Certo: Giuliano è proprio morto Di vivo è rimasto solo il suo mito di Guido Guidi

Certo: Giuliano è proprio morto Di vivo è rimasto solo il suo mito Una figura che in Sicilia è entrata nella leggenda Certo: Giuliano è proprio morto Di vivo è rimasto solo il suo mito Qualcuno disse che quello ucciso non era il bandito, ma un sosia - I "fedeli" di "Turiddu" lo pensano esule in America - Ma il suo cadavere è sepolto nel cimitero di Montelepre (Dal nostro inviato speciale) Montelepre, 2 agosto. Non possono esistere dubbi: quello ucciso a Castelvetrano, la notte del 5 luglio 1950, è davvero Salvatore Giuliano e non un sosia come, invece, sostiene il cognato, Pasquale Sciortino. E' questa una certezza confermata (sia pure indirettamente) dalla sorella Mariannina; dal nipote Giuseppe Sciortino che si è fatto portavoce della madre; dall'impiegato comunale di Montelepre, Rocco Imbastato, che, ventiquattro anni or sono, venne convocato d'urgenza perché riconoscesse ufficialmente il cadavere; tutti coloro che videro il corpo senza vita del bandito prima nel cortile dell'avvocato Gregorio Di Maria e poi sul tavolo di marmo all'obitorio. L'ipotesi che qualcuno, quella notte, abbia sostituito un morto a un vivo per «ragioni di Stato», può essere suggestiva, ma è senza fondamento. Mariannina Giuliano ha deciso di non parlare in prima persona ed è inutile insistere. Forse muterà opinione, ma non per il momento. Ora, chiaramente, preferisce evitare ogni polemica diretta con il marito Pasquale Sciortino che per lei è stato tale soltanto quattro mesi: da ventisette anni, infatti, i due vivono separati. Parla, però ugualmente: attraverso il figlio Giuseppe che smentisce il padre seppure in modo cauto, distaccato, possibilistico, riguardoso. «Non abbiamo alcuna prova per dubitare che l'uomo sepolto nel cimitero dì Montelepre sia Salvatore Giuliano», dice. Giuseppe Sciortino ha 26 anni, lavora in un ufficio pubblico, ma nelle ore libere si interessa a mandare avanti una pizzeria. «Per vivere, soprattutto ora che ho famiglia — aggiunge — debbo guadagnare. E' stato scritto che fra il 1944 e il 1950 mio zio avrebbe rastrellato con i sequestri circa un miliardo di lire: deve essere vero che questo denaro è servito ad altri perché in famiglia non abbiamo mai navigato nell'orari. Sua madre lo ha autorizzato a smentire, ma anche ad affacciare delle perplessità sulla morte di Giuliano. «Soprattutto — dice — non è chiaro il motivo per cui mio zio è stato ucciso e non è chiaro chi lo ha ucciso. Ci sono state fornite troppe versioni, così differenti fra loro, per non avere dubbi». Salvatore Giuliano morì la notte del 5 luglio 1950. La prima versione fu che era stato sorpreso in casa dell'avvocato Gregorio Di Maria a Castelvetrano, aveva tentato di fuggire, era stato inseguito dai carabinieri, aveva cercato di difendersi e l'allora capitano Antonio Perenze lo aveva colpito con una raffica di mitra. La seconda, accertata anni dopo dal giornalista Tommaso Besozzi, fu che Salvatore Giuliano venne attirato in un agguato, ucciso nel sonno dal suo «luogotenente» e amico Gaspare Pisciotta d'accordo con i carabinieri: il capitano Perenze aveva fatto poi credere che il bandito era stato ucciso in un conflitto a fuoco. Poi ve n'è una terza: Pisciotta avrebbe indotto Giuliano ad andare in casa dell'avvocato Di Maria, ma a sparare sarebbe stato, invece, Luciano Liggio. Per Giuseppe Sciortino, dunque, le perplessità esistono sui dettagli e sulla morte dello zio. «Si pensi soltanto — commenta in modo scettico — che due anni or sono quando è morta mia nonna. Maria Giuliano, qualcuno si convinse di aver veduto Salvatore Giuliano aggirarsi in paese. La fantasia popolare si accende facilmente». Ma per quale motivo allora Pasquale Sciortino è venuto a raccontare questa storia del sosia che sarebbe stato ucciso per consentire a Salvatore Giuliano di vivere indisturbato? Il figlio lo ignora, ne ha parlato con il padre che non vedeva da anni; ha cercato di dissuaderlo. «In fondo — aggiunge Giuseppe Sciortino — tornare su questi argomenti non giova a nessuno di noi. Ma mio padre ha insistito: ha detto che è necessario». Pasquale Sciortino si ritiene un estraneo nella famiglia di Salvatore Giuliano. Il suo matrimonio con Ma'iannina è andato avanti dall'aprile all'agosto 1947 soltanto: quando Giuliano morì, il cognato era negli Stati Uniti dove era fuggito imbarcandosi clandestinamente sulla «Saturnia»; fu arrestato nel 1953 e condannato per la strage della Portella della Ginestra (1° Maggio 1947) a 25 anni e un¬ dici mesi di reclusione; è tornato in libertà da qualche mese. Vive a Firenze e sta per laurearsi in agraria. «Che ne può sapere della morte di Giuliano?» dicono di lui a Montelepre. Mariannina Giuliano e Pasquale Sciortino si conobbero in carcere quando, nel 1945, combattevano per il separatismo siciliano. Si sposarono la notte del 24 aprile 1947 nella casa dei Giuliano, a trecento metri dalla stazione dei carabinieri. Fu una grande festa alla quale parteciparono Salvatore e gli uomini più importanti della banda: dopo la cerimonia religiosa, autorizzata dall'arcivescovo di Monreale, si cantò e si suonò sino alle quattro del mattino. Quattro mesi dopo, Sciorti. no fuggì negli Stati Uniti dove diventò per tutti mister Francesco Di Catalano, dimenticò a Montelepre la moglie che nel frattempo aveva dato alla luce un figlio: Giuseppe. Quando fu arrestato sostenne che era sempre stato in contrasto con il cognato, anzi aggiunse: «Fu lui che mi costrinse a sposare la sorella perché, secondo lui, l'avevo compromessa. E questo non era vero». Mariannina lo ha sempre smentito: il loro sarebbe stato invece un matrimonio d'amore. Ma esiste il dubbio che la moglie abbia messo la polizia sulle tracce del marito negli Stati Uniti quando seppe che era stata tradita con un'altra donna. Da allora i rapporti fra Mariannina e Pasquale Sciortino sono diventati sempre più tesi: è per questo che ora la sorella di Giuliano non vuole entrare in polemica con il marito. Si limita a smentirlo attraverso il figlio. Per anni a Montelepre la tesi che Giuliano sia vivo ha trovato spesso dei sostenitori. Un suo «fedelissimo», Domenico Pretti, ha raccontato di recente ad un giornalista del quotidiano di Palermo «L'Ora» che qualche mese prima di scomparire Salvatore Giuliano gli avrebbe detto che era stanco di vivere alla macchia. «Mi confidò — ha aggiunto — che aveva pensato di uccidere un sosia per far credere che era morto e poi fuggire in America». E' la storia che Pasquale Sciortino ha ripreso in questi giorni. Guido Guidi Il bandito Salvatore Giuliano con la sorella Mariannina