La fine degli indios di Mimmo Candito

La fine degli indios Viaggio nel profondo dell'America Latina La fine degli indios In Brasile erano tre milioni all'epoca della conquista bianca, nel Cinquecento: oggi sono poche decine di migliaia - Vivono nella foresta, ma un decreto può ordinarne il trasferimento, che per loro significa la morte - Il loro vero nemico, dietro la formula dello "sviluppo dell'Amazzonia", è la speculazione delle grandi compagnie (Nostro servizio particolare) Manaus, 29 luglio. Umida di caldo tropicale, Manaus soffoca circondata dalla foresta amazzonica. Città vecchia e sporca, nata alla fine dell'Ottocento dall'ambizione dell'impossibile, ha oggi la vita artificiale d'ogni porto franco, e l'ossessione paurosa e il fascino di quei quattro milioni di chilometri quadrati di giungla che, impenetrabili, misteriosi, selvaggi, le stanno addosso da ogni parte: alla periferia di Manaus, l'illusione di civiltà e di turismo si consuma in poche decine di metri, e c'è subito inestricabile l'universo verde dell'Amazzonia. Antichi padroni di questo mondo incontaminato sono gli indios, decine di tribù « primitive », di cui musei e boutiques esotiche mostrano penne variopinte, archi, selci fantastiche, tutto il campionario della mitologia del « selvaggio ». Erano tre milioni all'epoca della conquista, nel Cinquecento, signori incontrastati e rispettosi delle loro terre; ora sono poche decine di migliaia, sperduti nell'immenso territorio, sterminati dai conquistadores vecchi e nuovi, vittime potenziali d'un presuntuoso concetto di civiltà. L'amaro risultato dell'incontro con i bianchi è nelle capanne ai margini di Manaus, dove la periferia terrosa e povera si trasforma in città galleggiante: sulle palafitte, nell'acqua stagnante del Rio Negro, s'aceucciano gli indios « pacificati », quelli che il contatto con le lusinghe del dio cattolico e della civiltà industriale ha trasformato in servi mal pagati, ora « civili » secondo la comoda classificazione di chi gli ha posto addosso un par di brache o una veste colorata. Nostalgici della libertà razionale della loro vita nella foresta, ma incapaci di sottrarsi alle illusioni di quest'altro mondo, sopravvivono stancamente di tristezza e denutrizione, indifesi a ogni malanno, inabili a un inserimento nella logica competitiva della società industriale. Nella foresta, ancora in gran parte inesplorata, gli indios vivono seguendo una precisa geografia tribale, che controlla fasce sterminate di territorio; cacciatori e pescatori, non dominano la natura, ma le si adattano armoniosamente, secondo comportamenti appresi da secoli e conservati immutabili. Parlano lingue diverse, dialetti in parte indecifrabili, ma le tradizioni, i costumi, la loro cultura hanno una sorprendente unitarietà. Sono giustamente diffidenti nei confronti dei bianchi, da cui hanno avuto malattie prima sconosciute e segni di morte; se la loro «area» è invasa, reagiscono con la guerra delle loro frecce, cercando di difendere la stessa possibilità di sopravvivenza. / vincoli La loro protezione è affidata istituzionalmente al Funai, un ente statale in cui le esigenze degli etnologi e degli antropologi si scontrano con le strutture della burocrazia del regime: e, nello scontro, queste prevalgono decisamente su quelle. Il Funai è infatti soggetto alle pesanti pressioni dei gruppi economici interessati a investire in queste aree e, contemporaneamente, deve subire i vincoli della sua dipendenza dal ministero dell'Interno. Si tratta d'una dipendenza assai gravosa, poiché ha un rapporto diretto con gli interessi delle grandi imprese multinazionali: è appunto facoltà di questo ministero la concessione degli enormi incentivi fiscali (s'arriva fino al 75 per cento degli investimenti) che Sudam c Sudene riservano agli insediamenti industriali e agropccuari in Amazzonia. Così, il concetto della « protezione del popolo indio » va progressivamente stravolgendosi, e oggi la mistica dominante è la necessità d'una « assimilazione della comunità silvicola ». Nelle sedi Funai di Belém e di Manaus mi è stato detto con convinzione che « l'epoca del paternalismo » è finita, e che « l'indio si deve emancipare. In una società capitalistica come la nostra, egli deve comprendere anche le necessità della civiltà dei consumi: convincerlo a diventare elemento produttivo significa integrarlo nella società nazionale e Jorio partecipare attivamente al sistema ». Non sorprende, a questo punto, che gli etnologi e gli stessi padri missionari usino indignati il termine