La passione di Norma con tanto "bel canto" di Massimo Mila

La passione di Norma con tanto "bel canto" Lo spettacolo del Regio a Orange La passione di Norma con tanto "bel canto" (Dal nostro inviato speciale) Orange, 22 luglio. Chiusa la stagione in casa, il Teatro Regio tenta anch'esso la sua fortuna internazionale, con puntate in Francia che — è bene dirlo subito — non pesano sul bilancio dell'Ente, poiché il teatro manda le sue masse — orchestra e coro — su invito. Quest'anno l'escursione ha avuto per meta la città di Orange, nella petrarchesca Vaucluse, dove da alcuni anni un'istituzione intitolata «Chorégie» organizza spettacoli musicali e corentici per valorizzare il grande teatro romano, mirabilmente conservato, che è vanto della città. Spettacoli di alta classe, che hanno luogo una volta sola, riempiono il vasto anfiteatro di tutti i diecimila spettatori che può contenere. L'anno scorso vi fu eseguito un Tristano che venne definito «il Tristano del secolo». Quest'anno, prima della tournée del Regio con la Norma e Mose, v'era stato un balletto ungherese e una Salomè diretta da Rudolf Kempe, di cui ci hanno detto meraviglie. Dopo i due spettacoli del Regio andrà su un Requiem di Berlioz come l'autore lo sognava con 470 coristi e oltre 200 orchestrali. E' dunque in un quadro internazionale di tutto rispetto che il Regio ha osato inserirsi, tirandosene con onore e cominciando ad introdurre negli ambienti musicali europei l'idea che a Torino non si fabbricano soltanto automobili, vermut e cioccolatini Gianduia, ma si fa anche della buona musica. La scelta della Norma e del Mose — a parte il vantaggio di offrire le masse già preparate per le esecuzioni avvenute in teatro ne' corso della stagione scorsa — era ovviamente intonata al quadro antico del teatro romano, che la «Chorégie» d'Orange talvolta usa allo stato naturale (com'è avvenuto per la Norma), talvolta invece occultando il colossale muro di fondo, adorno d'alcune superstiti colonne e d'una statua imperiale sulla cui autenticità non sapremmo giurare. La Norma, poi, qui ci sta a pennello, perché proprio ad Arausio, l'antica Orange, i Romani si beccarono dai Cimbri una così tremenda batosta che poi ci volle tutta l'abilità militare di Caio Mario per rimettere le cose a posto. Asso nella manica di questa rappresentazione era la presenza del grande soprano catalano Montserrat Caballé, reduce dai trionfi riportati a Mosca, con la Scala, proprio nella parte di Norma. Indiscussa protagonista nella rinascita contemporanea di quel bel canto la cui restituzione sta particolarmente a cuore ai direttori artistici della «Chorégie» d'Orange, Jacques Bourgeois e Jacques Darnel, la grande cantante era per di più in stato di grazia, ossia in una situazione psicologica tutta particolare che l'ha portata a superare se stessa e a fornire una prestazione che forse resterà memorabile negli annali del teatro lirico. Da più giorni imperversava sulla regione un mistral incessante, con raffiche da fare invidia alla bora triestina. Due sere prima la prova generale aveva dovuto essere interrotta, perché nessuno poteva resistere, né sul palcoscenico né in orchestra, alla violenza scatenata di un vento, oltre tutto, gelido. Sabato sera su per giù era lo stesso. Fino all'ultimo momento lo spettacolo fu in forse, e venne rinviato di un'ora, nella speranza che il maestrale si calmasse. Dicono che. fu lei, la Caballé, a decidere per il sì e a trascinare tutti. Venne in scena avvolta in un velo che subito si gonfiò come un pallone e pareva dovesse sollevarla da terra. Ma lei si piantò ben ferma, come una statua, sull'enorme palcoscenico romano. La sua calma figura di matrona bruna aveva qualcosa di risoluto, quasi selvaggio, che