Anche i parenti ammessi come testi in cause civili di Guido Guidi
Anche i parenti ammessi come testi in cause civili La decisione della Corte Costituzionale Anche i parenti ammessi come testi in cause civili Ritenuta illegittima la norma del codice di procedura civile che poneva il divieto di ascoltare la testimonianza di parenti delle parti : era "un limite al diritto di prova" Anche chi è senza diploma può insegnare la danza (Nostro servizio particolare) Roma, 24 luglio. Il coniuge, i parenti o affini in linea retta (genitori, figli, nipoti, fratelli) e coloro che sono legati ad una delle parti da vincoli di affiliazione possono essere interrogati come testimoni in una vertenza civile. La Corte Costituzionale, infatti, ha ritenuto illegittima la norma del codice di procedura civile che poneva questo divieto a meno che la vertenza non interessasse questioni di Stato, rapporti familiari e separazioni personali. La preclusione ad interrogare i parenti come testimoni — è stato sottolineato dai giudici costituzionali in una loro sentenza depositata oggi nella cancelleria a Palazzo della Consulta — viola l'articolo 24 della Costituzione («La difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento») perché limita «ingiustificatamente il diritto alla prova che costituisce nucleo essenziale del diritto di azione e del diritto di difesa garantiti dal precetto costituzionale». In sostanza, secondo la norma che la Corte Costituzionale ha abrogato, la vittima di un incidente stradale (tanto per citare un esempio pratico) non aveva diritto a pretendere che il magistrato ascoltasse la testimonianza di un parente (coniuge, genitore, figlio, nipote, fratello o sorella) che aveva assistito all'episodio. Taluni magistrati (quelli di Bari, di Martina Franca e di Portoferraio) hanno avuto il dubbio che la legge in questo caso fosse in contrasto con la Costituzione e si sono rivolti al Palazzo della Consulta. La disposizione per cui si nega ai più stretti congiunti della parte la capacità di testimoniare che viene ammessa soltanto in taluni casi specifici (questioni di Stato, separazione personale o rapporti familiari) «non ha alcun riferimento all'oggetto specifi¬ co del giudizio», ma discrimina il mezzo di prova. «Ricorre qui — ha commentato la Corte Costituzionale nella sua sentenza — un giudizio preventivo, da parte del legislatore, di inattendibilità della deposizione testimoniale. Ma a giustificare questo regime di aprioristica valutazione negativa di credibilità non basta addurre criteri di mera probabilità. Esso (come già rilevato dalla dottrina e specialmente, sin dal secolo scorso, da quella francese) reca l'impronta di antichi istituti del processo canonico e comune e non ha alcuna ragione d'essere nei moderni sistemi legislativi che in tema di prove, in conformità della evoluzione giuridica universale, tendono, in misura sempre più larga, pur con alcune limitazioni inerenti alle cosiddette prove legali, al principio del libero convincimento del giudice, affidando la valutazione del valore probatorio della testimonianza, al suo prudente ap- prezzamento da compiersi a posteriori, caso per caso». La Corte Costituzionale, invece, ha ritenuto valida la norma che esclude la testimonianza di chi può avere un interesse nella vertenza civile in corso. Con un'altra sentenza, i giudici costituzionali hanno stabilito che l'insegnamento della danza potrà essere compiuto anche da chi non sia in possesso del diploma dell'Accademia nazionale. E' stato risolto in questo modo un antico problema che aveva dato origine a vaste ed aspre polemiche. Nella sostanza, la Corte ha osservato che può essere ritenuto ammissibile un controllo giuridico dei requisiti di coloro che intendono esercitare la professione di insegnante di danza: ma solo con le garanzie proprie dell'esame di Stato che, in verità, nell'attuale regolamentazione mancano o sono difettose. Il principio che ha ispirato la sentenza della Corte Costituzionale è quello per cui «l'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento». Subordinare — questo il concetto espresso dalla Corte — un insegnamento artistico al possesso di un particolare titolo scolastico professionale non soltanto incide direttamente sulla libertà professionale, ma viene anche a determinare ingiustificate limitazioni alla libertà di arte e di scienza e del relativo insegnamento. «Sarebbe assurdo — hanno detto i giudici — precludere l'attività di un musicista, di un coreografo, di un regista o di un attore solo perché sprovvisto di un diploma legale e sarebbe altreilinto assurdo precludergli di formarsi, nell'arte nella quale è esperto, quello che, nell'uso comune, si chiama appunto una sua scuola». Guido Guidi
Luoghi citati: Bari, Martina Franca, Portoferraio, Roma
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