Quei generali di Atene di Ennio Caretto

Quei generali di Atene Che cosa è accaduto dalla fine della dittatura militare Quei generali di Atene (Dal nostro invialo speciale) Atene, 20 agosto. Un mese fa cadeva la dittatura militare in Grecia. Era un sabato assolato, ma la popolazione dimostrava inquietudine e le spiagge restavano deserte. A Nicosia si combatteva: il giorno prima i turchi avevano invaso l'isola, in risposta al "golpe" del 15 contro l'arcivescovo Makarios. Ad Atene si temeva la catastrofe. Il pomeriggio si svolse l'ultima e più drammatica riunione della giunta, che si spaccò in due, coi "gheddafisti", autori del complotto per l'annessione di Cipro, contro tutti gli altri. Erano presenti 1' "uomo forte" Demetrio Joannides, il presidente della Repubblica Fedone Gizikis, il capo di stato maggiore delle forze armate Gregorio Bonannos. i generali Andrea Galatsanos dell'esercito e Alessandro Papanicolaus dell'aviazione, e l'ammiraglio Pietro Arapakis della marina. Fu proclamata la mobilitazione. Di lì a 24 ore, su pressione, tra gli altri, del comandante della terza armata di stanza a Salonicco, Giovanni Davos, e di quello della guarnigione di Atene, Agamennone Gratsios, i "gheddafisti" sarebbero stati messi in minoranza e la giunta esautorata. Epurazioni A un mese di distanza, la dittatura è in via di disfacimento, e i suoi leaders sono scomparsi dalla scena. Joannides ha chiesto e ottenuto un congedo di sei mesi, e della sua odiata polizia militare, l'Esa, paragonata spesso alle SS, rimane poco o nulla. Bonannos e Galatsanos sono stati posti a riposo ieri sera, e sostituiti da Dionisio Arboutsis e Davos rispettivamente (Arboutsis è un karamanlista, "purgato" dalla dittatura al suo avvento nel '67). Gratsios è stato preposto alla terza armata, quella motocorazzata, la più potente del Paese, schierata oggi alla frontiera turca. Numerose altre epurazioni sono in corso soprattutto tra i colonnelli, le anime nere del regime, e ai loro posti emergono i cosiddetti "portoghesi", gli ufficiali cioè ispiratisi a Spinola e al rovesciamento del regime di Salazar in Portogallo. Ha dichiarato l'ex premier Stefano Stefanopoulos: « Non appena risolta la crisi eli Cipro, il presidente Gizikis e gli alti comandi militari faranno giustizia dei colpevoli del disastro nazionale ». L'incredibile vicenda della dittatura che liquida se stessa, dei militari che restituiscono ai civili il potere loro sottratto con la forza, sta dunque per concludersi. Non è la prima volta che accade in Grecia; nel '23, ad esempio, dopo la disfatta in Asia Minore ad opera dei turchi, e l'esecuzione sommaria dei generali responsabili, la giunta si appellò al grande Venizelos e indisse libere elezioni. Ma gli eventi attuali hanno qualcosa di diverso, indicano che in Grecia, nelle forze armate, e altresì nella politica, forse maturano generazioni e idee nuove. Oggi che il quadro è un po' più chiaro, due interrogativi meritano risposta. Perché le forze armate hanno voluto la restaurazione della libertà e della democrazia? E come è caduta la giunta? Ho parlato con il ministro della Difesa Evangelo Averoff, raffinato diplomatico ed espertissimo politico (è al suo sesto dicastero dal '46); con il ministro alla Presidenza Giorgio Rallis, il braccio destro di Karamanlis; con l'ammiraglio Giovanni Mineos, che partecipò al complotto della marina del '73 contro il dittatore Papadopulos; e col generale Giorgio Jordanidis, storico e politologo. Le loro analisi concordano. «Ogni dittatura contiene il seme della distruzione — mi ha detto Rallis — la giunta portava il Paese alla catastrofe. Le forze armate se ne sono