La religione di El Sadat di Nicola Caracciolo

La religione di El Sadat EGITTO: ANALISI DOPO LA RIVINCITA La religione di El Sadat Il "leader" egiziano applica la regola araba che chi vuole governare deve venire a patti con le tradizioni e le credenze islamiche - Un viaggio sui luoghi della guerra del Kippur - La politica di riavvicinamento nei confronti dei "fratelli musulmani" (Nostro servizio particolare) tsmailia, agosto. Ridotta alla strategia essenziale, la politica di Sadat non è molto diversa da quella di Nasser. Il nuovo presidente vuole la rinascita dell'Egitto e la rinascita del mondo arabo come il suo predecessore. La loro formazione ideologica era stala infatti molto simile. I due, per anni, avevano collaborato strettamente in quelle società segrete di giovani ufficiali che dovevano portare alla rivoluzione contro la monarchia di Faruk nel 1952. Unica differenza, Sadat era più religioso di Nasser, più legato quindi alla setta dei « fratelli musulmani » (un'organizzazione nazionalista e religiosa). Il che, dopo tutto, ha una certa importanza. Dovunque nel mondo arabo, infatti, chi ha voluto governare ha dovuto venire a patti con le credenze e con le tradizioni del Medio Evo (per usare questo termine) islamico; cioè con una società profondamente impregnata di religiosità e al tempo stesso di usanze feudali. E' un punto fondamentale che va capito per rendersi conto delle difficoltà dei problemi sul tappeto. Il nazionalismo arabo — a differenza dei movimenti nazionalisti e liberali europei nel XIX secolo — non è mai stato laico. Al contrario, ha sempre cercato di rivendicare i valori, in polemica contro l'Occidente, della civiltà islamica tradizionale. E a questa civiltà Sadat si mantiene, tutto sommato, più legato di quanto fosse Nasser. E questa presenza di un sottofondo ancestrale sotto la superficie degli usi occidentalizzati o magari sovietizzanti, la si può avvertire dovunque nella società egiziana. Anche e soprattutto nell'esercito. Vengo portato a vedere il campo di battaglia nel Sinai, dove nell'ottobre scorso egiziani e israeliani si sono affrontati. Passiamo per la città di El Kuneitra completamente distrutta, attraverso la quale sfila un'interminabile colonna di carri armati. L'ente cinematografico egiziano ha chiamato un regista italiano, Maffei, per girare la storia della battaglia. Dietro ai carri armati, un'infinità di comparse egiziane travestite da prigionieri israeliani. La tragedia della guerra assume così un piccolo tono da operetta. L'ente cinematografico di Stato vuole una rievocazione in stile di trionfo faraonico. Eppure, non c'è dubbio che l'esercito egiziano s'è battuto seriamente. Un ragazzo di poco più di venti anni, tenente della seconda divisione corazzata, l'unità di élite che sfondò in questo punto la linea Bar Lev, spiega come si sono svolti i combattimenti. Una manovra avvolgente preparata per anni. La linea Bar Lev era formata da una gigantesca muraglia di sabbia, intervallata da fortilizi, muraglia nella quale, mi dicono, sono stati aperti dei varchi con fortissimi getti d'acqua. Il tenente aveva preso parte ai combattimenti e ovviamente rievocandoli si emoziona: il suo battaglione aveva subito perdite pesanti. Per quasi un anno la sua divisione aveva provato la manovra su un canale del Nilo all'interno dell'Egitto, con una meticolosità e una attenzione ai dettagli di cui tradizionalmente nessuno riteneva gli arabi capaci. Il momento culminante dello scontro s'era avuto con l'attacco a un fortilizio israeliano, di cui adesso restano solo le rovine. Gli egiziani dovettero aprirsi la strada attraverso un campo minato. Se ne incaricò una squadra suicida di volontari, che si fecero saltare in aria per consentire agli attaccanti di avanzare. L'unità che visito ha uh tono di efficienza moderna, è una delle migliori formazioni dell'esercito egiziano. E' un'atmosfera indefinibile che circonda le truppe che sono state al fuoco portandosi bene, e che le rende diverse e superiori alle altre unità del loro esercito che non hanno fatto le stesse esperienze. Le truppe di élite s'assomigliano sempre tra loro. Ho avuto attraverso gli anni occasione di vederle spesso in azione: paracadutisti francesi in Nord Africa, « commandos » israeliani, truppe aeroportate americane; gli atteggiamenti erano sempre quelli. Qui comunque un elemento diverso c'è: le squadre suicide, mi spiegano, erano formate da «fidayains» egiziani. Da combattenti per la fede cioè. Il loro grido di guerra era «Allah Akbar » (Dio è grande). La preparazione militare dei «fidayains» viene completata per certi versi — un po' come accadeva per i kamikaze in Giappone — da dei veri e propri periodi di ritiro spirituale. Nel vecchio mondo islamico, la morte in guerra — in una guerra « giusta » combattuta per la fe¬ de — aveva il carattere di un vero e proprio sacramento. La politica di riavvicinamento al mondo musulmano tradizionale che Sadat porla avanli, all'interno significa un riavvicinamento a questo genere di tradizioni: ai «fratelli musulmani» che Nasser aveva perseguitato ferocemente, agli « ulema » e alle gerarchie religiose, ma soprattutto alle masse contadine, che costituiscono ancora la maggioranza della popolazione egiziana e che restano profondamente legate alla fede musulmana. Un modo cioè di ristabilire un certo grado di unità nazionale. Del resto, occorre aggiungere, il nuovo Presidente è mollo più lollerante di Nasser verso tutle le forme di opposizione, quelle di sinistra comprese. Comunque, l'elemento religioso va tenuto presente anche per comprendere la politica estera egiziana. Grazie ad esso Sadat s'è potuto presentare alla prova di forza contro Israele nell'ottobre scorso avendo dietro di sé non solo l'appoggio (che Nasser aveva sempre avuto) dei regimi arabi rivoluzionari — Siria, Irak, Algeria — ma anche quello degli stati feudali della penisola arabica. Nicola Caracciolo vM.MEDÌ TURCHIA rem m [LIBANO/ SIRIA1 [ISRAELE //Cairo^ ^GJPRD. EGITTJJlà Bagdad IRAK z: