Analisi dell'Egitto, dopo la rivincita del Kippur di Nicola Caracciolo

Analisi dell'Egitto, dopo la rivincita del Kippur Analisi dell'Egitto, dopo la rivincita del Kippur La rinuncia di El Sadat La grande operazione politica del premier è consistita nell'accantonare il proposito di fare dell'Egitto una potenza rivoluzionaria - Un programma di alleanze con gli sceicchi del petrolio - Stranezze di Sciakbut, padrone assoluto dei propri sudditi (Nostro servizio particolare) Il Cairo, agosto. Potersi presentare al tavolo dei negoziati a Ginevra per la prima volta a fronte alta — senza avere alle spalle un'umiliante sconfitta — è certo un risultato importante ma non è l'unico successo di Sadat. In realtà, la forza diplomatica egiziana nasce essenzialmente dal fatto che, per la prima volta, il mondo arabo nel suo complesso ha dimostrato durante la crisi una certa quale unità. Il nuovo Rais, con un lavoro meticoloso e paziente, è riuscito a riallacciare i rapporti con un mondo che pochi anni fa sembrava definitivamente condannato: il mondo feudale degli sceicchi del Golfo Persico e della monarchia saudita. Perché, il paradosso della politica araba è questo. Fino a pochi anni or sono tra i Paesi più primitivi che ci fossero al mondo c'erano appunto gli Stati della penisola arabica, sui quali, nel giro di pochi anni, lo sfruttamento dei pozzi di petrolio ha fatto piovere una quantità di denaro impressionante, quantità che con l'aumento recente dei prezzi del petrolio è diventata semplicemente favolosa. Si calcola che quest'anno i Paesi produttori di petrolio incasseranno una settantina di miliardi di dollari, dei quali oltre la metà resterà nei Paesi feudali della penisola arabica. Detta brevemente, la grande operazione politica di Sadat è consistita nel rinunciare a fare dell'Egitto una potenza rivoluzionaria. La politica di Nasser mirava all'abbattimento della monarchia saudita e degli sceicchi del petrolio. Sadat ha cercato invece di farsene degli alleati. Alleati che contano moltissimo, dato che il caso (ma i musulmani non credono al caso; la fortuna, la «barakà», è un dono di Dio) li ha resi appunto ricchissimi. Paesi inoltre che nel giro di poco più di mezza generazione sono passati, con gli inevitabili stiramenti politici e sociali che la cosa comporta, dal Medio Evo più profondo a qualcosa che, bene o male, col nostro mondo moderno è in stretto rapporto. Ho avuto occasione, circa dodici anni fa, di fare un'inchiesta sui Paesi del Golfo Persico, nei quali s'era appena allora cominciato a trovare il petrolio. Tipica, per esempio, era la situazione allora ad Abu Dabi, oggi uno degli sceiccati più ricchi della regione. Nel 1962, ad Abu Dabi c'erano poco più di undicimila abitanti. La capitale era un villaggio formato da casupole di canna, all'ombra di un gigantesco castello bianco quadrangolare abitato da un curioso tipo di sovrano, lo sceicco Sciakbut bin Sultan, padrone assoluto della vita e degli averi dei propri sudditi. Il potere degli sceicchi beduini, teoricamente illimitato, non escludeva una forma barbarica di democrazia. Quando lo sceicco perdeva la fiducia dei beduini, questi per sbarazzarsene usavano un sistema sbrigativo: lo ammazzavano e andavano a cercare quindi il suo successore fra uno dei suoi parenti stretti. Le tribù beduine sceglievano infatti i loro capi sempre tra i membri di una determinata famiglia, nella quale l'incrociarsi dei complotti e dei sospetti finiva col creare un'atmosfera da tragedia shakespeariana. I tre predecessori di Sciakbut (lo zio, il padre e il nonno nell'ordine) erano stali tutt'e tre assassinati, e lo sceicco viveva nel terrore di fare la stessa fine. Quando io visitai Abu Dabi, dormiva di giorno, e di notte vagava attraverso il suo immenso castello, di modo che nessuno potesse mai sapere dove si trovava. La