A Cipro ancora morti e feriti per una guerra che non si ferma di Francesco Fornari

A Cipro ancora morti e feriti per una guerra che non si ferma Il drammatico racconto del nostro inviato nell'isola A Cipro ancora morti e feriti per una guerra che non si ferma (Dal nostro inviato speciale) Vavilas, 7 agosto. Sono tornato stamane sul fronte ad ovest di Kyrenia, dove da cinque giorni si continua a combattere. Volevo raggiungere Lapithos, ma è stato impossibile. Da questa notte il Paese è sotto il fuoco dell'artiglieria turca: commandos delle forze di Ankara si sono installati nelle prime case del paese, dalle quali si domina la strada costiera. Nel villaggio e nelle borgate vicine si combatte casa per casa: i soldati della guardia nazionale greca sinora sono riusciti a contenere l'offensiva del nemico, anche perché si ha la netta impressione che i turchi non insistano troppo nell'avanzar e, ma si preoccupino soprattutto di consolidare le loro posizioni. Mi dicono che a Lapithos vi sono stati molti morti e feriti: chissà cosa sarà del vecchio contadino che avevo incontrato venerdì scorso. Privo delle gambe, immobilizzato su una sedia a rotelle, mangiava tranquillamente mentre dalla montagna arrivava l'eco degli spari. Era uno dei sei abitanti che si erano rifiutati dì abbandonare il villaggio: parlava soltanto il greco, in un incerto inglese alle mie do'mande aveva risposto: «I am a number one». Non Ilo mai saputo che cosa intendesse dire. I soldati greci mi hanno detto che dal paese hanno evacuato cinque donne: nessuno ha saputo darmi notizie del vecchio. Mi dicono che nel villaggio costiero di Vavilas, a quattro chilometri da Lapithos, ci sono molti civili feriti che attendono di essere portati in salvo. Mi dirigo verso il paese: la strada costiera è ingombra di camionette della guardia nazionale che tornano indietro. Numerosi soldati, giovanotti di vent'anni, gli occhi arrossati da notti insonni, la barba lunga, il mitra o il fucile stretto nervosamente fra le mani, raggiungono le nuove posizioni. E' una ritirata triste, silenziosa. Abbandonati a loro stessi (non ho insto un solo ufficiale da quelle parti), questi ragazzi cercano di arrangiarsi come possono. Nessuno lì consiglia: sono armati alla meno peggio (in tutto, ho visto un solo cannone anticarro), hanno di fronte un esercito con carri armati e arti- glieria, sono privi di informazioni (tutti mi chiedevano avidamente notizie su Nicosia e la conferenza di Ginevra). Fino a ieri, hanno combattuto contrastando l'avanzata turca: oggi, sotto il fuoco dell'artiglieria, sono stati costretti ad abbandonare le loro posizioni e vanno a costruirne di nuove più indietro. Procedo lentamente per circa un chilometro. D'improvviso si scatena l'inferno: l'artiglieria nemica ha aperto il fuoco sulla strada. Una serie di esplosioni davanti, di fianco, dietro, nuvole di fumo si alzano verso il cielo, vampe accecanti balenano fra gli alberi. Blocco la vettura e corro verso un uliveto dall'altra parte della strada: sento il sibilo dei proiettili in arrivo, seguito dal cupo boato delle esplosioni, la strada è deserta, i soldati sono scomparsi, al riparo nei fossi o fra gli alberi. L'uliveto dove mi sono nascosto sembra essere al centro della zona scelta dagli artiglieri turchi: le bombe cadono tutt'intorno, un campo di grano è in fiamme alla mia sinistra. Cerco di spostarmi in un settore più tranquillo: costeggio la strada per un centinaio di 'metri, oltrepasso una curva. In mezzo alla carreggiata c'è un carro blindato greco distrutto: dalla torretta esce un filo di fumo, sull'asfalto il cadavere di un soldato. Il bombardamento prosegue per venti minuti. Finisce all'improvviso, così com'è cominciato. I soldati greci escono dai ripari: qualcuno è ferito. Lentamente la colonna si riforma, riprendono la marcia verso Myrtou, dove sono state allestite le nuove linee di difesa. Io proseguo verso Vavilas. A piedi: percorrere la strada in auto sarebbe un suicidio, l'artiglieria turca spara contro tutto quello che si muove lungo la rotabile. Arrivo a Vavilas attraverso sentieri lungo la costa. Il paese è deserto, su un'ambulanza della Croce Rossa greca salgono gli ultimi feriti: 14 persone, donne e bambini, stipati nell'esiguo spazio della piccola vettura che si allontana lentamente per i campi. Incontro un vecchio seduto davanti alla portù di una casa, pochi metri dal mare. Parla soltanto greco: a gesti mi chiede delle sigarette, gli dò un pacchetto di «Gauloise» che fanno da queste parti. Vorrebbe che mi fermassi a mangiare con lui, mi fa vedere un pesce appena pescato, del riso cotto. Poco lontano da noi le mitragliatrici sparano rabbiosamente. Lo esorto a venire via con me. Rifiuta: con un ampio gesto della mano mi indica la casa alle sue spalle, entri! in cucina, ritorna con la foto di una donna anziana. Dev'essere sua moglie, credo di capire che è morta, perché mi indica il cimitero che si vede alla periferia del paese. Non riusciamo a comunicare con le parole, ma quello che vuol dire è evidente: qui c'è tutto quello che ha. Non vuole andare via, non vuole abbandonare il paese dove ha vissuto, dov'è sepolta sua moglie. Torno indietro, raggiungo l'auto che avevo abbandonato sulla strada alle prime canno¬ nate. Nel portabagagli c'è un grosso buco: dentro trovo una scheggia di granata. Poco lontano, sull'asfalto, il cratere provocato dall'esplosione della bomba. Riprendo la strada verso Nicosia: mentre attraverso il valico sulla montagna, altre esplosioni. L'artiglieria turca bombarda il villaggio di Larnaca (da non confondere con l'omonima città dall'altra parte dell'isola). Raggiungo il paese: soldati della guardia nazionale mi dicono che il cannoneggiamento è iniziato all'alba. Adesso è mezzogiorno: da otto ore le bombe cadono sulle loro posizioni. Sulla montagna, nel settore occupato dai turchi, si vedono le vampate dei cannoni che sparano sul villaggio. I civili sono stati evacuati nella notte, nel paese non è rimasto nessuno. Mentre torno indietro per riprendere la strada verso Nicosia, passo accanto ad una cascina abbandonata. C'è una pecora, legata con una lunga corda ad un albero, che tenta di liberarsi, impazzita dal terrore. Vado a slegarla: appena è libera, corre bere in un fosso, poi scappa verso un boschetto, a meno di un chilometro, le bombe continuano a scoppiare senza un attimo di sosta. Francesco Fornari

Luoghi citati: Ankara, Cipro, Ginevra, Kyrenia, Nicosia