La Chiesa e il potere nella Spagna d'oggi

La Chiesa e il potere nella Spagna d'oggi LE SCHERMAGLIE SUL CONCORDATO La Chiesa e il potere nella Spagna d'oggi Proprio negli stessi giorni in cui infuriava la campagna per il referendum abrogativo del divorzio in Italia, metà aprile del 74, un'«istruzione» del governo spagnolo di Arias Navarro (il termine « istruzione » riflette abbastanza bene il carattere paternalistico e autoritario del tramontante franchismo nella fase da « empire liberal » della dittatura iberica) introduceva sostanziali correzioni alla normativa concernente il matrimonio civile nel sistema più rigidamente «confessionale» dell'Occidente. Per adire la via civile delle nozze, bastava una semplice dichiarazione espressa dei contraenti di non professare la religione cattolica: in vista, si aggiungeva nelle veline governative (nulla è ispirato come le veline in Spagna), di « non coartare un diritto della persona umana che non può essere soffocalo ». Era una rettifica di non poco significato rispetto allo spirito del concordato con la Santa Sede del 1953 e alle successive integrazioni legislative: integrazioni che prevedevano una specie di « abiura pubblica » della fede originaria, attraverso una comunicazione scritta al parroco del domicilio richiesto per i cittadini cattolici che volessero contrarre matrimonio civile. Abiura che non mancava di accompagnare l'interessato per tutto il resto della vita, bollandolo con un marchio di infamia, di apartheid, tale da prolungarsi su tutto, compresi gli itinerari della carriera civile. Pochi giorni dopo il governo spagnolo sopprimeva i programmi religiosi della radio e della televisione, fino a quel momento « appaltati », pressoché senza controllo, alle autorità ecclesiastiche. Era un altro colpo di spillo, e non solo di spillo, nella lunga strada della tensione che caratterizza da anni i rapporti fra il regime franchista e l'episcopato cattolico: un tema che la grave malattia del generale, e il passaggio dei poteri formali di capo dello Stato a Don Juan Carlos di Borbone, ha riportato in queste settimane sul piano di una drammatica attualità, nella generale prospettiva del « dopo Franco ». ★ * Concordato spagnolo: firmato nel 1953 ma respirante nel clima degli Anni Trenta, il clima, del resto, congeniale agli uomini e alle strutture del regime franchista. Molto simile al Concordato di Mussolini: quello che gli apologisti del franchismo chiamano il « concordato modelo entre la Santa Sede y un Estado católico en el siglo XX ». Stipulato dopo mesi di trattative laboriose, nell'aura del pontificato pacelliano al vertice della chiusura e dell'intransigenza teocratica, press'a poco nel periodo che seguiva all'operazione Sturzo e al grande duello fra De Gasperi e Gedda in Italia, con le ombre franchiste e salazariane che si protendevano sull'estrema destra dello scudo crociato. Volto a consacrare le conquiste che l'episcopato spagnolo aveva derivato dalla incondizionata benedizione allo « alzamiento militar » fin dalla metà del 1937 (un solo vescovo si era opposto, ed era stato punito), dal crisma alla soluzione franchista nel pieno della guerra civile. Istituti, addirittura pre-risorgimentali rispetto al nostro Paese, codificati e ribaditi: a cominciare dal foro ecclesiastico, cioè dal diritto di una speciale giurisdizione per il clero, che aveva visto intorno al 1850 la coraggiosa battaglia del Piemonte azegliano. Incatenata la Chiesa con sovvenzioni finanziarie di ogni genere: nel corso di quasi un ventennio, secondo i calcoli dell'ammiraglio Carrero Bianco, poco prima dello spaventoso attentato che lo travolgerà, tremila miliardi di lire per la costruzione di templi, di seminari, di centri di carità e di insegnamento. Assicurato il monopolio della Chiesa sull'istruzione religiosa, ad ogni livello; garantiti larghissimi privilegi alla scuola privata; devolute tutte le cause di nullità o di separazione matrimoniale alla competenza dei tribunali ecclesiastici, senza neppure la maschera, senza neppure l'ipocrisia dell'articolo 34 del Concordato mussoliniano... Soprattutto: riserbato al regime franchista una specie di « giudizio » di merito sull'orto¬ dossia politica dei vescovi spagnoli, attraverso il vincolo della presentazione preventiva al capo dello Stato e sua facoltà discrezionale di scelta in tre nomi già vistati dal Papa, dopo