Banditi d'Aspromonte di Francesco Rosso

Banditi d'Aspromonte UN INVITO ALLA CALABRIA PIÙ SEGRETA Banditi d'Aspromonte Si passa dai ricordi di Musolino ai raduni mafiosi del santuario di Polsi; ma il forestiero può andare tranquillo (Dal nostro inviato speciale) Reggio Calabria, agosto. Sole, parole, sogni, rancori, il tutto profumato al bergamotto e al gelsomino, che restano ancora, con gli olivi e un po' d'aranceti, la voce più vistosa dell'economia calabrese, è quanto offre questa regione, certo fra 'e più belle d'Italia. Il turismo la sta scoprendo, e rovinando, ma in quale misura? In provìncia di Reggio vi sono località celebri da sempre, Scilla ad esempio, Bagnara, Tropea, e altre che sono diventate famose per motivi diversi, come Gioia Tauro, già sacrificata ad una fallimentare esperienza in¬ dustriale. «Ci hanno assegnato il quinto centro siderurgico, dicono a Reggio, ma ancora una volta i benefici andranno ad altri, non alla nostra città, troppo lontana ». Parlano della « giungla degli oliveti » che morranno, del grande olivo, nove metri e mezzo di circonferenza, che si batte per vetustà con quelli del Getsemani, a Gerusalemme, e con quello di Platone, sulla via d'Atene. « Morranno tutti, asfissiati dai gas del petrolio, dicono a Reggio, per il discutibile vantaggio di pochi. Tanti miliardi non sarebbe stato meglio spenderli, ad esem- pio, per attrezzare turisticamente la sterminata spiaggia fra Palmi e Gioia Tauro, farne una Versilia del Sud? Sono ottanta chilometri di arenile finissimo, ed un mare di zaffiro ». Forse hanno ragione questi uomini di Reggio, sempre delusi in ogni loro attesa, ma sono loro stessi a discutere molto e a concludere poco. Fanno pubblicità alla loro regione, «un sogno di sole » dicono i dépliants, ma rimangono sempre nel giro di slogans pubblicitari generici, anche se accompagnano fotografie affascinanti; una ricerca di mercato turistico è ancora da inventare. A guardar bene, la Calabria vera è ancora quella raccontata da Norman Douglas, Edgar Lear, Berenson, Willemsen e Odenthal, e fra gli italiani Corrado Alvaro, integralmente calabrese. Ed è una Calabria tuttora remota, che i turisti trascurano per ignoranza, o per paura di chi sa quali strade disagevoli ed incontri, la Calabria interna e dell'Aspromonte, per intenderci, uno degli angoli della terra che vale la pena di visitare, non fosse che per rendersi conto della natura in cui sono maturati grandi tragedie ed i più incredibili slanci mistici dell'Italia antica e moderna. E' un viaggio non proprio facile, ma al termine si ha la sensazione di aver visitato luoghi che meritavano la fatica. L'Aspromonte, lo dice la parola stessa, non è facilmente conquistabile, anche se alcune località sono ormai molto frequentate, Gambarie, ad esempio, è il capoluogo del massiccio montano, ed è quasi alle porte di Reggio. Si viaggia verso Villa San Giovanni ed a Gallico si svolta per infilare la strada che aggredisce la montagna; 45 chilometri e si arriva a Gambarie, 1300 metri, una fantastica balconata sullo Stretto e su buona parte della Sicilia Orientale. D'inverno si scia. Oggi, tra il verde dei castagni, degli abeti, dei lecci è dolce sostare nella pace ombrosa, in un silenzio quasi tattile. Ma il viaggio non termina qui, la mia meta è Montalto, il culmine dell'Aspromonte, a quasi duemila metri. Tra folti boschi Vale la pena di venire fin quassù? E' una montagna come tante altre in Italia, ci sono boschi folti come tanti altri, che differenza fa? Però, l'Aspromonte non è una montagna come le Dolomiti, e Montalto non è come Cortina, o Courmayeur; alberghi a parte, qui c'è il mistero di un mondo che, per quanto ci sforziamo, non riusciamo a decifrare. L'Aspromonte è il regno dei latitanti calabresi, il rifugio dei sequestratori di persona, degli evasi dalle carceri, dei