» della distinzione tra sfera morale e politica. Le forme retoriche della Bibbia nello stesso linguaggio politico. L'ultima strega bruciata a Salem, nel Massachusetts, agli albori dell'Illuminismo. La ribellione contro Giorgio III «re cattivo» come giustificazione moralistica dell'interesse politico. Si può dire questo e altro. Certo che nella nazione dei Padri Pellegrini sussiste, ben robusto, il fondo ibrido liberalreligioso celebrato dalla sociologia di Tocqueville. E' il connotato originale, la forza stessa della società americana, anche se da quel fondo emergono talvolta ondate di moralismo pericolose in politica, dal maccartismo primario al pacifismo primario. E' anche vero che il processo a Nixon ha talora assunto l'aspetto d'una lapidazione puritana piccolo borghese, ancorché legale e costituzionale. Ma non si può dedurre tutto da questo. Teorie e frammenti di teorie devono attagliarsi alla fattispecie della crisi presidenziale. Il moralismo, come codice interpretativo del caso Nixon, è insufficiente per una ragione manifesta. Se il moralismo esiste, e ha radici antiche, tuttavia è la prima volta in due secoli che viene rovesciato un presidente. Perché? La teoria non risponde. Il caso in sé era politico e istituzionale. Nixon aveva alterato il sistema di governo, l'equilibrio dei poteri. A giugno, un senatore mi citò a memoria Montesquieu: « Non è la fortuna che domina il mondo, possiamo domandarlo ai romani, che conobbero una serie di successi quando si governarono secondo un certo piano e un seguito di rovesci quando si regolarono secondo un altro ». La vertenza tra il Campidoglio e la Casa Bianca era politica. Il moralismo se mai era sussidiario. Ogni nazione usa nei suoi conflitti gli strumenti di cui dispone, una psicologia, un moralismo, un'ideologia. Questi sono mezzi, o circostanze strumentali, non cause. L'America, osservano, ha sempre bisogno d'affermare che il re al quale si ribella è «cattivo», sia Giorgio III o Richard Nixon, perché « ha fatto questo e questo ». Ma Nixon ha davvero fatto « questo e questo ». L'America, osservano, ha persino bisogno, per condurre una guerra esterna, di proclamare che è « contro Satana ». E chi può far guerre denunciando solo contrasti di interesse? Pochi, dalle Crociate alle prime guerre ideologiche francesi. O nessuno, oggi. L'Inghilterra, volendo schierarsi contro gli Imperi Centrali, doveva inorridire per le « mani tagliate » dei bambini belgi. Per la cosmologia cinese, i quattro angoli della terra non coperti dal rotondo cielo confuciano sono abitati da « demoni, mostri, animali strani » ★ * « Dall'inizio dell'affare Watergate — osserva Pierre Salinger su L'Express francese — ho tentato di spiegare ai miei amici europei che cosa rappresentava per gli americani. Senza gran successo. Non afferrano di che si tratta. Non parliamo della stessa cosa ». Si tratta dell'equilibrio dei poteri, spiega l'ex assistente di Kennedy, e del fatto che l'America « tollera per esempio che il suo ptesidente viva come un re, ma non che agisca come tale ». Gli europei, ha scritto André Fontaine sul New York Times, sono diversi da voi americani. In Francia un presidente è condannabile solo per « alto tradimento ». Questo sarebbe prova d'una saggezza antica, di mille anni dai Capetingi. Ma il tradimento può essere l'unico delitto contro lo Stato per il nazionalismo, non per il liberalismo. Se l'Europa « delle patrie » sottostima l'abuso di potere e l'ostruzione alla giustizia, per questo ha conosciuto non pochi dispotismi. L'America nessuno. La prima reazione europea, di fastidio all'inizio di Watergate, quando giunse la prima eco della parola impeachment, esprimeva un rigetto comprensibile. Anche uno scandalo, dopo le rivolte razziali e il Vietnam. Anche Nixon, dopo i Kennedy e Johnson. Watergate, ancora sfocata, poteva apparire una vertenza quacchera. benché proprio Nixon fosse di origine quacchera, o una forma di rissosità parrocchiale e isolazionista incurante del mondo, benché proprio la base del nixonismo fosse isolazionista. Ma che senso ha, dopo una crisi istituzionale complessa, vedere 211 milioni di americani come bigotti puritani o crociati bambini? In Europa Brandt è caduto per un caso di spionaggio, Chaban Delmas per uno scandalo di finanziamenti. Più « politica », in verità, è l'essenza del caso Nixon: al di là degli scandali, la questione era se fosse tollerabile un presidenzialismo da sovrano legibits solutus, al di sopra della legge e del «patto americano» sulla separazione dei poteri. E la crisi era più complessa perché a differenza del sistema parlamentare, o del sistema misto francese, il