Dramma familiare dietro quello politico di Ennio Caretto

Dramma familiare dietro quello politico Dramma familiare dietro quello politico La moglie e le figlie hanno difeso Nixon fino all'ultimo - Una famiglia che rientra nell'ombra dopo l'angoscia degli ultimi tempi Oggi Richard Nixon è solo con la sua famiglia, come lo è sempre stato nei momenti più difficili della sua carriera. La moglie Pat, le figlie Tricia e Julie, e i generi Edward Cox e David Eisenhower, nipote quest'ultimo del grande Ike, erano accorsi al suo fianco mercoledì, interrompendo le vacanze in California. Si dice che abbiano insistito fino all'ultimo, anche dopo la sua «confessione», perché non si dimettesse, ma affrontasse il Congresso e, se necessario, i tribunali. Erano gli unici a credere ancora in lui, a sostenerlo, a infondergli coraggio: spiegavano che poteva aver sbagliato, ma non violato la legge. Negli appartamenti privati della Casa Bianca, il «re deposto», come ora Richard Nixon è chiamato, ha forse trovato riposo e comprensione per la prima volta in due anni. Là il dramma dell'America, del suo spirito e delle sue istituzioni si è trasformato in un dramma familiare. Davanti agli usci chiusi, dove si affaccia soltanto il fedele cameriere Manoel, si è fermata la storia. Sentimenti più intimi e più umili, ma non meno intensi né meno dolorosi, subentrano alle ragioni della presidenza. Colui che è stato l'uomo più potente del mondo, oggi non è che un marito e un padre sconfitto. La prima famiglia degli Stati Uniti, che per sei anni ne ha incarnato la retorica e i 1 miti, rientra nell'ombra. Dal l'esaltazione dei viaggi a Mosca e a Pechino, dall'ossequio dei dittatori e dei monarchi, essa passa all'anonimato della provincia. Mentre un'altra famiglia, ancora più rappresentativa del Paese, ne prende il posto, un moto di pietà accompagna il suo disperato tramonto. Per oltre vent'anni Pat, Tricia e Julie Nixon sono rimaste alla ribalta della politica Usa. Più volte, l'una è stata nominata «moglie e madre esemplare», più volte le altre sono state premiate come «bambine modello». Gli americani non ricordano di aver mai conosciuto la famiglia Nixon divisa, di aver mai appreso di un dissapore coniugale, o di uno scontro di generazioni. Dal giorno in cui «Dicky» entrò al Congresso, si abituarono a vedergli al fianco la moglie e le figlie. Egli non era una figura carismatica, ma nel Paese ancora sconvolto dalla guerra, e agitato dal fascismo di McCarthy, la sua aggressività e il suo anticomunismo avevano successo. Era un quacchero con una consorte irlandese, conservatore e religioso, senza fantasia né peccati, non poteva non andare bene. La sua estrazione — era figlio di un predicatore —, la sua relativa indigenza, la linearità del suo servizio militare rappresentavano altrettante garanzie. Quale forza costituisse per Richard Nixon la famiglia lo dimostrò lo scandalo di Chequers del 1952. Il giovane parlamentare era stato scelto da Eisenhower come candidato alla vicepresidenza. Si scoprì che era coinvolto in un broglio elettorale, aveva ricevuto indebitamente certe somme, e dei regali, tra cui un cagnolino detto Chequers, per le figlie. Un altro, forse, avrebbe ceduto sotto fl peso delle accuse, ma non Richard Nixon. Si presentò alla televisione con la consorte e le bambine. «Non ho intascato un soldo — dichiarò —. Pat indossa un vecchio, onesto cappotto americano. Sulla mia casa grava un mutuo. E come posso strappare Chequers a Tricia e a Julie?». Il Paese gli decretò un trionfo. Come vicepresidente, «Dicky» non seppe conquistarsi la fiducia né del Congresso né dell'elettorato. Ma la sua famiglia, protetta da «Mamie» Eisenhower, affascinò gli americani. Pat, bionda, gentile, controllata, diventò il simbolo della femminilità degli anni prima di Playboy e non c'era padre che non sognasse una figlia tipo Tricia o Julie, così educate, così serie. Se nel 1960 Richard Nixon perdette la battaglia contro John Kennedy per la Casa Bianca, fu perché il Paese si stava scuotendo da un profondo sonno, e aspirava a un leader dinamico e deciso, non perché Pat e le bambine apparissero inferiori alla bella Jacqueline. Nel periodo