Una famiglia contro i colonnelli di Ennio Caretto

Una famiglia contro i colonnelli Grecia: i sette anni terribili dei fratelli Panagulis Una famiglia contro i colonnelli Nostra intervista con la madre di Giorgio (che scomparve nel 1967), Alessandro (che attentò alla vita di Papadopoulos), e Statis, appena liberato dall'isola-penitenziario di Yaros - Anche lei, Atena, fu per un periodo gettata in carcere dalla Giunta (Dal nostro inviato speciale) Atene, 3 agosto. In ogni guerra, in ogni colpo di Stato, in ogni repressione, si mescolano alla tragedia nazionale, compenetrandosi in essa fino ad esemplificarla, tragedie personali e familiari che divengono poi testimonianze di dignità ed eroismo d'un intero popolo. Forse la più bella, certo la più celebre di queste vicende nei sette anni di dittatura militare in Grecia, è quella dei tre fratelli Panagulis, protagonisti della Resistenza e simbolo della rivolta giovanile. Dei tre, Giorgio, il maggiore, è scomparso nel '67; Alessandro, di 35 anni, l'autore dell'attentato del '68 a Papadopulos, già condannato a morte, vive in Italia; e Statis, ventottenne, è tornato la settimana scorsa ad Atene dall'isola-penitenziario di Yaros. In questi giorni Statis Panagulis ed io siamo divenuti amici e oggi seggo alla sua tavola, nel sobborgo di Glifada. Il termometro segna 40°, luccica il mare in lontananza. Nel giardino fitto di alberi, un ufficiale d'una base americana chiede di affittare il secondo piano della villa. Davanti a me c'è mamma Panagulis, mi ha servito carne, « feta » (formaggio fresco) e pomodoro. Alle pareti pendono i ritratti dei suoi figli, le loro lauree e i diplomi. Tra gli scaffali spuntano la spada e le medaglie di papà Panagulis, colonnello dell'esercito, morto nel 1970. E' la prima volta in sette anni, mi dice Statis, che i poliziotti non sorvegliano la casa. Atena Panagulis è una donna forte, silenziosa e spiccia. Veste in nero, i capelli, ancora scuri nonostante l'età, raccolti sulla nuca, le mani composte. A tratti, gli occhi le si illuminano di subitanei sorrisi. Racconta la sua storia con semplicità. « Mio marito ed io ci incontrammo a Patrasso e ci sposammo a Vassiliki, il mio villaggio natale, nell'isola Lefkada, nel 1934. Basilio era maggiore a riposo, aveva fatto la guerra contro i turchi nel '21, e figurava invalido. Abitammo a Pirgos — la sua città, nel Peloponneso — fino al '36, quando lo richiamarono in servizio attivo al ministero della Difesa, il Pentagono di Atene ». Il primogenito, Giorgio, nacque dopo poco. « Eravamo giovani e felici, ma vennero i tedeschi ». I Panagulis trascorsero gli anni del conflitto a Lefkada, per tornare poi nella capitale. Il colonnello Basilio si dimise nel '52. « Afteros, severo, ecco che cos'era: un uomo coerente, inflessibile con sé e gli altri. Diceva che non si possono compiere porcherie nel nome della patria ». Antifascisti, democratici, i Panagulis disapprovarono tanto il regime del maresciallo Papagos quanto quello di Karamanlis: erano esponenti della destra, e instaurarono quasi uno stato di polizia. Fatalmente i figli entrarono nella politica. «Si iscrissero alla gioventù dell'Unione di centro del vecchio Papandreu, tranne Giorgio, che aveva intrapreso la carriera militare ». II colpo di Stato del 21 aprile '67 trovò Giorgio coi gradi di tenente, Alessandro alla vigilia della laurea, ma in servizio di leva, e Statis matricola di giurisprudenza. « Giorgio e Alessandro disertarono. Giorgio passò il fiume Evros, entrò in Turchia, tramite l'ambasciata chiese asilo politico in Italia, pur- troppo invano. Proseguì per la Siria, il Libano e Israele. A Haifa lo consegnarono alla marina militare greca. Lo riportarono in patria in nave. All'ingresso del porto del Pireo si buttò in acqua: era para e sommozzatore, un atleta, però nessuno l'ha più visto, chissà che cosa gli è accaduto ». Anche Alessandro Panagulis, dopo avere organizzato un gruppo della Resistenza, cercò aiuti all'estero. I vecchi guerriglieri dell'Eoka 1, non asserviti ad Atene a differenza dei loro eredi d'oggi, lo accolsero a Cipro. Ma Nikos Sampson, che in seguito doveva eseguire il colpo contro l'arcivescovo Makarios, pubblicò la sua fotografia e la scritta « ricercato » sui propri giornali. Alessandro dovette fuggire. Tornò