Petrolio e carovita ai colloqui di Bonn di Mario Salvatorelli

Petrolio e carovita ai colloqui di Bonn Di fronte agl'interlocutori tedeschi Petrolio e carovita ai colloqui di Bonn Il soffio dell'inflazione che spira in tutto il mondo ha suscitato una competizione tra i vari Paesi, non so quanto nobile ma certo emozionante, che registra continui colpi di scena. Oggi è la volta della Gran Bretagna, donde ci giunge notizia che la scala mobile del costo della vita, quella che fa scattare, come in Italia, le retribuzioni, ha registrato in luglio un aumento mensile dell'1,3 per cento, ciò che ha portato ad un'inflazione annuale (dal luglio '73 a quello scorso) del 18,1 per cento. Ci dicono che sui prezzi a Londra abbiano influito e continuino ad influire, in misura rilevante, gli acquisti dei «turisti» medio-orientali, che affollano la capitale britannica e non guardano a spese, per conto privato e per quello dei rispettivi Paesi. Sono gli effetti di nove mesi di caro petrolio, durante i quali i dollari sono affluiti a migliaia, a decine di migliaia di miliardi in quelle terre, dove il sottosuolo e i mari sono impregnati di «oro nero». Questa corsa agli acquisti degli sceicchi del petrolio ha qualcosa di affannoso, quasi di patetico. Si ha l'impressione che i concorrenti agiscano come in un sogno, dal quale temono di svegliarsi. E' di ieri, del resto, e sempre da Lon. dra, la notizia che i Paesi dell'Opec (Organisation of Petroleum Exporting Countries, cioè organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio) non solo non hanno aumentato i prezzi del greggio — com'era possibile in base all'accordo di «revisione» periodica delle quotazioni preso l'anno scorso, in piena guerra del petrolio — ma hanno deciso di non modificarlo fino alla fine dell'anno. Non basta: questa decisione è stata presa dopo aver superato una certa opposizione, orientata non all'aumento, ma al ribasso dei prezzi attuali. A stupircene non saremo certo noi, che più di quindici giorni fa, al termine di un'inchiesta sul petrolio, scrivevamo: «Si ha l'impressione che il tempo lavori a favore dei Paesi consumatori e che le posizioni sì siano addirittura capovolte, in meno dì dieci mesi». Caso mai, può sorprendere una così rapida conferma. In sostanza, in un periodo di acuta inflazione mondiale (valga l'esempio citato all'inizio), il prezzo del greggio è rimasto fermo ai livelli del dicembre scorso, quindi in pratica è diminuito, perché nel frattempo i prodotti indù, striali, ai quali i Paesi petroliferi facevano riferimento per giustificare le loro richieste, sono rincarati — in media mondiale — almeno dell'8 per cento dal dicembre scorso Noi siamo cittadini di un Paese consumatore, quindi non possiamo che rallegrarce ne, pur con il rammarico che i Paesi produttori non abbia no intuito il «pericolo» al momento giusto, evitando, cosi la tempesta economica e mo netaria che si è abbattuta sul mondo «occidentale» e che ha provocato ovunque disastri sia pure ad un grado diverso della «Scala Mercalli», quella che misura l'intensità dei ter remoti. Una prova di questa diversa intensità è l'odierno colloquio a Bonn tra le «auto rità monetarie» italiane e te desche. Anche la Germania consuma petrolio, come l'Italia ed anche la Germania, come l'Italia, non ne possiede. Eppure i colloqui la vedono in posizione di «banchiere», cioè di eventuale finanziatore, mentre l'Italia è andata a Bonn per essere finanziata (non diciamo in veste di que¬ stuante, perché in economia il ricorso al credito è prassi normale, che non coincide — almeno non sempre — con la questua). E' vero che la Germania possiede il ferro e il carbone, ma non dimentichiamo che una decina d'anni fa la «produttività» nella siderurgia era più alta in Italia, che poteva ricorrere per i propri acquisti di ferro e carbone ai migliori offerenti, e non era costretta, per ragioni di politica interna, a scendere fino a sei-settecento metri nelle viscere della Ruhr. L'Italia ha una manodopera sovrabbondante ma la Germania, uscita dalla guerra più distrutta di noi, ha dovuto assorbire venti milioni di profughi dalle sue zone orientali e ospita, inoltre, milioni di lavoratori stranieri. Non crediamo che il segreto del «miracolo tedesco» sia nel fatto che le giornate di lavoro perdute per vertenze sindacali in quel Paese siano poche decine ogni mille lavoratori dell'industria, contro alcune migliaia in Italia (esattamente 26 contro 2118 nel 1973, secondo il periodico francese Entreprise), né che i giorni festivi siano 13 all'anno, contro 17 in Italia, e neppure che l'assenteismo sia appena il 7 per cento, contro il nostro 15 per cento, o che la durata media della settimana lavorativa effettivamente «lavorata» sia scesa in Italia, nell'industria, a meno di 33 ore, contro 43 in Germania. E' certo, però, che la forza di un Paese sta nella produzione di beni e di servizi, soprattutto dei primi, che possono essere anche esportati. Qualsiasi alternativa — compresa quella di ridurre il prodotto per soffocare i consumi — può essere un ripiego momentaneo, una soluzione scritta sulla sabbia, che il primo soffio di vento spazzerà via. Mario Salvatorelli

Persone citate: Mercalli