Vicini potenti e permalosi di Mario Ciriello

Vicini potenti e permalosi IL GIAPPONE TERZO "GRANDE,, DELL'ECONOMIA Vicini potenti e permalosi Circondato da America, Urss e Cina, il Giappone non può concedersi in politica estera impegni esclusivi o colorazioni ideologiche ■ Concede a Mosca capitali e tecnici per lo sfruttamento della Siberia, ma vorrebbe coinvolgere anche Washington (Dal nostro inviato speciale) Tokyo, agosto. Nel suo ufficio, al Gaimusho, il moderno ministero degli Esteri, Mizuo Kuroda, uno dei direttori generali, mi descrive le preoccu pazioni della politica estera nipponica. « Lo scorso anno, visitai la Nuova Zelanda e sentii una profonda invidia per la posizione geografica di quella bella nazione. I neozelandesi sono circondati dall'Australia, dalle Pigi, da Tonga e dal Cile. Il quadro che si presenta agli occhi dei giapponesi è assai diverso, e non così placido». E con l'indice verso una carta del globo: « Vede, il Giappone, invece, è circondato dalle tre massime potenze militari. America, Unione Sovietica, Cina ». Ecco un'altra delle inesorabili realtà che fanno del Giappone una delle contraddizioni più straordinarie della scena internazionale. Contraddizione in termini, perché è un gigante, ma vulnerabile, un campione, ma con troppi punti deboli. E' il « terzo grande » dell'economia dopo America e Russia: ma, a differenza di queste due potenze, è privo dì quasi ogni risorsa naturale, deve importare tutto e ad ogni scatto nella sua espansione corrisponde un sempre più intollerabile consumo di materie prime. Iwasa, vice-presidente di quell'impero che è il Keidanren, la Confindustria nipponica, risponde alle mie domande: « Non possiamo aggravare la crisi mondiale delle risorse, già ne ingoiamo da soli il 12 per cento. E' consigliabile abbassare il nostro sviluppo dal 10-12 all'otto, al sette e forse al cinque per cento ». Niente risorse; niente armi nucleari, almeno per parecchio tempo; e neppure un vincolo con una qualche comunità regionale capace di attutire le scosse più. brusche. I giapponesi ci invidiano la nostra tentennante Europa a nove. Ripetono: «Non sarete compatti, ma nessuno è solo. Vi è sempre qualche mano pronta ad assistervi ». E a chi ricorda l'amicizia Tokyo-Washington, rispondono: «Sì, è vero, siamo protetti dall'ombrello atomico statunitense e l'America è tuttora il nostro miglior mercato, con oltre un quarto delle nostre espor- fazioni. Ma Washington non pensò a noi, quando decise di difendere i propri interessi economici tra il '71 e il '73 ». L'imprenditore planetario, con i suoi grandiosi investimenti in America Latina, in Asia, nel Medio Oriente, quasi ovunque, questo Giappone, che già nel '70 il futurologo americano Herman Kahn definì « The emerging superstate », è pertanto un elefante che deve muoversi con l'agilità e la leggerezza di una gazzella. Ogni potenza ha i suoi limiti, ma nessuna deve agire su terreno tanto circoscritto. La politica estera è sovente lo specchio di una nazione, ed è significativo il fatto che, negli anni passati, Tokyo ne abbia seguita una ispirata unicamente da considerazioni commerciali. In questi giorni, ora che il Paese si appresta a nuove scalate, anche se meno vertiginose, si cerca di dare a questa politica una fisionomia più incisiva, ma due elementi restano immutati: nessuna colorazione ideologica, nessun impegno esclusivo. E' una strategìa con radici profonde, che vanno oltre l'economia e attingono — in un « consenso » tipicamente nipponico — alla psiche collettiva. Saburo Okita, presidente del « Japan Economie Research Center», scrive: « Nella scherma giapponese, il kendo, vi è una posizione chiamata happoyabure, e che significa "indifeso su ogni lato". Simbolicamente, dev'essere questo il nostro atteggiamento. Amici con tutti, perché è motivo di forza ». E' un'applicazione alla politica estera di una delle massime più citate: « Deru kui wa utareru », lù stanga che scorge è quella che subisce i colpi di martello. (Memori di tale pericolo, i giapponesi s'integrano con slancio nell'azienda e nella società). Il termine stesso che designa l'individualismo, kojin-teki, ha una intonazione negativa, sa di arroganza, d'irresponsabile orgoglio. Amici con tutti, quindi, e massimamente con i tre formidabili vicini. Usa, Urss e Cina. La parola d'ordine è: pragmatismo. E, per fortuna loro, i figli dell'Asahi, il Sol Levante, ne hanno a dovizia. Con intelligenza spietata, la sociologa Chie Nakane ha scritto dei suoi compatrioti: « Il pensiero dei giapponesi è foggiato dalle situazioni, non