opportuni contatti fra nunziatura apostolica e ministero degli Esteri. In altre parole: sbarrata la strada della dignità episcopale ad ogni sacerdote che potesse covare sentimenti anti-franchisti, condividere il disagio o il malessere, verso il regime, già affioranti negli Anni Cinquanta ma moltiplicatisi nei due decenni successivi. Una forma di « regalismo », in tutto degna delle tradizioni della monarchia spagnola. Una interferenza e una sopraffazione del potere civile, in contrasto clamoroso ed evidente con le nuove norme che in materia avrebbe dettato il Concilio Vaticano secondo. Al punto che sarà lo stesso papa Paolo VI, un pontefice dalla linea prudente e tormentata, a sollevare, nell'aprile del 1968, il problema in una lettera personale al generalissimo Franco: con la richiesta, tottt court, di rinuncia al privilegio di presentazione dei vescovi, un privilegio che valeva, anche in base al testo del '53, per i vescovi con giurisdizione ordinaria, non per quelli ausiliari. ★ * E' da allora che si apre il nuovo, e travagliato, capitolo della revisione del concordato spagnolo, sullo sfondo di un rapporto fra Chiesa e Stato del tutto diverso da quello del lontano e pacelliano '53. Franco non dice di « no », prende tempo, sposta il problema sulla rimeditazione di tutte le clausole concordatarie. La conferenza episcopale spagnola si inserisce nel dibattito: con una maggioranza non più dominata dai « tradizionalisti », con le nuove correnti progressiste (arricchite dai molti ausiliari che via via sono stati inseriti, prescindendo dal placet governativo), si orienta verso una rinuncia al concordato globale, verso una serie di accordi separati fra potere civile e potere ecclesiastico. La diplomazia vaticana riassorbe la dissidenza episcopale; il dialogo è sempre fra Roma e il governo spagnolo, grazie alla instancabile, accorta mediazione di un uomo della tenacia e della scaltrezza di mons. Casaroli. Sei anni: ma il nuovo concordato non nasce, e il vecchio opera in condizioni radicalmente diverse da quelle in cui sorse. L'abilità cardinalizia di Franco si distingue dal massimalismo giacobino e plebeo dell'ex-socialista Mussolini; ma le tecniche di provocazione verso la Chiesa non sono molto diverse, nella Spagna degli Anni Settanta, rispetto all'Italia del biennio '30-31, nel colmo del dissidio per l'Azione cattolica. Rinfacciate crudamente ai sacerdoti le benemerenze del regime; minacciata la chiusura dei rubinetti finanziari. Annullato questo o quel privilegio; rimessa in discussione questa o quella clausola. Rivendicata addirittura al governo — siamo al maggio del '74 — l'inclusione del diritto, nel diritto feudale, di presentazione dei vescovi ausiliari. ★ ★ E' una battaglia sorda, cui si accompagna la continua ripresa e interruzione, a zig-zag, delle trattative, a Roma o a Madrid, fra Vaticano e regime franchista. Sennonché un dato illuminante emerge dalla tormentata parabola del nuovo concordato spagnolo, sempre in via di definizione e di ridefinizione: più il tempo passa, più larghissimi settori del clero spagnolo si allontanano dal modello concordatario, qualunque esso sia. Il regime minaccia di tagliare le sovvenzioni, troppo abbondanti, a clero e comunità religiose; i giovani preti, e non solo quelli baschi o catalani, chiedono perentoriamente che la Chiesa rinunci per prima a ogni privilegio finanziario, si regga col solo contributo dei fedeli. Il ministero degli Esteri oppone, agli Stati laici e « scristianizzati », i residui di foro ecclesiastico o di esenzione dei chierici dalla leva; sacerdoti e anche vescovi si pronunciano per l'abrogazione di quegli istituti. Il Concilio non è passato invano per la Spagna. La forza dell'«Opus Dei» è attenuata; i legami fra episcopato e regime sono or| mai in discussione. Chi parla più di « modello nazional-cattolico »? Il « dopo Franco » dovrà fare i conti con un mondo credente diverso e diviso, con una gerarchia ecclesiastica che non ha più niente in comune col medievalismo dell'antico primate di Toledo, che si riconosce piuttosto nel vescovo di Bilbao. E' un'incognita che rende difficile ogni previsione sugli assetti post-franchisti, ma che assicura alla Chiesa una libertà di azione, e una capacità di influenza, che sarebbero state inconcepibili ancora dieci anni fa. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia. Giovanni Spadolini