rese conto, come si son rese conto di essere le sole che potevano impedirlo». «Sette anni di dittatura — mi ha dichiarato Averoff — avevano avuto effetti disastrosi: ostilità della popolazione, bancarotta economica, isolamento internazionale. La giunta non trovava più un governo per la gestione del Paese». «Cipro fu la goccia che fece traboccare il vaso — ha aggiunto Mineos — strategicamente è indifendibile: dista 700 chilometri dalla Grecia, ma soltanto cento dalla Turchia. E i nostri giovani, ora pronti a morire per essa, non erano disposti a lottare per la giunta». Ha concluso Jordanidis: «La congiura della marina l'anno scorso fallì militarmente, ma non politicamente: scosse anche l'aviazione, come essa tradizionalmente ricca di ufficiali democratici, e i cosiddetti "portoghesi" dell'eser¬ cito». L'ansia di libertà delle forze armate era già palese a maggio, quando la giunta ordinò parecchi arresti tra di esse; il 15 luglio furono poi «purgati» ventidue generali, contrari al «golpe» a Nicosia. Ma, cronologicamente, com'è avvenuta la fine della dittatura militare in Grecia? Finora s'è parlato solo di martedì 23 luglio, del giorno cioè in cui i politici vennero convocati da Gizikis, e Karamanlis invitato a ritornare in patria. Tuttavia la giunta era caduta due giorni prima, ed infatti il ventuno sera, con un gesto senza precedenti, Kissinger da Washington aveva preannunciato il suo «cambio della guardia». Le ore decisive furono quarantotto, e incominciarono a mezzanotte di venerdì 19 luglio, dopo l'assalto turco a Cipro. Quella mezzanotte, insieme con altri generali, si riuniscono Joannides, Gizikis, Bonannos, Galatsanos, Papanicolaus e Arapakis. Da Cipro, dove l'«uomo forte» ha mandato uno dei suoi torturatori, il colonnello Michele Filikos e duecento ufficiali, giungono notizie allarmanti. Anche a nome di Davos e di Gratsios, Gizikis, Papanicolaus e Arapakis accusano Joannides, Bonannos e Galatsanos di avere commesso un errore disastroso. Ma sono messi in minoranza, e dopo qualche ora acconsentono a che partano per Nicosia quattordici vecchi aerotrasporti militari, Nord-Atlas francesi, carichi di soldati. La mattina successiva, quando l'ambasciatore americano ad Atene, Tasca, si reca dalla giunta, è stata proclamata anche la mobilitazione. Tasca telefona a Washington: e convinto che la Grecia dichiarerà guerra alla Turchia. Le prospettive mutano nel pomeriggio di sabato. I quattordici aerotrasporti hanno fallito la loro missione a Nicosia: uno è stato abbattuto, un secondo s'è schiantato sulla pista d'atterraggio, due altri sono limasti distrutti dai bombardamenti turchi. Con la mobilitazione generale in Grecia, inoltre, Joannides s'è involontariamente cacciato in una trappola: sono dovuti rientrare nei ranghi i colonnelli e i «gheddafisti», sono ritornati ai loro comandi i generali prima emarginati, si sono dispersi sui diversi fronti i carri armati dell'Esa, la polizia militare, e gli studenti mobilitali hanno incominciato a fare propaganda democratica fra le truppe. Infine, a Salonicco, gli ufficiali «portoghesi» hanno preso posizione, chiedendo il ritorno del re e di Karamanlis in un documento clandestino. Il proclama All'ultima e più drammatica riunione della giunta, Joannides e i suoi alleati perdono la maggioranza. Sembra che nella notte il dittatore cerchi una prova di forza, ma la guarnigione di Agamennone Gratsios, la sola ornui restata ad Atene, glielo impedisce. Il 21, domenica, esce il proclama della Terza Armata, a cui si sono associati altri corpi, 250 firme in tutto. Esso accusa la giunta di a politica criminale e irresponsabile » a Cipro, di « catastrofe nazionale ». L'ammonisce che se non cederà il potere « verrà processata davanti al popolo per alto tradimento ». Invita le forze armate « a giustiziare immediatamente sul posto » chi si opponesse al ripristino della libertà e della democrazia. E avverte gli Stali Uniti che se interferiranno « saranno giudicali da nemici ». Quello stesso giorno, arriva da Ankara, nel disperato tentativo di impedire un conflitto greco-turco, il sottosegretario di Stato americano Sisco. Egli chiama il premier fantoccio Androutsopoulos e altri ministri del governo. Nessuno gli risponde: constatato che la giunta è in procinto di cadere, sono fuggili tulli. Finalmente. Sisco trova l'ammiraglio Arapakis, che gli dice: « Noi adesso parliamo anche per joannides ». La fazione militare, provvisoriamente al controllo del Paese, non ha intenzione di estendere la crisi di Cipro al bacino del Mediterraneo: lunedì, 22 luglio, acconsente alla sospensione delle ostilità a Nicosia ed all'apertura della conferenza di pace a Ginevra. C'è un tentativo di salvare il regime con la consegna del potere o a Davos o ad Arapakis. come si usava per i tiranni dell'antica Atene, ma i due uomini rifiutano. E' così che il 23 mattina, l'ex premier Canellopulos, il grande storico e filosofo, il leader dell'unione di centro Mavros, l'ex ministro della Difesa Garufaglias, Averos, ed alcuni altri politici vengono convocati dal Capo dello Stato. Incognite Sulla restaurazione della libertà e la democrazia in Grecia, pesano, naturalmente, ancora alcune incognite. I leaders della deposta giunta militare non hanno ancora rinunciato alle proprie ambizioni. Nella villa di Joannides, nel quartiere di Galatsi, e in quella di Papadopulos. a Lagonissi, essi si riuniscono saltuariamente, sotto l'occhio vigile della polizia. I resti dell'Esa, costituitisi in un « gruppo di autodifesa », svolgono un'azione sovversiva e s'infiltrano per provocazioni i tra i dimostrami anti-americani. Il Paese attraversa il momento più difficile dalla guerra civile C46-'49), e, uscito dalla Nato, corre ancora il pericolo di un conflitto sanguinoso con i turchi. E' corsa voce che Papadopulos abbia chiesto l'aiuto degli Stati Uniti, e Joannides abbia ricevuto Sampson, il terrorista dell'Eoka B e proconsole della dittatura, che fu padrone di Nicosia per una settimana. Come nel resto del Mediterraneo, dal Portogallo, attraverso la Spagna e l'Italia, anche in Grecia il pericolo del fascismo sopravvive. Alcune incertezze circondano anche il possibile opciato degli ufficiali « portoghesi » delle forze armate. I garofani rossi, i fiori della rivoluzione di Lisbona, ornavano le strade di Atene per il rimpatrio di Karamanlis. Un gesto gravido di significato. Ma fino a che punto sono democratici questi « porto¬ ghesi »? A differenza dei loro colleghi di Lisbona, si dice che molti di essi siano monarchici e "gollisti". Si accontenteranno del ruolo di angeli custodi della Repubblica, o non ne reclameranno la gestione? Senza dubbio, essi sono assai diversi dai « padrini », come venivano chiamali gli esponenti della deposta giunta. Assai più giovani, sembra che la loro età media sin sui quarant'anni, cresciuti in uno spirito europeista, non dovrebbero esporre il Paese a scosse repentine. Quella della primavera di Atene, comunque, è una pianta ancora fragile, come lo fu quella di Praga del 1968, e troppe sono le circostanze esterne, al di là della volontà dei greci, che potrebbero stroncarla. Più che mai, perciò, c'è bisogno dell'appoggio internazionale per il governo Karamanlis e per le generazioni, militari e civili, che gli faranno seguilo. Ennio Caretto