Un giro d'Italia tra mare e città di Stefano Reggiani

Un giro d'Italia tra mare e città Come premessa al Ferragosto Un giro d'Italia tra mare e città L'Italia degli attentati, l'Italia delle vacanze di massa, l'Italia di chi resta nelle grandi città, con il caldo e i negozi chiusi. Sembrano lembi di un Paese difficili da cucire insieme, e l'approssimarsi di Ferragosto segna il punto apparente di maggior disunione e di più aperta frattura. Ma è vero? Chi compie, a suo rischio, un rapido viaggio di ricognizione da costa a costa, fra Adriatico e Tirreno, può darsi che trovi incredibilmente gonfiato il mito delle ferie collettive e perfino un poco colpevole l'abbandono con cui i nostri concittadini vi si riversano. A Rimini l'esercito compatto di Ferragosto ha invaso anche gli scantinati e i pollai. L'ufficio del consorzio albergatori, davanti alla stazione, ha esposto un cartello in quattro lingue per avvertire i ritardatari e gli incauti di passaggio che non ci sono stanze. « No rooms », ha scritto col pennarello azzurro la signorina incaricata ed ha abbandonato lo sportello delle informazioni. Una sua collaboratrice più anziana (dai tratti del volto, sembra la madre) ha messo una sedia sul marciapiede, fra i taxisti e l'edicola, e cerca di cogliere un sospetto di brezza, fluttuante dal mare, oltre la torrida ferrovia, verso il tempio malatestiano. Insufflandosi ogni tanto col fiato le ascelle e la tracimante scollatura, la buona signora informa che i Ietti nei pollai s'affittano a quattromila lire per notte. La sua figliola, tornata per un attimo ai registri, annota compiaciuta che i primi ad affollarsi sono stati gli alberghi di categoria superiore, e primissimo il Grand Hotel con trecentocinquanta pensionanti a quasi cinquantamila lire il giorno. Si capisce che non c'è posto neppure negli alberghi di San Marino, che costituisce uno Stato cuscinetto fra l'Italia feriale e quella lavoratrice. Naturalmente è tutto pieno a Torre Pedrera e Igea Marina, a Rivazzurra e a Bellariva; perfino l'hotel che confina con la pista dell'aeroporto di Miramare è stipato di sereni villeggianti. Dalla pensilina dei treni, a Rimini, una giovane telefona ai familiari, dettagliando a voce altissima la sua situazione: « Ho trovato fortunatamente una stanza in un albergo proprio di fronte alla stazione, Varia di Rimini è fresca e profumala. Si sta benissimo ». Dove si vede che anche la fantasia ha la sua parte nel benessere di Ferragosto. Sul lungomare il traffico è quasi impossibile; con l'automobile o senza, sono tutti fuori a godere la sera adriatica. Sopraffatti gli stranieri, i nostri connazionali riportano Rimini alla sua misura di solenne dopolavoro. I taxisti si rifiutano di passare per le vie maggiori e imboccano desolate traverse di campagna, segnate da passaggi a livello. Ma l'onda dei villeggianti s'è spinta anche qui: costeggiano le strade male illuminate succhiando il gelato, fanno ressa attorno a qualche bar che ha il juke-box sull'uscio, gli innamorati riescono ad infilare i viottoli lungo la ferrovia. La scena non è diversa da quella della periferia di una grande città. Rimini ha quest'arte inimitabile: di rendere concreto il mito delle ferie contro ogni apparenza e di pareggiare i gusti, scansando scrupolosamente la bellezza. Sarà diverso in Versilia? Manca la scena romagnola, ma la ricerca di stanze presso gli alberghi è ugualmente infruttuosa, dal Forte a Viareggio gli esercizi di prima categoria hanno già chiuso sdegnosamente le porte, qualche pensione per prudenza ha staccato il telefono. Finalmente c'è gente per tutti, anche per la Fiera del libro che veleggia con stands multicolori nel centro viareggino. Alle otto di sera il lungomare è una colonna ininterrotta di macchine. Da una parte e dall'altra dei mari italiani, le vacanze seguono la regola aristotelica delle tre unità, di luogo, di tempo e di azione: tutti insieme negli stessi posti, nello stesso periodo, a fare le stesse cose. S'intende che la ricognizione di Ferragosto non ha nessun intento facilmente moralistico, anche se siamo in bassa congiuntura economica. E' bene che gli italiani, se possono e appena possono, vadano in ferie, che riempiano le riviere adriatiche e tirreniche, che abbandonino con sollievo le città. Ma forse (ormai l'esperienza è lunga) dovrebbero meditare sui tempi e sui modi. Il rifiuto delle ferie scaglionate, l'inevitabilità degli alti prezzi in agosto, la congestione e il cattivo uso delle attrezzature non sembrano più solo l'effetto di abitudini cristallizzate, ma di torpide rassegnazioni, il frutto di una fuga collettiva che ha valore solo se è simultanea. Così, congiurando l'economia e il terrorismo, questo Ferragosto ci sembra più aspro e contraddittorio degli altri passati, e i confini fittizi fra le tre Italie, che abbiamo enumerato all'inizio, paiono incisi su una materia meno labile che la sabbia delle spiagge. Forse è colpa nostra. Abbiamo viaggiato in treno in questi giorni con l'animo un poco accartocciato e irritabile. (E triste, quando, alla stazione di San Benedetto Val di Sambro abbiamo visto due bambini che spiavano inquieti il passaggio dei convogli). Tra stazioni e città, tra bombe e ombrelloni Ferragosto sembra un appuntamento imbarazzante. Sarebbe comodo, ma non ci sono tre Italie per spartirci i compiti: dovremo dividerci equamente le preoccupazioni, gli infelici in città e i privilegiati che fanno ressa sulle riviere. Stefano Reggiani

Persone citate: Ietti, Torre Pedrera