nessuno le conosceva. Si vedeva ch'era decisa a sfidare non solo gii elementi, ma qualunque contrarietà, pur di dare ai diecimila che intirizzivano sui gradini di pietra un'emozione artistica indimenticabile. Maestra indiscussa e riconosciuta del cantabile lirico, quella sera le circostanze l'aiutarono a strepitare come una Erinni: energica, violenta, passionale, possessiva, c'era da temere che di quel bellimbusto romano di Pollione se ne facesse un boccone da un momento all'altro. Soprattutto nel secondo dei due atti in cui la rappresentazione venne divisa, il soprano grandeggiò anche drammaticamente. E sì che c'era un Pollione di grande levatura, il tenore canadese Jon Vickers, a cui l'età non ha ancora appannato la freschezza autorevole della voce, e ha invece alimentato l'esperienza. Aveva imparato apposta per l'occasione la parte (come quella di Erede nella Salome della settimana precedente), ma se n'era investito a dovere ed è riuscito a creare il personaggio, nella sua frivolezza vanesia di latin lover soggiogato e ngncqnaGsrmcdqTtcbNpsniccevrgtcmscbnc nobilitato, troppo tardi, dalla grandezza della «sublime don- na» gallica. Inutile andare a cercare il pelo nell'uovo di qualche improprietà di prò- nuncia, ed ingiusto sarebbe accusarlo di esibizionismo. Guai se cominciamo ad accusare di gigioneria tutti i tenori che, una volta tanto, si permettono d'avere un po' di voce e di saper stare in scena. Pregio di questa edizione della Norma, in confronto a quella che abbiamo avuta a Torino, è stato l'alto livello di tutta la compagnia. S'è capito che per fare una Norma non basta procurarsi soltanto Norma. Qui a Orange c'era per esempio un'ottima Adalgisa nel mezzosoprano Josephine Veasey (questo bel canto italiano difeso da spagnole, canadesi, inglesi! ) : timbro vocale molto bello, suadente, emissione impeccabile e una vera scienza del «legato» fecero di questa cantante una degna antagonista dell'imponente Norma, e ciò permise di capire che Norma è un dramma musicale, e non solo un'esibizione concertistica di arte vocale. Primo italiano e quarto in classifica generale, come Panizza al Giro di Francia, il basso Agostino Ferrin ha fornito un Oroveso degnissimo, sia in punto di mezzi vocali che di proprietà stilistica. La teoria diffusa in certi ambien- ti scientifici, che le qualità ! delle voci siano geografica- mente distribuite, subisce di' questi tempi un rude colpo dal fatto che già da un po' non si riesce più a sentire un buon basso russo, e in Italia, nativi o d'importazione, i buoni bassi spesseggiano. Marisa Zotti con la freschezza della voce e Gino Sinimberghi con l'esperienza d'un valido veterano hanno disimpegnato le particine di Clotilde e di Flavio. Buone note anche per il coro torine se, istruito ancora dal mae stro Boni: si è impegnato allo spasimo per ben figurare e per tenere alto il nome del teatro ed ha riscosso largo ed unanime apprezzamento. Così l'orchestra, forse la più tartassata dalle condizioni atmosferiche, costretta ad un gran lavoro di pinzette per fermare le parti, ed ogni giramento di pagina era un dramma, ma nessun ostacolo è valso a comprometterne la compattezza, grazie anche alla direzione sicura di Giuseppe Patané, che ha la fortuna, e il merito non comune, di dirigere tutto a memoria. Ci si domanda cosa sarebbe successo se avesse dovuto lottare coi fogli svolazzanti d'una partitura. La regìa di Sandro Sequi era ispirata a somma semplicità, rinunciando ai1 particolari d'una messa in scena descrittiva, e spesso muovendo le masse a passo di corsa per superare gli enormi spazi del teatro romapubbli no. L'accoglienza del co è stata trionfale, Massimo Mila I

Luoghi citati: Arausio, Francia, Italia, Mosca, Norma, Orange, Torino