Sulla Terra 4 miliardi di persone (e la maggior parte sono poveri) di Mimmo Candito

Sulla Terra 4 miliardi di persone (e la maggior parte sono poveri) La conferenza mondiale dell'Orni sulla popolazione Sulla Terra 4 miliardi di persone (e la maggior parte sono poveri) Al di là dei problemi scientifici s'è aperto subito un dibattito politico: da una parte i Paesi sottosviluppati con un ritmo di crescita che rischia di far saltare il sistema internazionale degli scambi; dall'altra i Paesi ricchi il cui modello di sviluppo è in crisi - Il controllo demografico e le risorse energetiche nel futuro Bucarest, 20 agosto. Solo lo sradicamento della povertà potrebbe salvare il futuro del nostro pianeta: questa, la tesi sostenuta oggi dal capo delegato indiano, il ministro per la Sanità e la Programmazione familiare Karan Singh, alla Conferenza sulla popolazione mondiale, che si svolge a Bucarest sotto gli auspici delle Nazioni Unite. (Ap) A Bucarest non c in discussione un problema scientifico: il dibattito ha natura drammaticamente politica. C'è anzitutto un problema di difesa della sovranità nazionale; poi, il contrasto tra tipi diversi di struttura politica; ancora, il conflitto tra paesi industrializzati e paesi poveri; quindi, il desiderio di alcune nazioni (con la resistenza delle altre) di conservare immutalo l'attuale processo di sviluppo; infine, l'aspirazione dei singoli paesi dei due grandi gruppi — i ricchi, capitalisti o socialisti, e i poveri, capitalisti o socialisti anch'essi — di non di-I struggersi la possibilità d'obicttivi «autonomi» a lungo lenitine. Problemi politici, dunque, identici a quelli che ha dovuto affrontare la recente Conferenza dell'Onu sulle materie prime: da una parte, i paesi poveri che non intendono più subire questa divisione internazionale del lavoro; dall'altra, i paesi ricchi che mirano a far proseguire il processo di colonializzazione dei paesi dipendenti, pur in una cornice di razionalizzazione delle fasi di sfruttamento. Oggi, sulla Terra siamo quasi quattro miliardi. Alla fine del secolo, saremo 6 miliardi e mezzo: un miliardo di «ricchi», cinque miliardi e mezzo di «poveri» — africani, asiatici, sudamericani, europei delle aree sottosviluppate —. Nei paesi ricchi, il tasso d'incremento demografico è mediamente inferiore all'uno per cento; nei paesi poveri, supera abbondantemente il due per cento. A un ritmo simile di crescita, la spinta delle nazioni più povere rischia di far saltare il sistema internazionale di produzione e scambi. Un primo approccio a questo problema si ebbe qualche anno fa, quando l'elaborazione d'un «modello» economico da parte del Massachusetts Institute of Technology portò alle conclusioni del Club di Roma sui «limiti dello sviluppo». La simulazione del sistema era fatta attraverso la interrelazione di cinque elementi: popolazione, industrializzazione, inquinamento, produzione alimentare, consumo di materie prime. La conclusione era la catastrofe: entro la fine del secolo, ci sarà un mondo inabitabile, ammorbato dall'inquinamento, bloccato nel suo sviluppo dal progressivo esaurimento delle materie prime, sovraffollato da una popolazione destinata a morire di fame per l'insufficienza di produzione alimentare. Come salvarsi? La zero population growth: cioè crescita zero, arresto immediato dell'incremento demografico. E' indubbio che questa immagine scientifica sia non poco affascinante, nei suoi richiami ncomalthusiani; permangono tuttavia le perplessità su un modello che, dice Alfred Sauvy, «prende in esame quattro miliardi d'insetti analizzati dall'entomologo». La realtà considerata dai tecnologi del Mit è infatti astratta ed omogenea, del tutto differente da quella, composila e in forte tensione di lotte e sconvolgimenti, che è la storia dei nostri giorni. In un mondo cristallizzato nei suoi rapporti di privilegio e di dipendenza, la «questione demografica» sarebbe una corretta soluzione della crisi dello sviluppo; diventa una soluzione decisamente politica a vantaggio dei paesi industrializzati, se non s'accompagna a un processo di redistribuzionc della ricchezza e delle risorse tecnologiche (nelle nazioni povere, il lavoro muscolare dell'uomo ha annualmente un'equivalenza di produzione energetica di 200 kw). Di fronte a tale realtà di fondo, Le Monde non ha dubbi che «questo congresso