Toscana: legge sulla scuola ancora bloccata dal governo di Filiberto Dani

Toscana: legge sulla scuola ancora bloccata dal governo La vertenza è ora alla Corte Costituzionale Toscana: legge sulla scuola ancora bloccata dal governo Le norme riguardano il diritto allo studio e sono state approvate dalla Regione cinque mesi or sono - Il governo le ha rinviate una prima volta per la "copertura finanziaria", ora le ha impugnate "per illegittimità" - Un conflitto per le scuole private (Dal nostro inviato speciale) Firenze, 24 luglio. «Al fine di assicurare il diritto allo studio, sono attuati interventi a favore delle scuole materne statali e pubbliche, per il servizio di mensa, per la fornitura di materiale didattico e per i trasporti, ivi compreso l'acquisto di pullman. Gli interventi possono essere estesi alle scuole materne private situate in aree non ancora servite da scuole statali o pubbliche ed alla condizione che offrano parità di trattamento e insegnamento con quest'ultime». E' il primo dei 30 articoli della legge sul diritto allo studio varata nello scorso febbraio dai partiti di sinistra che amministrano la Regione Toscana: strenuamente difeso dai socialisti e comunisti, duramente osteggiato dai democristiani e missini, era stato approvato a maggioranza (socialdemocratici, repubblicani e liberali si erano astenuti) assieme agli altri 29 articoli. Da allora, e sono passati più di cinque mesi, è cominciato il lungo braccio di ferro che oppone la Regione Toscana al governo Rumor: dapprima c'è stato il rinvio della legge da Roma a Firenze «perché fosse precisata meglio la copertura finanziaria»; soddisfatto questo rilievo, la legge è tornata nella capitale, ma neanche questa volta è riuscita a passare. E' di questi giorni la notizia che il Consiglio dei ministri l'ha impugnata per illegittimità davanti alla Corte Costituzionale. Commenta l'avvocato Lelio Lagorio, socialista, presidente della Regie ne Toscana: «E' stata una decisione davvero sconsolante. Tuttavia sono fiducioso: ci costituiremo in giudizio e resisteremo al ricorso del governo che la Corte Costituzionale dovrà re spingere perché non sta giuridicamente in piedi. Chissà, però, per quanto tempo dovremo attendere la parola definitiva». E', insomma una contesa in cui nessuna • elle due psrti sembra disposta a cedere. Al punto in cui sono arrivate le cose, non v'è dubbio che, al di là delle motivazioni giuridiche, la legge toscana sul diritto allo studio si è trasformata in un grosso caso politico che tocca da vicino la laicità dello Stato. Citiamo ora i connotati di questa legge che interessa decine di migliaia di ragazzi e le loro famiglie. Essa stabilisce uno stanziamento di 8 miliardi e 760 milioni di lire a favore di Province, Comuni e consorzi per le scuole materne statali e pubbliche, per la scuola dell'obbligo, per la scuola secondaria superiore e per i corsi di formazione professionale. I settori d'intervento riguardano la fornitura di materiale didattico, il servizio di mensa, i trasporti, l'assistenza sociale e psicopedagogica, l'acquisto di strumenti scientifici, alloggi per gli alunni residenti fuori sede, un pre-salario di 18 mila lire al mese per quanti frequentano i corsi di formazione professionale e un assegno di residenza di 30 mila lire mensili per tutti gli allievi che siano impossibilitati a raggiungere giornalmente la sede del corso. Il «casus belli» che ha reso infuocata la polemica è stato offerto, l'abbiamo detto, dall'articolo 1 della legge e più precisamente dal comma che dice: «Gli interventi possono essere estesi alle scuole materne private situate in aree non ancora servite da scuole statali e pubbliche...». I consiglieri regionali della de hanno tentato, ma invano, di far cambiare il verbo «possono» con «devono» in modo da assicurare i finanziamenti della Ragione anche alle scuole materne gestite da privati che in Toscana sono rappresentate, per il 90 per cento, da istituti religiosi o di ispirazione religiosa. E' scesa in campo anche la Curia fiorentina, il cui