Nel fango di Calcutta

Nel fango di Calcutta Amaro viaggio nell'India delle grandi piogge Nel fango di Calcutta Le inondazioni ogni anno causano migliaia di morti in una città che dal '58 non sa quanti siano gli abitanti Storia di una famiglia che vive nelle "bidonvilles" con 15 mila lire al mese per nove persone: al posto del letto tre cassette, che in questi giorni sono ricoperte dall'acqua - "Il pane lo compriamo solo la domenica" (Nostro servizio particolare) Calcutta, 19 agosto. «Certo che tutti hanno paura». Quando il ciclone si abbattè su Calcutta nella notte tra il 14 e il 15 agosto. Filomena Bergeen aveva già l'acqua alle ginocchia. Nell'oscurità tutta la famiglia si era rifugiata su un letto di tavole appoggiate su mattoni. Il vento soffiava a 100 chilometri all'ora, scoperchiando i tetti delle bidonvilles. Tutti si rannicchiavano sull'unico giaciglio, aspettando il giorno. Al mattino i giornali di Calcutta davano poco rilievo a questo tornado di normale amministrazione: soltanto diciassette morti, qualche squarcio negli argini del fiume Matla, qualche dozzina di case distrutte. A Delhi, i quotidiani hanno appena citato questo incidente locale e lontano. Qui, i monsoni fanno parte della vita quotidiana, tanto che non se ne parla quasi più. Ognuno guarda le rovine negli stretti limiti del suo quartiere, nella sua strada, si addolora vagamente delle vittime più vicine, se ce ne sono, e la pioggia continua a cadere. «E' la stagione». Da una settimana Calcutta cammina nel fango, sguazza in strade trasformate in cascate, si ammassa su ciò che resta dei marciapiedi. I mendicanti stesi negli angoli non sono che mucchi di stracci bagnati. Ma chi conosce un poco la «città delle città», antica capitale dell'impero delle Indie, non si stupisce. La pioggia, i cicloni, i monsoni possono aggiungere qualche cosa a una così assoluta miseria? E' possibile seriamente distinguere gli uni e gli altri, stendere delle cifre e degli attendibili bilanci in una città dove nessuno si è mai sognato di contare i morti della notte? E' forse in una famiglia scelta tra milioni di altre, quella di Filomena Bergeen, che si ha la misura meno astratta e più precisa di un avvenimento come questo. Vive ad Ahowra, un sobborgo di Calcutta, vicino al fiume Hugli, in uno dei 2000 slums censiti nella capitale del Bengala Occidentale. «Dal 1958 si dice che noi siamo 50 mila qui. Nessuno ci ha mai contati». Filomena ha appena compiuto 30 anni. Questo slum lo conosce nei suoi più remoti angoli. E' nata qui, suo padre è arrivato adolescente a Calcutta da Bihar. Oggi Filomena è sposata, ha 7 figli (cinque maschi e due femmine). Tutta la famiglia abita in uno spazio di 3 metri per 2, paga 40 rupie al mese (3000 lire circa) a un ricco «musulmano», che possiede decine di baracche simili nelle bidonvilles. Leo Bergeen, suo marito, lavora come operaio in una piccola officina metallurgica di Calcutta. Quando lavora tutto il mese, egli porta a casa 150, qualche volta 200 rupie (15 mila lire circa). Affitto e luce pagati, non rimane che un centinaio di rupie per far mangiare 9 persone in 30 giorni. Sono appena sufficienti per acquistare i pochi chili di farina distribuiti, con delle tessere annonarie, dai servizi pubblici (per acquistarne di più c'è la borsa nera). Con questa farina si fanno i «chapatis» (gallette indiane) che si masticano bevendo del tè e accompagnandoli, eccezionalmente, con un po' di riso o di pesce. «Il pane è troppo caro, dice Filomena, si può acquistare solo nei giorni di festa. E poi a noi non piace molto». Ogni sera, il dormire pone altri problemi, poiché la baracca è troppo piccola per contenere due letti. In periodo normale, verso le 11 o mezzanotte, si spingono le tre casse che servono da sedie, vi si posa sopra un pagliericcio tra il letto e la porta: e qui stanno tre bambini. Altri tre dormono sotto il letto, e l'ultimo