dai principi, mentre in Cina avviene l'opposto. I cinesi hanno creato l'arte classica in tutte le sue forme e non possono fare nulla senza principi. I giapponesi, invece, non ne hanno affatto ». Si negozia, allora, con l'Unione Sovietica nel tentativo di trovare nuove fonti di risorse. Si parla con la Cina, animati dalla medesima speranza, ma anche perché migliori saranno i rapporti Tokyo-Pechino più ansiosa diverrà Mosca di non deludere i nipponici, dì dilatare il dialogo. Mosca ha presentato a Tokyo sei progetti, e quasi tutti mirano ad accelerare lo sviluppo della Siberia ed esìgono assistenza finanziaria e tecnologica. Su uno soltanto si è giunti ad un accordo definitivo, quello per l'estrazione di carbone nella Yakutia. Il Giappone presterà alla Russia 450 milioni di dollari, fornirà know-how e, in cambio, ri- ceverà il minerale. Altre due intese — per la raccolta di legname e per la produzione di carta — sono pressoché concluse. Sul progetto per l'estrazione di metano in Yakutia esiste un accordo preliminare, ma non si va oltre perché Tokyo insiste per una partecipazione americana e gli Usa riluttano (il Congresso non autorizza crediti se i russi non facilitano l'emigrazione degli ebrei). Lo stesso vale per il maestoso disegno, adesso arenato, per lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi di Tyumen, nella Siberia occidentale. Washington s'inserirà forse nel sesto progetto, gas da Sahalin, l'isola sovietica a Nord del Giappone. Per questa operazione, Mosca non sollecita finanziamenti. La mancata intesa su Tyumen ha ferito dolorosamente le speranze nipponiche di ridurre l'eccessiva signoria mediorientale sui rifornimenti di petrolio; ma il governo ha considerato troppo alto il prestito voluto dal Cremlino, tre miliardi di dollari, e troppo bassa l'offerta di petrolio, 25 milioni di tonnellate l'anno, da pagare. L'ultima parola non è però detta. L'argomento Tyumen potrebbe essere ripreso nel '75, quando diverrà più chiaro l'andamento dei negoziati sul trattata di pace. I giapponesi rivendicano le quattro Curili meridionali, occupate da Mosca nel '45. I russi sembrano ora più flessibili, potrebbero cederne due. Con la Cina, a prima vista, non s'è fatto molto: un accordo commerciale e, il 20 aprile ultimo, una convenzione aerea, che permetterà ai jet nipponici di scendere a Pechino e a Shanghai e ai jet della Repubblica popolare di atterrare a Tokyo e ad Osaka. Ma non sono passati neppure due anni dalla riapertura delle relazioni diplomatiche; ed è evidente il desiderio giapponese di estendere la neo-amicìzia ad altri settori. Abbiamo indicato un motivo: più Mao dischiuderà le braccia ai nipponici più Breznev lo imiterà. Ma ve n'è un altro: c'è petrolio in abbondanza pure nel sottosuolo cinese e lungo la costa. Fatto significativo: nel '73, le importazioni giapponesi dalla Cina hanno superato quelle da Taiwan. L'arcipelago prepara il terreno a una collaborazione petrolifera e industriale. La superpotenza economica giapponese danza con le due superpotenze militari comuniste, ma attenta a non accendere pericolosi sospetti (Tokyo non ha voluto assistere Mosca nel potenziamento delle comunicazioni ferroviarie siberiane, gesto che Pechino avrebbe inter¬ pretato come una minaccia). E' una cautela di cui si ode un'eco nella strategia dell'astuto partito comunista, l'unico che ha guadagnato terreno negli ultimi anni. Zenmei Matsumoto, che dirige la sua politica estera e siede in Parlamento, mi dice: « Noi non accettiamo interventi stranieri, siamo indipendenti da Mosca come da Pechino, seguiamo la nostra strada. Russia e Cina non sono modelli da imitare ». E' un comunismo con programmi più blandi dei socialdemocratici europei. Purtroppo, molte ombre si profilano all'orizzonte. Una nota di freddezza si è inserita nei rapporti russoamericani. Il dialogo Washington-Pechino si è fatto incerto: Ciu En-lai è malato, Mao è vecchio: chi guiderà fra non molto gli 800 milioni di cinesi, e in quale direzione? Tokyo è al centro di questo triangolo, UsaUrss-Cina. S'allenterà il legame con l'America? Si rafforzerà quello con la Cina? E' improbabile, ma non impossibile. Come non è impossibile che un domani, se il Giappone vedrà vacillare quella stabilità che ansiosamente brama, e che è condizione della sua prosperità, cerchi sicurezza in un proprio braccio nucleare. Tale è la sua tecnologia che in sei mesi potrebbe approntare una temibile bomba. Mario Ciriello

Persone citate: Breznev, Ciu En-lai, Deru, Herman Kahn, Kuroda, Mao, Matsumoto, Saburo Okita