sanguinari esecutori di faide feroci. Ma non c'è da temere, mai che uno di costoro abbia recato disturbo a un forestiero. Si racconta che Giuseppe Musolino, il più famoso brigante dell'Aspromonte, non abbia ucciso il delegato dì polizia che gli dava la caccia, e che egli aveva sorpreso addormentato sotto uno di questi castagni che ancora ombreggiano l'Aspromonte di Montalto, solo perché gli vide pendere dal taschino del panciotto un ciondolo con la foto del suo bimbo. Erano altri tempi, d'accordo, il brigante era uomo d'onore, ma anche oggi coloro che attraversano furtivi la radura alla quale siete affacciati non vi diranno nulla, le loro faccende private se le liquidano in famiglia, voi non siete nulla per loro, a meno che tentiate di intrufolarvi con finta ingenuità. Capitò anche ad Edgar Lear una disavventura del genere, alcuni briganti lo scambiarono per una spia e per poco non lo fecero fuori. Poi tutto si chiarì, con gran sollievo dell'inglese. Questo accadeva nel secolo scorso, ma oggi non sarebbe diverso, ne sono certo. A Montalto ci sono venuto per un motivo preciso, questo è il luogo in cui, nell'estate del 1968, la mafia calabrese tenne un summit divenuto celebre solo perché polizia e carabinieri, avvertiti da una soffiata, piombarono sul posto al momento giusto e fecero una discreta retata dei mafiosi a congresso. « Macché congresso mafioso, dissero gli arrestati, noi siamo venuti quassù per cacciare ». Erano tutti armati, ma non ebbero tempo di sparare; è però probabile che, anche avendone la possibilità, non avrebbero sparato, i mafiosi non mostrano mai la faccia, la loro tattica è l'agguato, il mistero. Sparando si sarebbero autoaccusati. Perciò, chi vuole provare il brivido di incrociare un fuorilegge, vada tranquillo sull'Aspromonte; il brigante, semmai, sarà lieto di indicare la strada giusta per la direzione desiderata, specie se questa direzione è il San¬ tuario della Madonna di Polsi, un po' più sotto Montalto, una località che i mafiosi e i latitanti hanno sempre scelto come luogo d'incontro, non perché protetti dai frati che vivono in quel cenobio, ma per sincera devozione alla Madonna la cui effigie, si dice, fu scoperta dal torello di un giovane man- j driano che s'era messo a ra spare il terreno con le corna; una leggenda che ricorda il toro garganico di Monte Sant'Angelo. Per arrivare a Polsi si deve scendere a piedi, o noleggiare un asino a Montalto, ma il viaggio vale la fatica, non per la solennità architettonica del Santuario, che è una costruzione piuttosto comune, ma per il paesaggio. Chiesa e monastero sono come infossati in una profonda gola dalle pareti verticali su cui dilaga la foresta. Lì sembra che il mondo finisca, soltanto l'esplosione vegetale pare abbia diritto di regnare, e tutto è così folto, intricato, che può ingenerare timore. Tornano alla mente i nomi dei celebri briganti dell'Aspromonte, a cominciare dal feroce José Borjesh, lo spagnolo ingaggiato dai Borboni per combattere «i piemontesi » dopo l'unità d'Italia. Eppoi Azame, Nino Martino, Mittiga di Piati, Giuseppe Musolino, gente che ha fatto arrancare i carabinieri su questi dirupi, e quasi sempre invano. Ed ora? Ecco, a Polsi c'è una tradizione, tra la fine di agosto ed i primi di settembre si svolge il grande pellegrinaggio in onore della Madonna e da sempre, mi dicono, mafiosi e latitanti ne approfittano per celebrare qui i loro processi. Molte condanne a morte sono state, e pare 10 siano tuttora, pronunciate i a Polsi durante la grande processione e le danze rituali che si scatenano dinanzi al Santuario. Si comprende perché i fuorilegge scelgano Polsi per amministrare la « loro giustizia », è il più solenne tribunale all'aperto che sia dato vedere, e in più c'è quel tanto di superstizioso che accompagna anche le azioni criminose. Protetti dalla