La lunga pazienza di Sadat di Nicola Caracciolo

La lunga pazienza di Sadat ANALISI DELL'EGITTO, DOPO LA RIVINCITA La lunga pazienza di Sadat Il Presidente egiziano ha raccolto, alla morte di Nasser, una situazione molto diffìcile: s'avvia a risolverla con la metodica capacità con cui s'è costruito la sua stessa carriera politica - Il problema palestinese (Nostro servizio particolare) Il Cairo, 25 luglio. Hafez Ganem, il segretario dell'Unione Socialista araba, è uno degli uomini nuovi portati da Sadat al vertice del sistema politico egiziano, un sistema in cui le attribuzioni e le funzioni ufficiali contano fino a un certo punto. Il potere, come nell'antico Egitto, qui conserva una struttura piramidale. Chi contano sono gli uomini vicini a Sadat e Ganem è uno dei suoi consiglieri più ascoltati. Professore universitario, come molti altri alti dirigenti egiziani in questo periodo, fa parte di quella « équipe » di tecnocrati ai quali Sadat s'è rivolto per risistemarc le cose dopo la liquidazione — liquidazione complessa come vedremo — del passivo dell'eredità nasseriana. Cosa rimane del nasserismo oggi in Egitto? Per cominciare, Ganem si lamenta dell'atteggiamento dei democratici europei verso l'Egitto. Le posizioni egiziane, dice, sono sempre stale fraintese. Né Nasser, né tanto meno Sadat hanno mai pensato di distruggere Israele. Bisogna tuttavia tenere presente, aggiunge, la realtà delle cose. La pace è necessaria ma è impossibile, senza tener conto dei diritti dei palestinesi. Comunque, per Ganem il problema essenziale resta quello dei palestinesi. La spirale che doveva portare alla guerra del '56 fu avviata da una serie di attentati dei Fcdayn, ai quali seguirono violente rappresaglie israeliane su Gaza. Stessa situazione alla vigilia della guerra del 1967, alla frontiera siriana quella volta. La soluzione? Uno stato palestinese che comprenda i territori della Cisgiordania e la striscia di Gaza potrebbe rappresentare una via d'uscita. Ovviamente, le truppe israeliane debbono tornare dentro le frontiere del 1967. Israele deve rendersi conto che non esistono « frontiere militarmente sicure ». L'unica sicurezza possibile per Israele è la pace, una pace magari garantita dalle grandi potenze, ma sopratutto lealmente accettata e osservata da ambedue le parti. E su questo punto il pensiero di Ganem e dell'equipe dirigente egiziana è chiaro. I palestinesi sono la chiave di volta di tutta la situazione. Fatalmente, se essi dovessero essere esclusi da un accordo le azioni di guerriglia e di terrorismo continuerebbero. Continuerebbero anche le rappresaglie israeliane, e un nuovo conflitto alla lunga diventerebbe inevitabile con le conseguenze che tutti sanno: nuovo taglio delle forniture di petrolio all'occidente, possibilità che nella guerra vengano coinvolte le grandi potenze. Sadat punta quindi tutto sulla pace? E' importante, per rispondere a questa domanda, cercare di capire cosa e successo in Egitto dopo la morte di Nasser. 11 che significa approfondire la figura e le idee del Presidente Sadat, un uomo politico estremamente complicato e astuto, che è riuscito attraverso un gioco diplomatico abilissimo a diventare, probabilmente oggi, il maggior protagonista sulla scena del Medio Oriente. Di lui, quando prese il potere alla morte di Nasser, non si sapeva molto. Dal 1952 (l'anno della rivoluzione dei colonnelli), era sempre stato un fedelissimo esecutore degli ordini di Nasser, che però non gli diede mai incarichi di primissimo piano. Fu direttore del giornale Al Goumhouria, Presidente della Conferenza islamica mondiale, segretario dell'Unione Socialista araba, lo chiamava « bikbasci' sali » il « colonnello sì ». E difatti, accanto a Nasser, Sadat scompariva. Timido e riservalo, non aveva nessuna delle qualità di tribuno popolare e di leader carismatico che avevano permesso al « rais » di conservare intatta la sua immensa popolarità presso le masse egiziane, anche nei momenti più difficili. Per esempio, dopo la fallimentare guerra del 1967 contro Israele. In realtà, uno dei paradossi del personaggio è questo: l'uomo che avrebbe liquidato sia in politica estera che in politica interna gran parte del nasserismo, quando assunse i poteri della Presidenza, appariva destinato ad esstre il curatore meticoloso e onesto ma privo di fantasia dell'eredità del suo predecessore. « // passaggio da Nasser a Sadat? E' il passaggio del culto della personalità al culto della mediocrità » aveva commentato un alto funzionario egiziano. 