di « genocidio ». Lo spettacolo tristissimo che danno ai turisti avidi di facili emozioni gli indios semitriba- lizados ha un definitivo sapore di morte, una mascherata macabra che nasconde stentatamente l'assassinio d'una cultura. Il regime ha ora approntato anche gli strumenti giuridici per questa « assimilazione ». Riconosciuti in tempi passati come « signori primitivi e naturali delle terre che occupano ». gli indios oggi hanno soltanto « il possesso » di queste terre; e un possesso quanto mai precario, perché è sufficiente un decreto del presidente della Repubblica per ordinarne il trasferimento coatto in altre zone (che è come dire di ordinarne la morte dal punto di vista etnologico). Lo Statuto afferma che debbono concorrere « motivi di sicurezza nazionale, d'igiene pubblica o altri problemi in relazione allo sviluppo nazionale »: ma lo sviluppo nazionale, nel Brasile di oggi, si confonde misteriosamente con gli interessi delle grandi società nordamericane, giapponesi, tedesche, italiane. E ad esse non è difficile sacrificare la ragione antica di poche migliaia di indios. Amazzonia L'Amazzonia è grande quindici volte l'Italia. Ha un quinto dell'intera riserva idrica della terra e un terzo delle sue riserve forestali. E' il più grande serbatoio d'ossigeno che sia rimasto al nostro pianeta. Ma è anche uno sterminato giacimento di minerali e di petrolio, le cui dimensioni e la cui qualità sono parzialmente tuttora ignote. L'epopea nazionale lanciata dal nuovo regime con lo slogan della « conquista dell'Amazzonia » finisce per essere piuttosto uno strumento per la raccolta di mano d'opera a buon mercato, per i colossi internazionali che sfruttano già, o hanno in progetto di sfruttare, questa regione. Lo stesso fitto tracciato delle gigantesche strade attraverso la foresta offre una efficiente rete di trasporti per le esigenze delle imprese che operano in questo bacino. E se la Transamazzonica è già completata, è appena al via il tracciato della Perimetral-Norte, che correrà per quattromila chilometri lungo i confini settentrionali del Brasile, quasi a ridosso dell'Equatore. Questa nuova strada attraversa zone totalmente inesplorate di foresta, territorio di caccia degli indios Yanomani, di cui s'ignora pressoché tutto. Ma il loro sacrificio è necessario all'esercizio d'un interesse strategico dell'economia brasiliana: la Perimetral non solo consente di avvicinare i mercati settentrionali del continente sudamericano — verso i quali già si protendono le grandi industrie pauliste, non interessate a un mercato interno scarsamente ricettivo — ma offre anche la possibilità di una velata minaccia a vicini troppo inquieti e l'agevole controllo dei limiti settentrionali d'un bacino d'enormi ricchezze. Gli etnologi e i naturalisti sono seriamente preoccupati per la Perimetral. I disboscamenti indiscriminati effettuati nello Stato di Para durante la realizzazione della Transamazzonica hanno portato già danni irreversibili; nel parco naturale del Xingu, tagliato dalla strada amazzonica Santarém - Cujabà, una modificazione del tracciato viario decisa per permettere a potenti società di Suo Paulo lo sfruttamento di terre più fertili, ha praticamente condannato a morte una gran parte delle tribù d'indios che vivevano nel parco, protetti dalla legge. La strada da Manaus a Boa-Vista porta, con i chilometri che verranno tracciati nella foresta, una minaccia di estinzione per gli indios delle riserve Nambikuara e Wameiri-Atroari. E' una lotta senza speranza. Di fronte ai diritti degli indios oggi ci sono: United States Steel, Union Carbide, Bethlehem Steel, Aluminium Canadian, Aluminium Kaiser, Pechiney, AIusuisse, Reynolds, Bruynzeel, Georgia Pacific, Toyomenka, Daniel Ludwig, Royal Dutch Shell, Bank of America, Rolin McGlown, Molycorp. Il capitale straniero controlla le miniere, le foreste, il bestiame, il commercio, l'esportazione. Il lento sterminio degli antichi abitatori della foresta è coperto dal rumore assordante dei grandi impianti industriali, che allontana la selvaggina e decide la morte degli indios, e dalla trasformazione ecologica voluta dalle grandi haciendas per i loro programmi di allevamento, che snaturano l'habitat dell'indio e l'allontanano verso la morte. Dicono che sia la civiltà che avanza. Dice il sociologo Darcy Ribeiro che nel 1980 non ci sarà più un indio, in Brasile. Mimmo Candito

Persone citate: Daniel Ludwig, Darcy Ribeiro, Jorio, Kaiser, Reynolds, Rolin, Royal Dutch Shell

Luoghi citati: America Latina, Brasile, Georgia, Italia