gran folla, i fuorilegge sentono che il processo celebrato a Polsi diventa una specie di: « La Madonna lo vuole », frase che può, ad una coscienza primitiva, suonare come assolutoria. Ma ora c'è ombra, pace, solitudine intorno al monastero, anche ì pochi frati ancora in servizio nel romitorio forse dormono, o pregano, in attesa del grande flusso di pellegrini; ne arrivano durante tutta l'estate, dall'intera Calabria e dalla Sicilia, fin da Palermo, in automobile ed in autobus fin dove è possibile, eppoi a piedi lungo la disagevole stradina, ma il grande afflusso avviene sul finire di agosto, ed è occasione di incontri importanti, di decisioni gravi. Poco lontano, ad esempio, c'è Montanardello, una base Nato. Nel 1968 un elicottero partì da quella base diretto in Sicilia e non se ne seppe più nulla. Si parlò di contrabbando in grande, soprattutto di stupefacenti, 11 cui centro direzionale era sull'Aspromonte, forse a Polsi. I mafiosi cercano sempre la protezione di qualche santo con buone entrature. Però, questa Calabria bigotta e brigantesca ha un fascino irresistibile, che si condensa proprio sull'Aspromonte, terra che per molti aspetti è rimasta quella di sempre, appena sfiorata dalla nostra civiltà consumistica. La gente di qui rispetta i fuorilegge per tradizionale omertà, per paura, per indifferenza verso l'autorità costituita. A Gambarie, conversando con il proprietario di un bar, ho sentito questa frase: « Noi tutti dell'Aspromonte siamo grati al brigan- te Musolino. Per catturarlo, polizia e carabinieri dovevano mantenere i contatti fra di loro, ed hanno installato il telefono. Senza Musolino, probabilmente non lo avremmo ancora ». Aveva ucciso ad uno ad uno tutti i testimoni che al processo avevano deposto contro di lui, ma egli rimane tuttora il « cavaliere della vendetta» e colui che ha fatto mettere il telefono sull'Aspromonte. Dietro Garibaldi Viaggio sull'altro versante della punta calabrese, sul litorale ionico, fino a Melito Porto Salvo, per seguire un itinerario quasi risorgimentale. Da qui Garibaldi partì nel 1862 colle sue schiere di armati diretto prima a Bagaladi, eppoi a Gambarie; ma nella pineta Petrulli incontrò « i piemontesi » a sbarrargli la strada verso Roma. Un cippo ricorda il funesto scontro, un pino circondato da un gabbiotto metallico è indicato come il sostegno al quale Garibaldi si appoggiò ferito alla gamba. Quanta gente viene quassù? Quasi nessuno, mi dicono. Evidentemente Garibaldi sta subendo una nuova eclissi nella memoria degli italiani, ma se non per rinfrescare ricordi risorgimentali, vale la pena di percorrere questa strada, anche non fino a Gambarie, solo per rendersi conto dei mille, diversissimi volti della Calabria. Fresco di foreste sempre verdi il versante tirrenico; arso, eroso, spettrale il versante ionico. C'è un tratto di litoranea definita dei gelsomini, e nella stagione della fioritura si vedono schiere di donne, guanti bianchissimi alle mani, cogliere con dita leggerissime le candide corolle prima che le colpisca il sole, destinate a preziose essenze. Ma quel tratto profumato è breve, subentra quasi subito la Calabria arsa ed erosa che faceva scenario alle fantasie di Corrado Alvaro, un mondo incredibile di guglie, avvallamenti, gibbosità giallogrigie allucinanti, di gole montane scavate dalle piogge e dai venti che hanno modellato l'arenaria in forme che nessuna mente umana potrebbe emulare. In quelle gole selvagge, dove un arbusto è un miracolo verde, si aprono caverne, grotte, anfratti che se.tbrano respingere l'uomo, persino gli animali selvatici, tanto sembrano ostili. Furono, invece, l'abitazione dei più ardenti anacoreti, centro di una Tebaide incredibile, un mondo che ha lasciato la sua impronta non solo sul versante dell'Aspromonte, ma in quasi tutta la Calabria Ionica. Francesco Rosso