Convinto alle dimissioni da Henry Kissinger

Convinto alle dimissioni da Henry Kissinger Convinto alle dimissioni da Henry Kissinger (Dal nostro corrispondente) Washington, 8 agosto. E' finita: questa sera alle 9 (le 3 ora notturna italiana) Richard M. Nixon annuncerà al Paese le dimissioni con un discorso televisivo. Le dimissioni avranno effetto da domani, venerdì, e il giuramento del nuovo presidente, Gerald Ford, avverrà alle 6 del pomeriggio, la mezzanotte italiana. Tutto è pronto, ormai, per il trapasso dei poteri, immediato come sempre in America per non lasciare un solo istante il Paese senza guida. Ford, che diventerà così il trentottesimo presidente degli Stati Uniti, dovrà scegliere poi il nuovo vicepresidente e la scelta cadrà su uno di questi nomi: Nelson Rockefeller (ex governatore di New York), Melvin Laird (ex capo dello staff della Casa Bianca), Elliot Richardson (ex ministro della giustizia, licenziato da Nixon), Ronald Regan (governatore della California). Watergate è finita, dunque, e non ha disfatto l'America. E' l'America che si è disfatta di Watergate, dell'uomo che l'ha voluta e incarnata sempre, anche quando legalmente le prove erano ancor segrete. Per la prima volta nella storia americana un presidente si dimette, e non per malattia o vecchiaia, ma sot- | to la pressione dei fatti, dei ; cittadini, dei politici. Il benefìcio del dubbio è scomparso, i dopo la confessione di lune| di scorso (« Ordinai all'Fbi di rallentare le indagini, ver ragioni politiche») e lo schema della più grave tragedia politica americana, nei 200 anni dalla fondazione degli Usa, dopo la guerra civile, forse più dell'assassinio di Kennedy, è chiaro ormai: per ordine di Nixon, il presidente in carica, 15 collaboratori della Casa Bianca e 4 ministri o ex ministri lavorarono per due anni a sviare le indagini, subornare testimoni, mentire al publico. E tutto questo per prevalere sui propri avversari, non per la sicurezza nazionale. Se questo non basta a giustificare la fine di una gestione politica, che servirà mai? Che cosa distinguerebbe più una democrazia da una tirannide? Le ultime ore di Nixon sono una vera agonia politica, vegliata da centinaia di cittadini ammassati intorno alla Casa Bianca, da centinaia di giornalisti stipati dentro la residenza presidenziale, da milioni di persone attaccate ai loro televisori che trasmettono in diretta dai calpestati giardini del palazzo. Ora, a cose fatte, si potrebbe dire che l'esito era scontato, ma non è vero: non è mai stato vero nei due anni di Watergate, il caso nato dall'irruzione notturna, il 17 giugno 72, di agenti della Casa Bianca nel quartier generale dei democratici: a palmo a palmo Nixon è stato strappato dalla Casa Bianca, giudici e inquisitori, deputati e giornalisti (che qui svolgono una precisa funzione istituzionale) hanno dovuto contendere ogni centimetro di registrazioni, ogni documento, battendosi fino alla Corte Suprema. Se il «buon senso», il qualunquismo avessero prevalso, gli Usa avrebbero ancora un presidente forse grande nei colloqui con i grandi, ma certo disonesto e «sopra la legge». Eppure, fino a poche ore fa, egli ancora resisteva all'inevitabile. Da lunedì, il giorno della «confessione», la Ca sa Bianca è stata mèta di una vera processione di consiglieri, amici, colleghi di par- iiiijii iniiiiKiiiiiiiiTiii iiiiiiiiiiiir tito che invocavano le dimissioni. Goldwater e il rabbino Korff (capo del club dei sostenitori di Nixon), il capogruppo repubblicano Rhodes e giornalisti amici hanno ripetuto a Nixon la stessa frase, per 48 ore: « Dimettiti, per il bene del Paese ». La risposta del presidente era sempre la stessa: « No, ho ancora Tina chance ». Finché Goldwater, i! leader dei fedelissimi, gli ha fatto capire che il Senato era ormai al 90 per cento contro di lui, dopo la confessione di lunedì. L'incriminazione da parte della Camera, la destituzione successiva in Senato erano ormai certezze: 1 si trattava solo di scegliere | iiiiiiiiiifiiiiiiritiiitiiniirii li iiiiiiiiiii «come» andarsene dalla Casa Bianca, come reo riconosciuto, o come uomo libero. Un discorso chiaro, « da falco a falco ». Si dice che il fattore sbloccante delle dimissioni sia stato Kissinger. Ieri, entrando 1 da una porta nascosta, Kissinger ha incontrato Nixon: il segretario di Stato, cui senatori avevano telefonato per tutta la notte, ha detto chiaramente al suo capo, al suo « scopritore », che non solo tutto era perduto, ma la politica estera americana era in grave pericolo, che la sua ostinata resistenza alla Casa Bianca avrebbe compromesso | quanto di magnifico Nixon iiiuiitiiiiiiiiiiiiiiiiiMiir iiimiiimiiiiiiiiiiiie ii ì aveva saputo fare nella sua presidenza. L'argomento, molto acuto, ha perforato la corazza di «serenità distaccata» che ormai il Presidente si era costruito. « You are right. Henry », hai ragione, Henry, ha risposto Nixon. I due uomini si sono stretti la mano in silenzio e Kissinger è uscito. Si rivedranno domani quando, come vuole la Costituzione, Nixon darà al segretario di Stato la lettera ufficiale di dimissioni. Il discorso che verrà proVittorio Zucconi (Continua a pagina 2 «n terza colonna) ii iiiii <ìi i ii < i! m ili 11111 m m il itìiii; il i m im iii mi 11 Washington. La Casa Bianca: l'ultima foto ufficiale del Presidente (Telefoto Ansa)

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