sopra, con i genitori. Tutte le spalle si toccano e nessuno può muoversi senza svegliare il vicino. Dall'inizio delle inondazioni, l'acqua invade la baracca una notte su due, e non ci si può coricare per terra. E allora tutti si stringono sull'unico letto. Seduti, accovacciati, aggrovigliati, ci si ammucchia tutti su 3 metri quadri, in una pesante sonnolenza fino al mattino. «Ma questa non è la cosa più grave, aggiunge Filomena, spesso, in questi momenti, s'interrompe la corrente in tutta Calcutta, le officine si fermano e gli uomini senza lavoro non hanno più una rupia per la giornata». Nelle bidonvilles non si cammina, ci si sposta faticosamente, immersi fino alle ginocchia in un fango putrido che trasporta immondizie, escrementi e topi morti. Questi rivoli maleodoranti che si incrociano sono le «vie» dello slum piene di gente, di bimbi, di vacche e di rickshaw che procedono con l'acqua ai mozzi, sollevando spruzzi di fango. Queste vie che si innalzano sui lati come gli argini di una fogna, sono dissemina te di un'infinità di piccoli ne- gozietti, di artigiani miserabi-1 li, seduti davanti alla porta, Le porte delle baracche, così I basse che bisogna piegarsi ■ per entrare, sono tutte sbar-1 rate da muretti di mattoni o d'argilla, costruiti per arre-1 stare il flusso dell'acqua: questa volta però tutti, senza eccezione, sono completamente sommersi, e l'acqua ha invaso ormai tutte le baracche. A perdita d'occhio, in questo continuo sopore, lo stesso gesto è ripetuto mille volte. E' quello degli abitanti sull'uscio di casa, armati di una scatola di conserva che dal mattino alla sera ributtano fuori centinaia di litri d'acqua. In ogni famiglia, non ci si riposa per questo lavoro: padre, madre, figli e figlie si danno il cambio. Qualche volta, il livello dell'acqua diminuisce all'interno ma più sovente rientra nelle baracche, infiltrandosi attraverso le fessure del cemento. Quando una famiglia è riuscita a togliere l'acqua dalla casa, anche solo per una notte, si chiamano i vicini perché vedano l'interno asciutto: «Sono dei privilegiati...». Gli slums sono organizzati ! in quartieri assai diversi gli uni dagli altri. Qui sono raggruppati i lebbrosi che fanno piccoli utensili domestici. Più in là delle catapecchie tutte buchi, un medico di una organizzazione caritatevole che «lavora» negli slums vaccina i bambini. «Quante vittime?V Alza le braccia. La domanda è assurda. Quante bronco-poi1 moniti, quante bronchiti, tu¬ bercolosi, dissenterie e cole- ra? Oggi, negli slums l'acqua mescola tutto e dalle fontane «potabili» sgorga un liquido maleodorante. Dove cominciano le vittime dell'inondazione e dove si fermano quel¬ le della miseria e della denutrizione? Ufficialmente a Calcutta non si muore né per fame né per inondazioni, ma di questa o di quella malattia. E' molto più rassicurante. E poi, come si potrebbero recensire le vittime negli slums? La polizia si avventura raramente fin qui, anche quanto insegue qualche naxalita (un movimento dell'estrema sinistra). Questo labirinto immondo galleggiante da settimane nella stessa melma è tuttavia uno dei più «confortevoli» slums di Calcutta. Per il governo, questa bidonville è definita confortevole dopo che si sono fatti degli «importanti lavori di miglioramento». Le vie principali sono state ricoperte di mattoni, che si potrebbero vedere, se non fossero sotto 50 centimetri d'acqua. E' stato installato qualche rubinetto, l'elettricità e qualche latrina. Nel quartiere dove abita Filomena Bergeen c'è ormai una latrina per 190 famiglie. Paragonata alle inondazioni nel Bihr, nell'Assam e nel Bangladesh, la situazione a Calcutta «non ha nulla di allarmante». J. C. Guillebaud Copyright di << Le Monde » c per l'Italia de « La Stampa » Dacca. Una donna con i figli in una delle zone colpite dalle inondazioni (Tel. Upi)

Persone citate: Assam, Bihr, Filomena Bergeen, Leo Bergeen