presidenzialismo americano ha un capo di governo che è anche capo dello Stato. Non si può rovesciare l'uno senza l'altro. I semplici scandali come la money issile, la questione del rapporto tra denaro e potere, del resto attuale anche in Europa, erano solo complementari benché gravi: e ora, con la nuova legislazione sui finanziamenti politici, non ci sarà presto un'altra campagna presidenziale da 62 milioni di dollari, 42 miliardi di lire, come quella di Nixon nel 72. ★ * II sistema politico ha superato il problema di «diseleggere» un presidente a metà del mandato, nell'anno 1974, malgrado l'arcaica e lenta procedura d'impeachment sancita nel 1787. Ma « qualche cosa da qualche parte non ha funzionato », osserva Russell Baker sul New York Times. « L'informazione del sistema non aveva trasmesso conoscenze esaurienti e tempestive su Nixon. Come spiegare che dopo un quarto di secolo di carriera politica, ben noto all'opinione pubblica, Nixon fosse il favorito della nazione nel '72 con voti soverchianti? E che meno di due anni dopo la maggioranza volesse l'impeachment? ». L'aggressività insicura di Nixon, la sua tendenza a usare qualsiasi mezzo, a trattare l'opposizione come un nemico in guerra, dovevano essere note. La risposta è che nel '72 l'eccentrico « di sinistra » McGovern non era un'alternativa a Nixon, come nel '64 l'eccentrico « di destra » Goldwater non era un'alternativa a Johnson. Da qui le maggioranze artificiali « a valanga », da qui il crescente fenomeno detto « arroganza del potere ». Il vero peccato contro la politica è da dieci anni la tendenza a ignorare la storica legge d'equilibrio del sistema bipartitico, una fuga dalla ragione pragmatica. La legge d'equilibrio vuole che nel bipartitismo prevalga il candidato più prossimo all'asse mediano dell'elettorato. Dunque le campagne presidenziali devono essere duplici corse verso il centro, per occupare il massimo spazio politico e sottrarlo alla parte contraria. Invece il settarismo conservatore dei repubblicani, per qualche verso moralistico, antipolitico e antipragmatico, volle nel '64 il candidato eccentrico Goldwater, e l'analogo settarismo democratico volle tu' '72 il candidato eccentrico McGovern. Gran parte delle ultime tempeste americane è dovuta all'insorgere d'un doppio radicalismo, a destra e a sinistra, per il quale la propria verità è la verità e basta, non si può cedere un pollice. Nell'uno e nell'altro caso l'effetto è stato un eccesso di trionfo del presidente eletto. Cosi l'America ha avuto gli errori di Johnson e gli abusi di Nixon, una rinuncia e una caduta. Il primo mandato di Nixon, eletto nel '68 con un lieve scarto sul moderato Humphrey, consenti un governo cauto, malgrado i caratteri negativi del suo « tocco di potere ». Ma nel '72 l'alternativa astratta di McGovern, violando la legge d'equilibrio, provocava la vittoria « a valanga » di Nixon, con il voto di tutti gli Stati, tranne il Massachusetts, e la più vasta maggioranza di popular vote nella storia americana. L'effrazione di Watergate e una parte del cover-tip, il tentativo di soffocare lo scandalo, precedono l'elezione del '72, ma dopo il trionfo elettorale vengono i massimi intralci alla giustizia, l'abuso di potere, i conflitti con il giudiziario e il legislativo, la tragedia della paranoia politica, Varrogatice of power. La clamorosa corruzione del testimone Hov.'ard Hunt, decisa da Nixon, è del 21 marzo 1973, il « massacro del sabato notte » è del 20 ottobre '73, le sfide opposte alle ingiunzioni dello House Ju diciary Commettee sono dell'I 1 aprile, del 15 e 30 maggio, del 24 giugno 1974. Cosi, dopo l'illecito costituzionale, isolarr dalla Suprema Corte, N'xon non conservava che 10 voti alla Camera e 15 al Senato. Eppure tali aspetti della crisi vengono tuttora ignorati dalla psicologia radicale, riassu mibile nel giudizio pronunciato da John Kenneth Galbraith, già ispiratore di McGovern: « Qualcuno dirà che la colpa profonda è di tutti noi. All'inferno, la colpa è di Nixon e di chi ha eletto Nixon, la sola lezione che si può trarre dalla caduta di Nixon è che l'uomo sbagliato può essere eletto a valanga in questa nazione ». Semplice e senza problemi. Ma perché l'uomo sbagliato può essere eletto a valanga? Contro chi fu eletto a valanga? Quali circostanze e concezioni sbagliate favoriscono l'elezione a valanga dell'uomo sbagliato? La rigidità peculiare dell'economista teorico Galbraith dimostra, fra l'altro, come non sia sufficiente contestare alcune leggi di mercato per cancellare anche le vistose leggi della politica. Ma in genere, simile a questa è oggi l'indole del vero moralismo astratto. Alberto Ronchey