Il re incoronato dal dittatore di Andrea Barbato

Il re incoronato dal dittatore JUAN CARLOS S'AVVICINA AL TRONO CON PIÙ PAURA CHE SPERANZA Il re incoronato dal dittatore "Sovrano d'allevamento", educato nei princìpi falangisti, alla morte di Franco dovrebbe restituire ai Borboni lo scettro che suo nonno abbandonò senza gloria - Non si conosce la sua personalità, sono imprevedibili le reazioni di un Paese diviso - Può essere accettato come garanzia di pace nel trapasso Nelle anticamere regali, si diffonde l'impazienza. Ci sono due troni in attesa, nell'Europa d'oggi: se Costantino di Grecia, monarca deposto, aspetta a Londra di riconquistare Atene, suo cognato Juan Carlos aspetta a Madrid di conquistare Madrid. Costantino, spodestato da un colpo di Stato, esiliato da un fallito contraccolpo lealista, sconfitto da un referendum, può sperare solo di vedersi restituire lo scettro da un popolo che non lo ama, ma che è ansioso di legittimità. Juan Carlos, il « sovrano d'allevamento », il « figlioccio del. regime », deve attendere che il suo vegliardo tutore abbandoni definitivamente il potere, ma anche allora il trono, che è suo nella Costituzione franchista, dovrà essergli confermato dal popolo spagnolo. Ai due capi d'Europa, due nazioni offese da lunghe tirannie immaginano di cancellare il tempo perduto riportando al potere le loro antiche dinastie. Grigi ritratti Se Costantino si è già messo alla prova in un breve e infelice regno, durante il quale aveva demolito il potere politico del partito di maggioranza, Juan Carlos è per tutti — e prima ancora per gli spagnoli — un'incognita. In questi giorni, i giornali di tutto il mondo hanno gareggiato nel dipingere di lui un ritratto in cui la tinta dominante è sempre il grigio. E' stato definito un ingenuo, privo di passioni e dì competenza, cordiale e candido, debole ed enigmatico. Il documento che gli promette il potere è vago, la nazione che lo circonda è sotterraneamente ostile, rivali potenti s'affacciano ad ogni finestra della futura Corte. In questi brevi giorni di luglio, in cui ha goduto del « temporaneo » passaggio dei poteri, da quando il Caudillo è stato colpito da un attacco di flebite e da un embolo, s'è limitato a firmare un trattato di collaborazione difensiva con gli Stati Uniti, già pronto da tempo. E' un principe senza poteri, made in Spain, un puro prodotto del franchismo, al quale è stato tolto ogni legame, fino a recidere le stesse ascendenze dinastiche. « Il regno che noi abbiamo stabilito, non deve nulla al passato », disse chiaramente Francisco Franco cinque anni fa, il 22 luglio del 1969. Quel giorno, il generalissimo parlava alle Cortes, sotto grandi drappi rossi e gialli, dinanzi alla folla ammutolì- ta dei procuradores. Franco piangeva, aveva la voce rotta, era commosso come un vero re che stesse annunciando la nascita di un vero delfino. « Ho deciso di proporre il principe Juan Carlos alla nazione come mio successore », aggiunse. Mentre parlava, in quel Parlamento senza ruolo e senza autorità, l'uomo era arrivato da poche ore sulla Luna, l'astronave Apollo era sulla vìa del ritorno. Anche Juan Carlos parlò, giurando solennemente fedeltà al Movimiento, il partito unico, che gli regalava un trono senza radici. La lunga e voluta ambiguità della ley organica, che aveva sancito il ritorno alla monarchia senza indicare il Monarca, si scioglieva in favore di Juan Carlos. Fra Alfon so XIII e suo nipote, la Spagna saltava una generazione borbonica. Doveva essere comunque ben chiaro che l'istituto monarchico, in Spagna, non veniva «restaurato», ma «instaurato». Il franchismo non voleva consegnare se stesso alla storia come una parentesi fra due Borboni, come una lunga reggenza. Franco voleva invece essere un king maker, qualcosa di più d'un re, un capo supremo che nomina un re e riaccende una dinastia. Il padre rivale Alla « Zarzuela », in un parco di mille ettari non lontano dalla residenza di Franco, scenario ideale per le foto patinate dei rotocalchi, Juan Carlos vìve da undici anni fra automobili da corsa e scoiattoli in libertà. Non è ancora una reggia, è un casale di campagna. I suoi antenati sono rimasti appesi alle