Gerusalemme: imminente il processo all'arcivescovo "complice di Al Fatah,,

Gerusalemme: imminente il processo all'arcivescovo "complice di Al Fatah,, In gioco anche i rapporti tra Israele e Città del Vaticano Gerusalemme: imminente il processo all'arcivescovo "complice di Al Fatah,, (Dal nostro inviato speciale) Tel Aviv, 21 agosto. L'inchiesta della polizia sul vescovo cattolico mons. Capucci fermato l'S agosto alla frontiera libano-israeliana e arrestato formalmente domenica scorsa perché sospettato di «atti illegali in connivenza con i terroristi di Al Fatah», sarà conclusa — quasi certamente dicono qui a Tel Aviv — entro la corrente settimana, e gli incartamenti di accusa saranno subito trasmessi ai giudici per il processo. Già ieri. mons. Capucci era stato invitato a designare un difensore di sua fiducia; al suo rifiuto, gliene è stato affidato uno d'ufficio, un avvocato arabo-cristiano di Ramallah. Il prelato, si sottolinea, non gode alcuna immunità né prerogativa diplomatica; al massimo, qualora venisse riconosciuto colpevole, la pena potrebbe essergli commutata «per clemenza» in un ordine d'espulsione. L'intera faccenda si va comunque arroventando. La radio israeliana che ancora ieri, nei suoi notiziari che si susseguono ogni 90 mimiti, dava la precedenza alle notizie di Cipro e su Kissinger, oggi ha dedicato la maggior parte delle trasmissioni al «caso del vescovo dinamitardo» come ha detto, con frase da romanzo giallo, un commentatore televisivo, il presule aveva nel bagagliaio e nei sottosedili della sua Mercedes-Benz quattro mitragliatrici, due pistole, munizioni per armi leggere, detonatori ed esplosivi. La polizia ha aggiunto stasera che altre armi «in perfetto stato di manutenzione e ben oliate» sono state trovate nascoste nella sua residenza pri¬ vata. Lo stesso vescovo — ma non si saprà nulla di preciso, prima del processo — ha guidato gli inquirenti nella sua abitazione di Beit Hamina, a quattro chilometri da Gerusalemme, e insomma avrebbe ammesso tutto. Soltanto non avrebbe voluto rivelare i nomi degli amici ai quali avrebbe dovuto consegnare il materiale. La radio israeliana dice che il vescovo sta bene; nei primi giorni dopo l'arresto, era un po' inquieto, la notte non dormiva, ora si è ripreso e passa i giorni a leggere libri di teologia morale nella sua cella. Anzi, non è una cella, non è nemmeno un carcere, ma una stanza «modesta e decorosa» al primo piano d'una villetta, la cui ubicazione è tenuta segreta per ragioni evidenti. Una guardia lo sorveglia giorno e notte attraverso uno spioncino, ma si astiene — è detto in un comunicato — dal disturbarlo. Mons. Ilario Capucci, arcivescovo melchita e vicario patriarcale greco-cattolico di Gerusalemme e di Giordania, con giurisdizione su poco più di 7 mila fedeli in Galilea, Giudea e Samaria, si chiama in realtà Kapugì, nome di orìgine turca che vuol dire «portiere» e non ha alcuna ascendenza italiana. E' nato ad Aleppo 52 anni fa, quando la città faceva ancor parte dell'impero ottomano, da una vecchia famiglia dell'aristocrazia siriana. E' sempre stato un nazionalista acceso, ma qui dicono che non c'è da meravigliarsi, rientra nelle tradizioni della chiesa greca di unire politica e religione, i casi Damaskinos e Makarios ne sono la prova. Ma da questo atteggiamento spirituale all'andare in giro con bombe e mitra ce ne corre. Le stesse autorità israeliane, che pure non sembrano dubitare della colpevolezza del prelato, colto come è stato con le mani nel sacco, esitano a gettare tutte le loro carte in tavola. Soprattutto, non vogliono un urto diretto con il Vaticano, così come non lo vuole la Santa Sede. Questa ha dichiarato soltanto di aver provato un «grande rincrescimento» per l'accaduto, e — preoccupata di non difendere una causa insostenibile e nello stesso tempo vogliosa di evitare ogni arrendevolezza verso gli israeliani, che riuscirebbe troppo sgradita al mondo arabo — non si sbilancia in previsioni. «Sappiamo soltanto ciò che dicono i giornali — affermava ieri una nota ufficiale — ma ignoriamo sino a che punto le accuse siano fondate». In realtà, il Vaticano non sarebbe stato così sorpreso come vorrebbe far credere. Qui, almeno, si afferma che già da dieci giorni la Segreteria di Stato era informata dei fatti, ben prima cioè che monsignor William Caerew, delegato apostolico a Gerusalemme, venisse invitato «per comunicazioni» a conferire con il direttore federale del ministero degli Interni israeliano, Abram Kidron. Da dieci giorni almeno, si afferma, monsignor Caerew è in contìnuo contatto con la Santa Sede e avrebbe anzi già avanzato alcune proposte, subito respinte dal governo israeliano, per affidare l'intera vicenda ad un tribunale ecclesiastico. Proposte, queste ultime, che non avranno mai, com'è naturale, alcuna conferma, e nemmeno smentita, da fonte responsabile. Negli ambienti della chiesa cattolica greca non è esclusa, a questo punto, la sostituzione di monsignor Capucci da parte dei superiori, e in primo luogo da parte del patriarca Maximos Quinto, che risiede ti Beirut. Non subito, comunque, perché una destituzione ora equivarrebbe ad ammettere la colpevolezza del prelato che nessuno è disposto, ufficialmente, a prendere in considerazione. Così come nessuno, e in particolare gli esponenti delle altre chiese cristiane di Terrasanta (latina, greco-ortodossa-copfa, armena, georgiana, anglicana, siriaca ortodossa, evangelica e così via) si sente di aderire alla tesi dei giornali dei paesi arabi secondo i quali, tutti, con sconcertante unanimità, sarebbe stata la polizia israeliana a introdurre gli esplosi vi nell'auto del vescovo per poi poterlo arrestare. Se la vicenda del vescovo Capucci richiama l'interesse del pubblico per la singolarità del caso e la gravità delle accuse mosse ad un alto dignitario della Chiesa, ciò che più preoccupa gli uomini del governo, sono le possibili spiacevoli conseguenze che si potrebbero avere nel campo tanto difficile e delicato dei rapporti Israele-Vaticano. Umberto Oddone