triste dall'oblìo, la famiglia lo sostenne con affetto e con coraggio. Battuto anche alle elezioni per il governatorato della Ca¬ lifornia, nel '62, egli si ritirò con un insulto ai giornalisti: «Non potrete più prendermi a calci». Ma la moglie non gli consentì di rinunciare alle sue ambizioni e alla presidenza. Attese la sconfitta di Goldwater contro Johnson per spingerlo di nuovo ai primi posti fra i repubblicani. Con le figlie, ormai cresciute, fu il suo miglior agente elettorale nella campagna del '68. Percorse instancabile l'America, in treno e in aereo, e lo stesso fece nel '72, quando, sullo slancio della distensione con la Russia e con la Cina, la vittoria assunse dimensioni storiche. Nonostante le apparenze, la famiglia Nixon è stata forse la più politicizzata a metter piede alla Casa Bianca. Ha lavorato in équipe, con coerenza, anche per contenere Watergate. Non a caso, «re Riccardo», la sera del 30 aprile del '73, quando si proclamò all'oscuro e innocente dello scandalo, nel suo primo e fatale discorso alla televisione, mise sulla scrivania, accanto a quello di Abramo Lincoln, il ritratto della moglie e delle figlie. Scrissero i giornali che il suo intervento era paragonabile a quello di Chequers, ventun anni prima. Ma il Paese era cambiato, e furono in pochi a prestargli fede. Ultimamente, nello scandalo Watergate era stata coinvolta anche la first lady americana: un regalo di «Dicky» risultava pagato con fondi elettorali. E' probabile altresì che Pat sa¬ pesse delle evasioni fiscali e dei lavori fatti eseguire nelle ville di San Clemente, in California e di Key Biscayne, in Florida, loro proprietà private, con i soldi dei contribuenti. Ma era troppo leale verso il marito, troppo decisa a combattere con lui una guerra ormai perduta, troppo impegnata personalmente per tirarsi indietro. Riferiscono le cronache che ancora il mese scorso, nelle ultime interviste rilasciate ai giornalisti, Pat proclamava: «L'innocenza è l'innocenza: il Presidente non abbandonerà il suo posto, non lo consentirà la giustizia americana». Mentre anche i funzionari più vicini a Richard Nixon, dal generale Haig all'imbambolato portavoce Ziegler, sembravano dibattersi nel dubbio, ella manifestava una incrollabile convinzione. Del marito la signora Nixon ha sempre parlato con fede e con amore, cercando di spezzarne l'immagine di un uomo freddo e solitario; o, peggio, quella rivelata dai nastri di registratore, di un uomo sboccato, arido, con una concezione pericolosa del potere, irrispettoso dei princìpi della democrazia, e ostinato nel tentativo di imporre uno stile di governo di cui sarebbe stato impossibile prevedere lo sbocco: «E' timido, introverso — ha affermato —, capace di dare in un rapporto molto di più di quanto creda la gente, capace anche di allegria, con una spiccata predile¬ zione per il pianoforte e le canzoni folcloristiche». Per tutta la vita, Pat Nixon aveva cercato di «umanizzare» il personaggio del consorte, di avvicinarlo di più alle folle: e questo era il suo ultimo sforzo, da cui, forse, sarebbe dipeso il destino della famiglia. Le ultime settimane hanno portato ai Nixon tormento e angoscia. La solitudine di «Casa Pacifica», a San Clemente, non era più infranta da alcun visitatore. Il presidente, di solito amante delle partite di golf e delle passeggiate sulla spiaggia, non usciva dalla sua camera. La moglie e le figlie indugiavano accanto alla piscina, senza parlare. All'ingresso principale, gli agenti del servizio segreto non dovevano più respingere curiosi. A Washington, sui gradini del Campidoglio, nel frattempo, un centinaio di ragazzi digiunavano e pregavano e cantavano, in onore di Richard Nixon. I portavoce della Casa Bianca cercavano di reclamizzare questa iniziativa, che avrebbe invece sottolineato melanconicamente la fine dell'«imperatore». Risuonavano le note di «America» e di «Inno di battaglia della Repubblica», e si accendevano i flash dei fotografi. Il reverendo Sun Myung Moon, un prete coreano, membro della guardia pretoriana di Nixon, benediceva la bandiera. Era solo apparenza. Il presidente stesso sapeva di non avere più via d'uscita. Ennio Caretto