pareti del museo del Prado: c'è Filippo V, il fondatore in Spagna della dinastia dei Borboni; ci sono Carlo IV e Ferdinando VII, ritratti da Goya con feluche e medaglie. E c'è Carlo III, che Mengs ha dipinto con un parrucchino bianco che accentua il lungo naso e il labbro sfuggente di famiglia, e che la corazza nera non rende affatto mar- siale. La galleria s'interrompe: nessuno ha dipinto Alfonso XIII, l'ultimo re, che fuggì precipitosamente nel 1931. E nessuno mai ritrarrà don Juan, suo figlio e padre di Juan Carlos, che ha atteso a lungo nelle sale dell'Escoriai d'essere restaurato al potere da quel regime che aveva combattuto contro la repubblica e che alla fine, deluso e offeso, se n'è andato nuovamente in esilio in Portogallo. E Juan Carlos aspetta, paziente e ubbidiente, da quando era poco più che un bambino. La « cabala dinastica » ha scelto lui, ma il cielo è pieno di nuvole. Fu subito dopo la guerra mondiale, nella quale era abilmente scampato alle tentazioni dell'alleanza con i fascismi, che Franco cominciò a pensare alla propria successione, sia pur remota nei decenni avvenire. Per le- gare al regime i monarchici inquieti, promise ambigua mente il trono ai Borboni, ma senza dire a quale di lo- ro. Ora, a parte i « cartisti » del ramo Parma, che dovevano poi in varie epoche dare segni d'insofferenza, c'era ad attendere il conte di Barcellona, don Juan, figlio di Alfonso, esule a Roma negli anni mussoliniani. Ma proprio a Roma, nel '38, battezzato dal futuro papa Pacelli, era nato l'infante: e su quel bambino, educato in Svizzera e poi in Portogallo, Franco aveva messo gli occhi: il futuro re di Spagna voleva costruirselo con le sue mani, educarlo alla filosofia del franchismo. Don Juan era ingombrante, irrequieto, ormai autonomo, e poi non aveva mai smesso di considerare il Caudillo un usurpatore, anche se aveva sfoderato la sciabola contro i nemici del re. Ci fu un incontro storico, nel '48, fra il pretendente e il generalissimo. E si strinse anche un patto, nel quale si prevedeva che l'educazione del principino venisse affidata al regime. A dieci anni, Juan Carlos tornò in Spagna, ma suo padre era ancora convinto che il trono toccasse prima a lui. E Franco lo lasciò nell'illusione, evitò di scegliere. Per anni e anni, mentre Juan Carlos s'addestrava nelle tre armi, terra mare cielo, in Galizia, a Saragozza e a San Javier, nelle accademie improntate alla disciplina franchista, e con un precettore (il generale Martinez Campos, duca della Torre) che aveva combattuto a fianco del Caudillo, la rivalità fra padre e figlio fu sorda e profonda. Era mascherata dalla deferenza e dal sangue blu, ma era anche alimentata dal regime, che su quel contrasto fondava la propria stabilità presso i monarchici divisi. Juan Carlos è diventato adulto così, in un ambiente artificiale, in una Corte senza re, studiando da sovrano. Sulle maniche delle sue tre divise le mostrine s'infittivano. Gli fu data una reggia rusticamente sontuosa, e il posto d'onore accanto a Franco nelle parate del regime. Quando poteva, esibiva la sua cintura nera di karaté, o la sua abilità di velista della classe Dragone. Franco tollerava i suoi eccessi giovanili con paterna benevolenza, ma in privato non nascondeva disprezzo e sfiducia, fremeva di dover « regalare la Spagna » a quell'atleta sorridente, che non capiva nulla di politica. Aveva sbagliato perfino il momento delle sue nozze, che s'erano svolte ad Atene mentre in Spagna volavano bombe lacrimogene e sfilavano cortei di scioperanti. Non solo il fratello di sua moglie Sofia, Costantino appunto, s'era fatto levare il trono, ma l'erede maschio tardava a venire, e solo quando nacque Felipe ci fu un momentaneo sollievo. La paradossale convivenza del generale despota con il principe senza dinastia è continuata per anni. La successione di Franco, il Caudillo « eterno e immortale », era un argomento proibito a Madrid, pericoloso e di cattivo gusto. Il motto dei Borboni, « né speranza, né paura », sembrava appropriato solo nella prima parte. Gli spagnoli s'erano abi¬ tuati all'idea d'avere un re di riserva, ma non avevano certo controfirmato le scelte di Franco. Il