11 che dimostra quanto la figura di Sadat sia stata fra¬ intesa da chi gli slava vicino. Nel suo passato, per la verità, un lato avventuroso c'era stato. Agli inizi degli Anni Cinquanta, durante la lotta per cacciare gli inglesi dalla zona del canale di Suez, s'era rivelato un capo « commandos » temerario e spregiudicato. Durante la guerra, aveva assunto dei rischi anche più gravi: aveva messo in piedi (racconta lui stesso questo episodio nel suo libro « Conflitto sul Nilo ») una organizzazione spionistica che lavorava per i tedeschi di Rommel. Il che non va giudicato troppo severamente. L'ottica di Sadat (allora un giovane ufficiale molto religioso) era nazionalista e anti-imperialista. La rinascita dell'Egitto — secondo il suo modo di vedere le cose — sarebbe stata possibile solo dopo che l'imperialismo inglese fosse stato battuto. Come mai Sadat, fino ad allora uomo di complotti e di azioni clandestine si trasformò, durante la presidenza di Nasser, in una specie di « grande commesso » dello Stato egiziano, in una figura deferentc di maggiordomo di Palazzo, pronto ad essere utile al suo capo in qualsiasi circostanza? Una personalità egiziana che lo conosce bene da moltissimo m'ha detto d'essere convinto che le caratteristiche fondamentali dell'uomo siano una enorme ambizione un'enorme pazienza. Aveva accettato per anni il ruolo di subordinato coscienzioso — un po' come aveva fatto, a suo tempo, Pompidou con De Gaulle — perché sapeva che solo cosi avrebbe potuto aspirare un giorno a prendere il potere in prima persona. In più, una qualità che è sempre mancata a Nasser. la concretezza. Intendiamoci, della « rivoluzione nasseriana » non tutto è da buttar via. Il « rais » per certi versi è stato indubl nenie un grande leader, ma come altri leaders « rivoluzionari » — Fidel Castro per esempio — ha spesso avuto tendenza a scambiare per realtà i propri sogni. Certamente di tutt'altra pasta è Sadat, uomo di calcoli sottili e di glaciali valutazioni della realtà politica. Il suo machiavellismo, comunque, rischia di venir svalutato, se non si tiene conto che esso è — o sembra essere — al servizio di una politica tutto sommato umana: pace con Israele e, all'interno, liberalizzazione di un regime che sotto Nasser aveva sempre di più accentuato il suo carattere oppressivo e poliziesco. I campi di concentramento nel deserto sono stati chiusi, i prigionieri tutti o quasi liberati, la polizia politica è stata epurata e non tortura più gli oppositori durante gli interrogatori. La situazione egiziana quando Sadat prese il potere si presentava difficilissima. Il 1° ottobre del 1970 milioni di persone s'erano ammassate nelle vie del Cairo per i funerali di Nasser. La morte del « rais » che aveva attratto su di sè l'attenzione di tutto il mondo e la devozione delle masse arabe dall'Atlantico al Golfo Persico chiudeva un capitolo della storia egiziana e lo chiudeva, occorre aggiungere, assai male. Il che contribuiva a dare al compianto popolare un po' di carattere di una scena di dispe¬ razione collettiva. Gli egiziani piangevano Nasser, ma piangevano anche per il fallimento della loro rivoluzione. L'esercito lanciato avventatamente nel 1967, nella guerra contro Israele era stato sconfitto senza attenuanti, non sembrava ci fosse forza al mondo capace di far sloggiare le truppe israeliane dai territori egiziani occupati nel Sinai. I progetti di unità araba, ai quali Nasser aveva legato le fortune politiche dell'Egitto, si erano nella crisi rivelati fragili e retorici. E, per finire, un motivo di inquietudine fondamentale, che richiede un discorso un po' più lungo, quello economico. L'economia egiziana negli anni del nasserismo era passata attraverso mutamenti fondamentali. Il capitalismo straniero era stato espulso, una serie di nazionalizzazioni aveva finito col porre praticamente tutta l'industria e tutto il sistema bancario sotto il controllo dello Stato, la riforma agraria era venuta almeno in parte incon¬ tro alla fame di terra dei conladini. Il regime, partito senza un'ideologia precisa in campo economico — tranne un vago ma profondo nazionalismo più militarista che progressista — sembrava avviato verso la istaurazione di un sistema molto vicino a quello dei Paesi comunisti. L'amicizia con l'Unione Sovietica contribuiva a dare l'apparenza dell'irreversibilità a questa evoluzione, che comunque doveva dimostrarsi assai più fragile del previsto. Come mai? Le ragioni di questo mutamenlo sono complesse e varie: basti in primo luogo accennare ad una di esse: in parole povere, il sistema in Egitto ha funzionato male. Uno sviluppo produttivo e industriale c'è staio, indubbiamente, ma è servito essenzialmente a pagare le enormi spese militari e a tenere dietro all'aumento della popolazione che cresce con un ritmo rapidissimo, raddoppia circa ogni venti anni. Il reddito medio egiziano resta bassissimo, circa ccntodiecimila lire l'anno per abitante. Non si può quindi dire che i « jeliahin », i contadini poverissimi della Valle del Nilo, vivano oggi mollo meglio di come vivessero, mettiamo, nei 1952, prima che i giovani ufficiali nasscriani cacciassero via re Faruk. La situazione egiziana, quando Sadat assunse il potere, era diventata il classico nodo di vipere della mitologia greca, e il nuovo « rais » si accinse a scioglierlo (il che non avvenne senza rischi personali, come dimostrano i frequenti tentativi d'assassinio in cui incorre) gradualmente e — almeno in parte — c'è riuscito. Cercheremo d'elucidare nei prossimi articoli di questa inchiesta come la cosa è stala condotta. E' una storia che merita d'es- ! sere r I iccontata, il resoconto di —1„ 1 _i.„_... ! un piccolo capolavoro d'astu zia e di lucidità politica. ! . | Nicola Caracciolo | Dopo Nasser L'imperialismo Molte ragioni