Tutti aspettano le dimissioni di Vittorio Zucconi

Tutti aspettano le dimissioni Due giornali hanno già dato l'annuncio "irrevocabile,, Tutti aspettano le dimissioni L'America sembra ormai ansiosa di chiudere definitivamente il lungo processo morale e politico del Watergate - Una convocazione di Gerald Ford alla Casa Bianca è stata considerata come la preparazione per il passaggio delle consegne - Nelson Rockefeller sarà, probabilmente, il nuovo vicepresidente degli S.U. (Dal nostro corrispondente) Washington, 7 agosto. Il Presidente ha deciso « irrevocabilmente » di dimettersi e l'annuncio potrebbe giungere di ora in ora: secondo due giornali, uno di Phoenix, l'altro di Providence, le dimissioni potrebbero essere annunciate addirittura entro oggi: agenzie, catene televisive, inviati e corrispondenti hanno ripreso la notizia che sarebbe di « fonte sicura », e intorno alla Casa Bianca una folla silenziosa si sta raccogliendo. Turisti, giornalisti, diplomatici. E' impossibile naturalmente confermare una simile voce, ma da molti indizi, politici e amministrativi, si intravede imminente una decisione in tal senso. Può essere la speranza di veder Watergate finire, ad accendere le voci, ma i fatti non sono equivocabili: l'avvocato di Nixon, St. Clair, si è incontrato segretamente con lo speciale inquisitore su Watergate, Leon Jaworsky, per negoziare l'abbandono di ogni accusa contro il Presidente in caso di dimissioni. Il vicepresidente Ford è stato convocato di nuovo alla Casa Bianca, stamane, e ha discusso a lungo con il generale Haig, il capo dello staff presidenziale; l'incontro è facilmente interpretabile come una preparazione al passaggio delle consegne. I senatori repubblicani, dopo una riunione al Campidoglio, hanno fatto sapere a Nixon che egli deve dimettersi o affrontare con certezza la destituzione in Senato. Ford, il successore di Nixon, sta già studiando le possibili scelte per il posto di vicepresidente e il grande favorito è Nelson RockefelleV. Per il dopo-Nixon si intravede dunque una coppia Ford-Rockefeller alla guida dell'America, la prima «coppia presidenziale» non eletta nella storia americana. Per Nixon è finita, dunque? Si deve rispondere di si: secondo calcoli dell'ultima ora, alla Camera esiste ormai una maggioranza di 405 voti contro 30 in favore dell'incriminazione (.impeachment), e al Senato di 90 voti contro 10 in favore della destituzione. Secondo il senatore Scott, leader del partito di Nixon, il repubblicano, il problema non è più di stabilire «se il Presidente sia colpevole», ma uin quale misura» lo sia. I sostenitori sono spariti o hanno «saltato la siepe», passando con gli accusatori (tranne un deputato dell'Iowa che ha detto: «Starò con lui, anche se dovessero trascinarci fuori dal Campidoglio e spararci nella schiena»). Un sentimento di pena, quasi di compas sione affiora nei confronti di Nixon, il cui destino di peren ne sconfitto continua ad accompagnarlo, raggiungendolo anche nel momento della massima gloria. Perché allora egli ancora resiste, rifiuta l'ineluttabile? In primo luogo, certamente Nixon tenta di negoziare le sue dimissioni e ottenere il massimo dalla sola arma che gli resta, risparmiare al Paese l'agonia di un lungo processo in Senato in cambio della immunità parlamentare. In secondo luogo, ragioni psicologiche sono individuabili: nessuna sentenza è ancora stata pronunciata (se non quella iniziale della Commissione giustizia), e si chiede a Nixon di lasciare la carica politica più importante del mondo, da lui tanto sofferta, sulla base di previsioni, sia pur molto attendibili. In terzo luogo, per usare le sue stesse parole, il processo in Senato è un fatto politico, e «ire politica si ha sempre una probabilità di vincere». Infine, l'ultimo dei suoi sostenitori, e il più importante, Barry Goldwater, ancora non ha parlato (la voce che egli avesse chiesto le dimissioni è stata smentita) e Nixon, nella