Cipro: soldati turchi di nuovo all'attacco di Francesco Fornari

Cipro: soldati turchi di nuovo all'attacco Continua lo sbarco di truppe nell'isola Cipro: soldati turchi di nuovo all'attacco Le città di Lapithos e Karawas sono state abbandonate dalla popolazione e dalla guardia nazionale greca - Ankara sta cercando di assicurarsi una zona tra le città di Nicosia, Kyrenia, Mirtou e Morphou (Dal nostro inviato speciale) Lapithos, 2 agosto. Sono arrivato stamane a Lapithos: in questa zona si combatte da due giorni, i turchi cercano di consolidare le loro posizioni, i greco-ciprioti li contrastano come possono. Nelle linee greche c'è una grande confusione: alla Guardia nazionale si sono uniti molti volontari armati alla meno peggio. Giovanotti con i capelli lunghi, fazzoletti colorati legati ni collo, mitra e pistole ostentati con orgoglio, mi fermano a un chilometro circa da Elea, un villaggio sulla costa occupato dai turchi. Mi avvertono che da questo momento non possono più garantire la mia sicurezza perché «siamo in zona di combattimenti». Proseguo a passo d'uomo con la vettura mentre il collega Neuvecelle di France Soir sventola fuori dal finestrino una bandiera bianca improvvisata. Dalle colline sulla nostra destra rimbomba l'eco delle raffiche di mitragliatrice, punteggiato dal tonfo sordo dei colpi di mortai. Al bivio per Elea incontriamo una pattuglia di soldati canadesi dell'Onu. L'ufficiale ci spiega la situazione: le città di Karawas e Lapithos sono state evacuate dagli abitanti e abbandonate anche dalla Guardia nazionale. I turchi non le hanno occupate: si limitano a compiere rapide scorrerie per saccheggiare le abitazioni. Si combatte invece sulle colline, dove i turchi rafforzano le lo ro posizioni. Proseguiamo ancora per duecento metri: la strada è sbarrata da un carro blindato greco distrutto e da alcune vetture incendiate. Dietro ci sono i soldati turchi che ci fanno cenno di fermare. Impossibile andare avanti: un tenente ci dice che la strada è sotto il tiro dei cannoni greci. Torniamo indietro e ci dirigiamo verso Elea: i turchi sono asserragliati nelle case, i greco-ciprioti sulle colline. Ci inoltriamo lungo le strade del paese: case distrutte dai bombardamenti, muri crivellati dai colpi di fucile e di mitraglia. C'è un silenzio impressionante. Arriviamo nei pressi della piazza: una raffica di mitra, seguita da una serie di fucilate ci blocca, nonostante la nostra bandiera bianca ci stanno sparando addosso: la fucileria aumenta d'intensità, adesso sparano anche dalle colline. Ci ritiriamo in gran fretta: qualche colpo ci passa molto vicino, vediamo sbuffi di terra alzarsi davanti al cofano della vettura. Torniamo al posto di controllo dell'Onu: l'ufficiale ci corre incontro molto agitato. «Non dovevate andare, è molto pericoloso», dice. Raggiungiamo Lapithos. Il paese è deserto, sono rimaste soltanto cinque persone: un vecchio privo delle gambe su una sedia a rotelle, la moglie, una ragazza, sua madre e la nonna paralizzata. Stanno mangiando seduti nel giardino della casa del vecchio, mentre poco lontano esplodono le bombe dei mortai. Perché siete rimasti? chiediamo. Il vecchio risponde in un incerto inglese: «I am a number one» (sono un numero uno), ma non capiamo che cosa voglia dire. La ragazza mi prega di telefonare a suo padre, che lavora in un paese vicino a Nicosia, per dirgli che stanno bene. Ma perché non ve ne andate? «Dove? oggi sparano qui, domani combatteranno da un'altra parte Non c'è posto sicuro e tranquillo a Cipro», risponde la ragazza. In queste parole è racchiusa la tragedia di que¬ ' | o i i u. e e e aceci e, o r è o e i i mn è i. io i Ci el mti assi di di e ci a à, e n a fi oo OneoIl e n u e, a o io, oro. nmo he za o se li hé gme nla è e¬ sta inquieta isola. Torniamo indietro attraverso il paese: ci sparano di nuovo addosso (chi saranno? turchi? grecociprioti? A questo punto è impossibile stabilirlo. Tornando a Nicosia incrociamo camions carichi di giovani della guardia nazionale, abbigliati in maniera fantasiosa e pittoresca. Una sola volta incontriamo un convoglio di militari in divisa, con cannoni e bazooka. Devono essere soldati greci, ma non possiamo controllare: un ufficiale ci allontana energicamente, poiché tardo ad eseguire l'ordine spostano di peso la vettura. Per raggiungere ' | Nicosia bisogna passare accanto all'aeroporto, tuttora controllato dai «caschi blu» dell'Onu. Turchi e greco-ciprioti si fronteggiano a meno di mezzo chilometro. La strada è bloccata «perché c'è pericolo che qualcuno spari alle auto», dice un tenente austriaco delle forze delle Nazioni Unite. Percorriamo una pista polverosa che si inoltra nella campagna: una pianura desolata bruciata dal sole. C'è un traffico intenso, oltrepassiamo camions carichi di profughi provenienti dai villaggi della costa, dalle città di Myrtou e Morphou, che secondo alcuni sarebbero l'obiettivo dei turchi, i quali intenderebbero consolidare le loro posizioni occupando tutto il litorale ad ovest di Kyrenia, creando una zona turca i cui confini andrebbero dal settore turco di Nicosia a Kyrenia e, proseguendo lungo la costa, fino a Mirtou per poi risalire a Morphou e ricongiungersi a Nicosia. Anche stamane sulla spiaggia di Karawas sono stati sbarcati rinforzi di uomini e mezzi. Abbiamo visto arrivare, mentre eravamo a Elea, wa nave mercantile, scortata da due cacciatorpediniere turchi. I soldati dell'Onu ci hanno detto che ciò avviene ogni giorno da una settimana: l'armata turca, dunque, dimostra di non avere nessuna intenzione di ritirarsi, come ha ribadito ieri il presidente della comunità turco-cipriota Denktash ai giornalisti, affermando che si tratta di «una forza di pace». Oggi, intanto, rappresentanti militari inglesi, greci e turchi si sono riuniti in una baracca dell'aeroporto di Nicosia alla presenza degli osservatori dell'Onu per stabilire le nuove linee di confine fra gli opposti schieramenti, in ottemperanza all'accordo firmato a Ginevra fra le due nazioni. E' il primo passo verso la pace? Francesco Fornari

Persone citate: Denktash, Neuvecelle Di France Soir, Turchi