Processo all'ex procuratore generale per "falsa" propaganda sul referendum di Renato Rizzo

Processo all'ex procuratore generale per "falsa" propaganda sul referendum Si è iniziato dinanzi ai giudici del tribunale di Ivrea Processo all'ex procuratore generale per "falsa" propaganda sul referendum E' accusato, assieme ad un impiegato, di aver fatto affiggere manifesti con la falce e il martello e l'invito, diretto ai comunisti, di votare contro il divorzio - Il giudizio rinviato (Dal nostro inviato speciale) Ivrea, 23 luglio. Al tribunale di Ivrea, si è iniziato il processo contro l'avvocato Bernardo Merlo, ex procuratore generale e primo presidente della corte d'appello di Torino, e Bruno Scotti, un impiegato di Villareggia. Sono accusati di artificio e raggiro per aver esercitato pressioni sull'elettorato comunista carpendone la buona fede, durante il referendum sul divorzio. Il tribunale ha accettato la tesi difensiva degli avvocati Oberto e Pedrazzi ed ha rinviato il giudizio a nuovo ruolo. Questi i fatti. Durante il periodo elettorale l'avvocato Merlo, presidente del «Comitato piemontese per l'unità della famiglia», con sede in via Gobetti, svolse una capillare campagna per la vittoria del «sì». In quei giorni comparve per le vie di Torino un manifesto su cui campeggiava una bandiera rossa spiegata ed i simboli della falce e del martello. Il testo diceva. «Compagno, in questo caso non è questione di politica. Si tratta di difendere la tua famiglia: vota sì». L'affissione era cominciata da poco tempo quando arrivò a Torino Bruno Scotti. Vide i manifesti, pensò che una persuasione di questo tipo sarebbe senz'altro servita a Villareggia e si rivolse all'avvocato Merlo per ottenere alcune copie del documento. L'sx-procuratore generale gli rispose di non averne in sede e gli diede un indirizzo di via Lagrange dove avrebbe potuto trovarne. Giunto a Villareggia, Scotti incominciò ad affiggere. Ma, poche ore dopo, arrivarono le prime proteste i o , e e ? i e , l e l e i o i n e n , a da parte di alcuni giovani comunisti. Telefonata dell'impiegato di Villareggia all'avvocato Merlo e risposta: «A Torino, sinora, nessuno ha riconosciuto illegittimi i manifesti». E, forse per rafforzare questa idea. Bruno Scotti ne affisse altre due copie. La protesta si trasformò allora in denuncia e questa volta ad opera d; un brigadiere dei carabinieri che ravvisò nell'invito del «Comitato per l'unione della famiglia» una illecita pressione sugli elettori di fede comunista. Un'accusa grave: il cape d'imputa zione fa riferimento ad un articolo della legge elettorale e prevede da uno a cinque anni di carcere senza condizionale. Stamane l'avvocato Merlo si è presentato in tribunale. Era molto teso. Per la prima volta nella sua vita era «dall'altra parte»: senza toga, sul banco degli imputati. I suoi difensori hanno sollevato due eccezioni preliminari. L'avvocato Pedrazzi ha notato che era illegittimo, nel caso particolare, l'adozione del rito direttissimo in quanto l'articolo della legge elettorale in questione non prevede questa prassi. L'avvocato Gianni Oberto ha dichiarato che «il processo avrebbe dovuto essere rinviato per consentire l'acquisizione di nuovi elementi». Ha aggiunto che «nel manifesto c'è il simbolo del partito comunista in quanto compaiono la falce e il martello. In realtà l'emblema di questo gruppo parlamentare contiene anche una stella d'oro, che qui non si vede, e la scritta "pei". La falce e il martello appare negli stemmi di altri partiti, dal socialista al disciolto psiup. Questo significa, fra l'altro, che il manifesto redatto dal " Comitato per l'unione della famiglia " non faceva alcun preciso riferimento a questo oCgnc o a quel movimento politico». Il p.m. Rocco Scovazzaro Camerata ha ribattuto che gli elementi mancanti potevano essere trovati durante il dibattimento. Ma il tribunale ha deciso di rinviare il processo a nuovo ruolo. Renato Rizzo Ivrea. L'ex procuratore generale Bernardo Merlo e Bruno Scotti in aula (« La Stampa »)