plebiscito che sancì la « legge organica » del '66, e in pratica restaurava la monarchia alla morte di Franco, si svolse con i metodi consueti d'ogni elezione franchista: schede palesi, voto collettivo, intimidazioni. Forse la legge sarebbe stata approvata anche spontaneamente, tanto remota sembrava la morte di Franco, e tanto incerto l'avvenire. Tre anni dopo, quando Juan Carlos fu solennemente scelto, le idee politiche dell'aspirante sovrano restavano misteriose, sepolte nel suo silenzio. Persino i monarchici erano ancora divisi in almeno tre rami, gli amici di Juan Carlos, i seguaci di don Juan e i difensori di Ugo Carlo di Borbone Parma, ormai esiliato. Lascito scottante Franco non intendeva certo regalare la Spagna al nuovo Borbone senza garanzie per il franchismo. Il potere vero doveva passare nelle mani del viceammiraglio Luis Carrero Bianco. La nuova Costituzione era stata redatta in modo deliberatamente ambiguo, e tale è rimasta: non si sa come avverrà il trapasso di regime, quale sarà la sorte del governo in quel momento, quale sarà la distribuzione dei compiti. E gli spagnoli, che voce avranno? Qualcuno aveva da tempo definito il futuro re come « Juan Carlos il breve ». Il piano franchista d'una lunga reggenza politica saltò in aria insieme con la macchina di Carrero Bianco nel dicembre scorso. Era il segnale che il regime di successione immaginato dal Caudillo non sarebbe stato accettato senza scosse. Se il re è pronto, forse non sono pronti i sudditi. E' vero che Juan Carlos, colpito anche personalmente dalla morte violenta del viceammiraglio amico, si trovò presto dinanzi ad una serie di fatti compiuti, come l'allontanamento dal governo dei ministri « europei » e lo svuotamento del potere dell'Opus Dei, la i « Obra », che prometteva un pur ambiguo mutamento. Ma il lascito di Franco al suo erede rischia tuttavia d'essere scottante. L'equilibrio delle forze, immobile finché Franco respira, promette una esplosione centrifuga subito dopo il suo « entierro ». La Spagna che Juan Carlos si vedrà consegnare dalla legge, se non ancora dal consenso, è ancor più instabile e complicata di quella che suo nonno Alfonso, nel 1931, era stato costretto ad abbandonare. La severità del governo dì polizia di Arias Novarrò è solo una garanzia temporanea, e forse neppure troppo gradita al futuro re, al quale s'assegnano sentimenti vagamente liberali e riformistici. Ma non è neppure detto che queste preferenze, finora abilmente taciute, sarano sufficienti. Nello spettro politico spagnolo, quando il campo sarà stato sgombrato dall'invadente figura del generale che guidò Va alzamiento », si scontreranno forze che vanno dagli squadristi di Blas Pinar ai falangisti assetati di rivincita, dai militari progressisti (di tipo portoghese, se non ancora peruviano) a quelli intransigenti, dalla Chiesa dei poveri alle gerarchie preconciliari, dai partiti clandestini alle « comisiones obreras », dai minatori delle Asturie agli studenti delle inquiete facoltà madrilene, dalla stessa Opus Dei ai movimenti separatisti, dai democristiani al Fronte nazionale. Senza Franco, e con il vicino Portogallo a indicare una strada, l'impazienza spagnola può crescere fino a sfiorare le mura della «Zarzuela ». Il « basso profilo », il desiderio di mimetizzarsi con il suo Paese, possono essere insufficienti per il Borbone che ritorna. Con un'inflazione del 25 per cento, l'inquietudine operaia e giovanile, il fallimento del « desarrollo » e del mito turistico, con l'insoddisfazione salariale e la crisi economica alle porte, è probabile che il discendente della regina Vittoria conosca un futuro incerto. Sarà capo delle Forze Armate, ma perfino nell'esercito serpeggiano dei brividi, e il generale Diaz Alegria s'e visto in queste settimane recapitare per posta molti monocoli: un segnale che gli ricordava il suo progressismo, e lo invitava a diventare il De Spinola spagnolo. Ora che la Spagna sa che Franco non è eterno, l'ultimo dei Borboni s'avvicina al trono con più paura che speranza. Andrea Barbato %,. ì ■ HÈl Madrid. Il caloroso incontro, a una parata, del « generalissimo » Franco con Juan Carlos, suo successore designato (Ap)