settimanale, «L'osservatore toscano», in un articolo intitolato «Fascismo rosso», ha accusato la Regione di aver violato la Costituzione, negando il diritto alla libertà dell'assistenza scolastica privata. Lo stesso arcivescovo, il car- dinaie Ermenegildo Florit, ha spedito una lettera in tre copie al presidente del Consiglio, al ministro della Pubblica istruzione e al ministro per le Regioni, per denunciare «il carattere discrezionale, limitativo e condizionato dell'intervento stabilito dalla legge per le scuole materne private». Il cardinale è stato esplicito: se non verrà trasformato l'articolo 1 della legge, alle scuole materne private «resterà solo l'alternativa tra l'attesa della morte programmata dalla Regione Toscana ed il rinvio a casa dei 64. mila bambini che la frequentano». Sentiamo il presidente della Commissione regionale che ha preparato la legge sul diritto allo studio, Fidia Arata, socialista, docente di filosofia teoretica a Pisa: «L'articolo 1 è in linea con la Costituzione perché questa dice che "Gli enti privati hanno il diritto di istituire scuole e istituti di educazione, senza oneri per lo Stato". A suo tempo, i proponenti della dizione "senza oneri per lo Stato" chiarirono così il loro pensiero: "Noi non diciamo che lo Stato non potrà intervenire a favore degli istituti privati, diciamo solo che nessun istituto privato potrà sorgere con il diritto di avere aiuti da parte dello Stato"». Aggiunge: «In realtà lo Stato ha aiutato le scuole private al di là del senso che fu dato a quella dizione e al di là di quanto la Regione si propone di fare. Anzi, sarà opportuno ricordare che lo Stato nella fase di passaggio delle funzioni alle Regioni, ha assegnato a queste 525 milioni di lire a fronte dei 15 miliardi e 900 milioni che continua ad erogare, in larga misura attraverso provveditorati, a favore delle scuole materne non statali». Replica il capogruppo regionale de, Nello Balestracci, preside: «La legge sul diritto allo studio è nata senza essere stata preceduta da una seria indagine sulla realtà che va ad investire. Non ci sono previsioni sugli effetti che essa vuole raggiungere, l'unico suo obiettivo è quello della scuola materna così detta pubblica. Ma, domando, la scuola pubblica è in grado di sostituirsi alla scuola privata e se sì, subito o quando? E se non subito qual è l'alternativa? La scuola privata continua ad esistere chiedendo compensi ai genitori dei bambini che la frequentano? Oppure chiude i battenti e lascia a casa ì bambini? La verità è che questa è una legge che discrimina». A Roma, dove gli oppositori hanno ripetutamente cercato di silurare il provvedimento legislativo toscano, vi sono stati duri scontri tra Mancini, capo della delegazione socialista al governo, e Malfatti, democristiano, ministro della Pubblica istruzione: tra chi voleva l'approvazione della legge e chi voleva respingerla, è stato infine decisa una soluzione di compromesso, qual è appunto quella di ricorrere alla Corte Costituzionale. Tre, secondo l'avvocatura generale dello Stato, i motivi di illegittimità: 1) la legge toscana, ai fini dei contributi alle scuole materne, pone sullo stesso piano le scuole statali e pubbliche e le differenzia entrambe dalle scuole private, mentre la legge nazionale distingue soltanto fra scuole statali e non statali (e fra queste ultime dovrebbero perciò essere comprese sia quelle comunali che quelle provinciali); 2) la legge toscana subordina i contributi alle scuole materne private alla condizione che esse offrano parità di trattamento e di insegnamento con le scuole statali e pubbliche e che si trovino in aree prive di entrambe, ma anche questa è una condizione non prevista dalla legge nazionale; 3) la legge toscana, attuando in tema di assistenza una disparità di trattamento fra gli alunni che frequentano le scuole statali e pubbliche e quelli che frequentano le scuole private è in contrasto col principio costituzionale di uguaglianza. Filiberto Dani

Persone citate: Balestracci, Ermenegildo Florit, Lelio Lagorio, Malfatti, Mancini