Kissinger è la continuità

Kissinger è la continuità Guardando alla politica estera dopo Nixon Kissinger è la continuità (Dal nostro corrispondente) Washington, 8 agosto. Gerald Ford, il nuovo Presidente americano, e Henry Kissinger, il segretario di Stato, sono in questo momento a colloquio. Ora che il caso Watergate si è concluso, l'America cerca di captare ciò che i due uomini si stanno dicendo. E' in gioco la politica estera americana, dunque la pace, anche la « nostra » pace. Che cosa accadrà dei grandi progetti nixoniani, la Cina, la distensione, il Medioriente, ora che l'architetto è caduto? Dalle prime indicazioni, dalla carriera del nuovo Presidente, si può dedurre con ragionevole certezza che le linee maestre rimarranno le stesse. Vediamo, schematicamente, come gli specialisti di Washington vedono il futuro della politica estera Usa: 1) Kissinger resta. Dopo essere stato « prosciolto » dalla Commissione Esteri del Senato da ogni accusa di « abuso di potere », egli ha deciso di restare. Questo assicura, senza dubbio, la continuità della politica estera di cui egli era, con Nixon, il responsabile. 2) Nei confronti dell'Urss. La politica della distensione continuerà, è certo. Ma Ford, bisognoso di un totale appoggio parlamentare, dovrà forse ridurre il passo della « distensione » per non alienarsi i centri di opposizione in Senato, che si raccolgono intorno al senatore Jackson. La « distensione è irreversibile », ha detto due sere fa Kissinger in privato, «i tempi sono modificabili, adattabili alle esigenze e contingenze storiche ». 3) Il Medio Oriente. Kissinger avrà mano libera, essendo questo un terreno assai meno insidioso della distensione per quanto riguarda la politica interna. In piena agonia della presidenza Nixon, Kissinger ha continuato a lavorare alla pace, incontrando un esponente della Giordania (a Washington) e altri inviati arabi. Ford era al corrente di tutto, e non ha sollevato obiezioni. 4) La Nato e l'Europa. Diversi sintomi indicano che, sotto Ford, l'intero quadro dei rapporti Usa-Europa potrebbe migliorare. Sintomi « esterni », come l'ammorbidimento della posizione europea dopo la crisi energetica e la migliore disponibilità politica di Giscard e Schmidt; sintomi « interni », come la totale mancanza di preparazione da parte di Ford per quanto riguarda l'Europa, e dunque una completa autonomia di Kissinger; sintomi « psicologici » come la scomparsa di Nixon, l'uomo cui l'Europa non poteva perdonare la piratesca operazione dell'estate '72 sul dollaro e l'oro. Tutto questo fa sperare che America e Vecchio Continente sappiano « unire » le rispettive crisi e cercare una soluzione comune. 5) La politica militare. Ford è tutt'altro che un falco e ha già detto, mesi fa, che vorrebbe sbarazzarsi del ministro della Difesa Schlesinger, un «duro» in urto con Kissinger, l'uomo che da dietro le quinte frenò i progressi della distensione sul piano strategico. Se Mosca vorrà dare una mano a Ford e concedere a lui quello che negò a Nixon nel fallimentare vertice di luglio, potremmo assistere nei prossimi mesi a notevoli successi sul terreno del disarmo. Questo lo schema disegnato dagli specialisti di politica estera a Washington. Il fattole largamente positivo è la continuità assicurata da Kissinger e la promessa di lasciargli mano libera. Ma fino a quando? Anche gli uomini più modesti non tollerano a lungo di demandare i propri poteri e Ford non sarà sempre intimidito dalle nuove responsabilità. Egli è assai poco «familiar» con i problemi di politica estera e 15 anni fa ritenne necessario iscriversi ad un corso di aggiornamento ad Harvard: professore era un giovane studioso destinato ad una favolosa carriera, Henry Kissinger. Non sappiamo quanto Ford abbia «imparato» e ritenuto dall'antico docente, oggi alle sue dipendenze come segretario di Stato. E' certo che il Congresso e la burocrazia diplomatica tenteranno ora di rifar sentire la loro voce e «vendicarsi» di Kissinger che, con l'appoggio di Nixon, ha sempre condotto una politica molto personale. Nei giorni scorsi, quando la sorte del presidente apparve chiara, Kissinger disse che «sempre la politica estera Usa è stata condotta su basi bipartitiche». E' una bugia e Kissinger lo sa. Ma si può sperare che il Congresso vorrà limitarsi a piccole rivincite formali (più frequenti contatti e «testimonianze» da parte del segretario di Stato), lasciando la sostanza all'uomo che ha portato gli Usa in pace con tutti, dopo gli errori degli Anni '50 e '60. Si dice anche che Ford potrebbe in realtà, a lunga scadenza, sbarazzarsi di Kissinger, quando finalmente acquisterà sicurezza sulla politica estera. Naturalmente l'ipotesi non può essere verificata, ma al momento pare infondata. Se anche mezza Washington odia il segretario di Stato, Mosca intera lo apprezza. E l'Urss reagirebbe male all'allontanamento di Kissinger. v. z.