politico sarà condotto, animato, diretto, "controllato" dagli Stali Uniti ». Gli americani, infatti, hanno già proposto un piano immediato d'azione, basato sulla riduzione del 10 per cento del tasso di natalità, nei paesi poco sviluppati, scegliendo di dare alla Conferenza un'impostazione che finisce per attribuire una sorta di «responsabilità» alle nazioni po vere: come se il sottosviluppo fosse una dipendenza diretta dell'alto tasso d'incremento demografico (la stessa accusa che, per anni, ha colpito le regioni più povere del nostro Mezzogiorno). E' da ricordare, piuttosto, che il 25 per cento della popolazione della Terra consuma il 75 per cento delle risorse, per cui ha rilievo minimo la riduzione della natalità nei Paesi «non consumatori». Come ha ricordato recentemente l'economista ginevrino Paul Bairoch, «l'incremento di popolazione dei Paesi più ricchi, è, per l'aggravamento della crisi della Terra, un fattore infinitamente più importante dell'aumento demografico del Terzo Mondo». Ponendo come ipotesi («la minima possibile») che l'abitante d'un paese ricco incida quindici volte più dell'abitante d'un paese povero sui fenomeni d'inquinamento e di consumo delle risorse energetiche, l'incremento annuale dell'I,1 miliardo di abitanti dei paesi sviluppati — che è un tasso dell'un per cento — pesa quasi tre volte più dell'incremento demografico dei 2,6 miliardi d'abitanti del Terzo Mondo, che ha un tasso del 2,5. Per assicurarci i nostri consumi «privilegiati», diamo ai bovini proteine che potrebbero essere consumate direttamente dall'uomo e che mancano drammaticamente ai bimbi dei Paesi in via di sviluppo. Allo stato attuale della produzione agricola, potremmo nutrire appena 900 milioni d'uomini, se ciascuno di loro avesse le stesse razioni alimentari d'un nordamericano; ma potremmo nutrire 7 miliardi d'esseri umani, se ciascuno mangiasse come un vegetariano indiano. Allo stesso modo, gli Sta¬ ti Uniti consumano un terzo del l'energia prodotta nel mondo, e dal ìO al 40 per cento dei minerali di base. Secondo una proposta dell'Unesco, «bisognerebbe creare una sorta d'organismo mondiale con il compito di procedere a una ripartizione più equa delle risorse, quando nascessero difficoltà per l'approv¬ vigionamento di petrolio, carbone, uranio eccetera». Nel 1973, ci sono stati più di 500 mila morti di fame nel Sahel, in Etiopia c nell'Asia meridionale. Ricorda l'agronomo René Dumont: «Le mandrie dei paesi delti sviluppati hanno consumato, nel 1973, 380 milioni di tonnellate di cereali: mille volte più di quanto noi, tutti i paesi ricchi, abbiamo saputo dare al Sahel africano. Se i poveri sono minacciati dalla carestia, la responsabilità è dello spreco di risorse nei paesi ricchi. E' anzitutto da loro che bisogna ridurre la natalità e la dilapidazione dei consumi». In questa situazione, il dibattito sui limiti dello sviluppo e il confronto sovrappopolazione-risorse s'inquadrano secondo altre prospettive che quelle della "crescita zero". L'analisi andrà fatta storicamente, nelle situazioni concrete, senza pretendere d'imporre soluzioni univoche: in alcuni paesi asiatici, per esempio, la densità della popolazione è ormai patologica, e va realmente controllata; in molti paesi africani, invece, è un dato relativamente basso, su cui ha scarso rilievo positivo uno sforzo di riduzione del lasso di crescita. « // problema — ricorda Le Monde Diplomatique — è meno quantitativo che qualificativo. Consumo e disuguaglianze sono il fondamento e i risultati del sistema di sfruttamento imperialista su scala mondiale. La questione fondamentale è di sapere se l'uomo deve essere al servizio del sistema o se il sistema al servizio dell'uomo ». La Conferenza di Bucarest farà quindi politica. E' difficile pensare che possa arrivare a conclusioni operative, per il peso degli interessi contrapposti dei due "gruppi", ricchi e poveri. E' comunque importante che 149 governi abbiano inviato loro rappresentanti in Romania, perché si tratta d'un problema di oggi, non del futuro. Nei pochi minuti passati dal lettore su questo articolo, sono nati nel mondo 1200 bambini. E mille di loro rischiano di morire di fame. Mimmo Candito Un bambino attende la sua misera razione di cibo in un villaggio dell'Africa centrale

Persone citate: Alfred Sauvy, Karan Singh, Paul Bairoch, René Dumont