sua migliore protezione era rappresentata dalla madre, una personalità pare fortissima. Da quando Sciakbut diventò sceicco, la madre viveva nel terrore che il figlio potesse finire assassinato come il marito. Un giorno radunò quindi tutta la famiglia e tenne un discorso che, da quanto venne riferito da Sciakbut e da suo fratello Said, era stato carico di disperazione. Disse di non poter più reggere alla continua angoscia in cui viveva, e chiese che un giuramento impegnasse tutti a una specie di tregua degli assassinii, tregua che doveva durare per lo meno finché lei, la matriarca, fosse rimasta in vita. Comunque, occorre aggiungere, i costumi sono cambiati anche sul Golfo Persicelo sceicco Sciakbut è stato deposto da un colpo di Stato organizzato dal fratello Said qualche anno più tardi, ma nessuno gli ha torto un capello. E' stato mandato in esilio con un appannaggio più che generoso. Sciakbut era celebre anche per altre stranezze, una delle quali merita di essere riferita, dà l'idea del livello di modernità del Paese. Nel 1960 la compagnia petrolifera che aveva l'esclusiva delle ricerche ad Abu Dabi (l'ADMA legata alla B.P.) gli fece un primo pagamento: una cifra equivalente in lire italiane di oggi a circa un miliardo e mezzo. Allo sceicco venne consegnato un assegno. Sciakbut lo rifiutò. Non sapeva cosa erano gli assegni e non si fidava delle banche: chiese di essere pagato in contanti. La compagnia petrolifera dovette noleggiare un apparecchio per trasportare tutto quel denaro ad Abu Dabi e lo sceicco lo prese, lo mise in bidoni di benzina vuoti e lo chiuse nel sotterraneo del castello. Intendiamoci, non si tratta di fare del razzismo: gli usi e i costumi delle società europee nel periodo feudale non erano, tutto sommato, molto diversi. Sta di fatto, però, che la valanga di miliardi portata dal petro¬ lio è andata a finire nelle mani di una classe di gente legata a una tradizione inverosimilmente arcaica. Tutta la situazione nella penisola arabica era all'epoca di tipo analogo: nell'Arabia Saudita negli stessi anni si tagliavano ancora le mani ai ladri, e gli adùlteri — in applicazione della legge coranica — venivano lapidati. Una classe, quella dei sovrani feudali della penisola arabica, non priva anche di una certa sua grandiosità di carattere: un ombroso sentimento dell'onore e della dignità personale e un profondo senso della giustizia — sia pure concepita in termini ultratradizionali — e dotata anche, cosa che all'epoca nessuno sospettava, di una notevole capacità di adattamento al mondo moderno. Dopo tutto, questi uomini i cui rappresentanti fanno la pioggia e il bel tempo sui mercati finanziari di tutto il mondo e che trattano da pari a pari con i banchieri di Wall Street, di Zurigo e di Tokyo erano, fino a neanche venti anni or sono, re pastori, capi sempre un po tribù beduini predoneschi. Ma torniamo a Sadat. Il suo capolavoro diplomatico è stato quello di riannodare i rapporti con la monarchia saudita e con gli sceicchi del petrolio, sovrani che per anni invece Nasser aveva cercato di rovesciare. Sadat, in sostanza, ha rinunciato a fare dell'Egitto nel contesto arabo una potenza rivoluzionaria. Il suo obiettivo è quello di usare i « petrodollari » dei sovrani arabi per industrializzare l'Egitto, dando loro in cambio due cose essenziali, ambedue inconcepibili sotto Nasser: 1) la promessa di buoni dividendi, in deroga ai principi del socialismo arabo; 2) un certo grado di sicurezza politica alla monarchia saudita e agli sceiccati dei Golfo, sicurezza che nasce dal trovare nell'Egitto e, in genere, nel movimento nazionalista arabo in Medio Oriente, non più un avversario ma un interlocutore. E l'Islam rimane il cemento primo di questa intesa — se l'intesa si farà, beninteso. Nicola Caracciolo

Persone citate: Nasser, Sadat, Said