sua disperazione si aggrappa ad ogni pur piccolo appiglio. II presidente «è sereno», dice lugubremente la Casa Bianca, come parlasse di un uomo in agonia, e, da quando ha «confessato», «appare sollevato, come si fosse tolto un peso enorme». Ma, aggiungono le fonti dalla residenza presidenziale, «egli appare staccato dalla realtà», talora farnetica di colpi di scena dell'ultim'ora e non tutti i consiglieri hanno il coraggio di dirgli la verità. Per questo, i senatori andranno da lui in delegazione, per «wake him up», svegliarlo dalla sua ipnosi ottimistica. Da diversi giorni, Nixon ha in pratica abbandonato le cure del governo, e i pochi ministri che ancora lo incontrano riferiscono che «egli è cortese, ma palesemente assente con la testa». Il generale Haig, capo dello staff della Casa Bianca, ha convocato ieri sera i funzionari presidenziali, ricordando loro che «il lavoro continua come &; solito:): una prova dello scoramento che ha invaso, insieme con un senso di «tradi- mento, le stanze della «White House». E' solo questione di tempo ormai, giorni, forse ore. Pochi minuti fa, quando la notizia che il presidente Nixon avrebbe ormai deciso di dimettersi, ma attende il momento per annunciarlo, è giunta alla Casa Bianca, Jerry Warren, portavoce presidenziale, ha commentato dicendo: «Non posso confermare tale notizia». E' un'ammissione molto significativa: finora, secche, categoriche smentite avevano sempre accompagnato ogni voce di dimissioni, ma da 24 ore Warren non smentisce più, si limita a «non confermare». Si è anche appreso quale sarebbe la «fonte» da cui è venuta la notizia delle dimissioni: è il rabbino Baruch Kroff, capo di un gruppo di «supporters» di Nixon che ieri sera è stato ricevuto dal Presidente per 45 minuti. Kroff vive a Providence (Rhode Island), la città dove è stato pubblicato il giornale con l'annuncio delle dimissioni. Le notizie giungono conci- tate dalla Casa Bianca: ap- prendiamo ora che il senatore Goldwater, l'ex candidato repubblicano nel '64 contro Johnson e leader dei conservatori sudisti, si è recato alla Casa Bianca pochi minuti fa e ha parlato con il Presidente per mezz'ora. All'uscita, Goldwater non ha rilasciato alcuna dichiarazione, ma il suo addetto stampa ha comunicato che Goldwater farà rapporto ai colleghi senatori repubblicani nel tardo pomeriggio (ora locale). L'eccitazione, l'attesa sono tangibili nella 1 capitale americana. Una sorta di fretta ha invaso tutti, una frenesia di chiudere per sempre il capitolo di Watergate, liberarsi dall'incubo, ora che le colpe sono chiare, i dubbi sono spariti. Sarebbe un grave errore da parte del partito democratico cercare di prolungare ancora l'agonia di Nixon per sfruttarne il «cadavere politico» a fini elettorali. Anche in un Paese puritano e moralista come l'America, implacabile con i suoi «nemici pubblici», la tensione persecutoria ha un limite oltre il quale scatta la reazione della pietà. Se il pubblico si convincerà che i democratici si comportano in modo «disumano» con Nixon, o scorretto, le elezioni potrebbero dare un esito ben diverso dall'atteso e premiare i repubblicani. L'elettorato americano sembra avere un profondo senso dell'equilibrio: si ricordi che al trionfo di Nixon, nel '72, corrispose una dura sconfitta per i deputati e senatori repubblicani, da al. lora in minoranza. Sembra quasi che il pubblico avesse voluto predisporre una «guar. dia» democratica per limitare la presidenza, e così è stato, oltre ogni immaginazione. Se i repubblicani avessero avuto la maggioranza in Camera e Senato, Watergate non sarebbe forse mai giunto dove è ora. E coloro che rimproverano all'America la sua reazione ferocemente «moralista» contro Nixon, dovrebbero ricordare che lo stesso Nixon si fece eleggere in nome dello stesso «moralismo» che poi ha creduto di poter sfidare impunemente. Non si può invocare «Legge e Ordine» solo per gli altri. Vittorio Zucconi