in Grecia per l'attentato del 13 agosto '68: mancò il bersaglio, e 10 arrestarono. Dice la madre: « Presero subito anche me e suo padre, che eravamo all'oscuro di tutto, ci trascinarono in carcere. Non ci vedemmo per quattro mesi». Le lacrime riempiono gli occhi di mamma Panagulis al ricordo dell'incontro col secondo figlio, il 23 dicembre dello stesso '68. « Fu il generale Gizikis, oggi presidente della Repubblica, a darmi il permesso. Andai a Boiati, la sede della polizia militare, a dieci chilometri da Atene. Non sapevo che cosa mi attendeva, Alessandro ed io non ci eravamo neppure potuti scrivere. Lo vidi in una cella isolata, piccola e orribile, ammanettato alle sbarre della porta, smagrito, bianco, sofferente per le torture. "Mi tengono così dal giorno dell'arresto", mi disse. "Figlio, gli risposi, tennero San Paolo incatenato nei sotterranei per due anni, perché predicava 11 Vangelo" ». Alessandro Panagulis riuscì a fuggire, incredibilmente, il 6 giugno 1969. Restò libero tre giorni, gli avevano messo una grossa taglia sulla testa e qualcuno lo tradì. Ma la condanna a morte era stata tramutata in ergastolo grazie all'intervento di papa Paolo VI, del presidente Johnson, di U Thant e di infiniti altri. « Non me lo lasciarono riabbracciare per sette mesi. Il 1970 fu un anno triste. Morì suo padre. La mia unica gioia era la libertà di Statis, risiedeva in Italia, studiava scienze politiche. Entrava e usciva dalla Grecia clandestinamente ». Fu durante una vi¬ sita che anche il terzogenito venne catturato dalle autorità. « Era l'agosto del '72 », rammenta mamma Panagulis. «Lo torturarono e processarono, poi lo rinchiusero a Boiati come Alessandro. Non consentirono mai loro di stare insieme. S'incontrarono per la prima volta dal '67 quando Papadopulos proclamò l'amnistia, agosto del '73 ». Alessandro ottenne il passaporto e riparò in Italia. Statis dovette partire per il servizio di leva, e dopo pochi giorni lo imprigionarono di nuovo. Ritornò a Boiati, nella cella del fratello. Ad aprile di quest'anno, si trovava nella famigerata Yaros. Là la madre non fu mai ammessa, egli le scriveva tre volte al mese. Le chiedo se in tanti anni non abbia mai ceduto alla disperazione. «Mai, mi risponde, mi hanno sorretto la fede religiosa, la convinzione politica dei miei figli, l'appoggio degli amici e dell'opinione pubblica internazionale. Ho pianto spesso, questo sì, ma ogni orrore, sopruso o violenza mi hanno spinto a combattere di più». S'interrompe un attimo, riprende: « Non ho mai chiesto pietà a un generale, non ho mai dubitato che Alessandro e Statis sarebbero tornati liberi. Di notte scrivevo ai giornali, alle grandi personalità, e di giorno portavo le lettere ai corrispondenti stranieri. Ho tentato tutte le strade oneste, in un'altalena di speranza e di dolore ». Mi dice che la caduta della Giunta non l'ha colta di sorpresa: « Me l'attendevo da parecchi mesi, vedevo la catastrofe che incombeva sulla Grecia, la Giunta non aveva via d'uscita ». La settimana scorsa è andata ad accogliere Statis a Porto Rafti « con l'animo finalmente sereno ». Ha festeggiato la liberazione a casa, con i piatti preferiti dal figlio, il vino resinato e le canzoni di Theodorakis e della Resistenza. Ma non si nasconde che «esistono ancora troppe incognite. Siamo sicuri che i militari resteranno al loro posto? E Karamanlis è cambiato? Anche con lui, in passato, s'è sofferto. Speriamo che presto ci siano le elezioni ». Fuori si attenua il caldo, attraverso un portico spira un po' di vento, è l'ora del caffè. Da Firenze telefona Alessandro, tornerà il 13 agosto, settimo anniversario dell'attentato a Papadopulos, molti uomini politici vogliono parlargli. Con ordine, mamma Panagulis sparecchia la tavola. Si sovviene di quando esortava la famiglia alla pazienza « perché passeranno questi giorni terribili », e di quando, pur nella paura, ne seguiva l'attività senza opporsi, « perché non può esservi compromesso col fascismo ». La osservo, e capisco quale determinazione e forza abbiano tratto da lei i figli, e come abbiano potuto superare angosce e tormenti, anno dopo anno, in prigione e nell'esilio. Ennio Caretto Atene. Alessandro e Statis Panagulis, con la madre Atena, hanno ritrovato la libertà dopo molti anni di sofferenze