Neanche i genitori li vogliono di Liliana Madeo

Neanche i genitori li vogliono Viaggio nel mondo dell'infanzia emarginata Neanche i genitori li vogliono La triste vicenda dei bimbi in manicomio a Roma -1 familiari dicono: "Dateci sussidi decenti e ce li riprendiamo subito" e ricordano i contributi irrisori, qualche migliaio di lire al mese, che la pubblica amministrazione versa per gli handicappati, contro le rette elargite agli istituti assistenziali: dalle 10 alle 20 mila lire al giorno (Nostro servizio particolare) Roma, 20 luglio. «Da un punto di vista legale i 43 bambini attualmente ricoverati, sono dimessi. In pratica restano qui, perché non sappiamo dove mandarli », dice la professoressa De Sanctis, primario dell'80 padiglione dell'ospedale psichiatrico « Santa Maria della Pietà ». Le prime proposte di smobilitazione del padiglione risalgono al dopoguerra. Nel '72 il consiglio provinciale lo decise. Adesso se ne parla di nuovo e si è fissata anche una scadenza: il mese di settembre. L'operazione però non si prospetta facile. « Non è affatto detto die ci si riesca — dichiara, con cautela, il primario —. A meno che non ci accontentiamo delle sistemazioni che si trovano, spesso peggiori di questa, tutte private, di solito affidate a religiosi. In questo caso non potremmo sottrarci a un pizzico di rimorso ». E' il paradosso che si aggiunge alla sequela di violenze e ingiustizie già subite dai piccoli ricoverati. Per ciascuno di loro c'è una scheda che ne racconta la storia. Gli ingredienti sono sempre gli stessi: miseria, solitudine, umilianti peregrinazioni da un istituto all'altro, famiglie disgregate dalla sottoccupazione, dall'alcoolismo, dall'emigrazione. Le prospettive possibili per loro, al di là di queste sbarre, sono poche e improbabili. Hanno provenienze analoghe. Dal brefotrofio, 9: e il prof. Bollea, dell'Istituto di neuropsichiatria infantile dell'università di Roma, ha indicato nell'« ospedalismo acuto », fra le altre conseguenze, « la causa di un grave ritardo di sviluppo fisico e psichico che può raggiungere il 50 per cento della norma ». Dalle baracche e dai quartieri più popolari della periferia romana, di cui ben si conoscono le condizioni igieniche, sanitarie, alimentari, di medicina preventiva: e il prof. Bucci, della divisione neonatale della prima clinica pediatrica dell'università di Roma, ha indicato « nella mancanza di cure e di assistenza specialistica nei primi giorni di vita una grossa quota di danni permanenti: fino a qualche anno fa il 50 per cento dei bambini nati con peso injeriore a un chilo e duecento grammi diventava cerebropatico o spastico ». Ultima tappa Soltanto di 28 si hanno notizie sulla famiglia, che è sempre proletaria o sottoproletaria, con prole numerosa, spesso senza padre o madre (15 casi). In 9 provengono da altre province. Per il 90 per cento la diagnosi è oligofrenia cerebropatica e insufficienza mentale. In 32 sono stati ricoverati con ordinanza, come «pericolosi a sé e agli altri». Per 4 la degenza dura da 10 anni. Il 60 per cento è stato ricoverato fra i 4 e i 7 anni; dei rimanenti, 6 a meno dei 4 anni che è l'età minima prevista. I più piccini — due — hanno 7 anni. Il maggioie ne ha 18. Per legge a 14 dovrebbero passare nei reparti degli adulti, «ma si tende sempre a rinviare quel memento» che ì un trauma sia per il paziente (viene a trovarsi in un ambiente più difficile e spesso diventa oggetto di violenza sessuale da parte dei degenti più anziani) sia per gli infermieri che devono fronteggiare la nuova situazione. I genitori, quando ci sono, non hanno avuto le possibilità materiali per tenerli con sé («Dateci sussidi decenti e ce li riprendiamo subito» dicevano nelle assemblee di due anni fa, e ricordavano i contributi irrisori — qualche migliaia di lire al mese — che la pubblica amministrazione versa ai familiari degli handicappati, contro le rette elargite alle varie istituzioni assistenziali, dalle 10 alle 20 mila lire al giorno). Dagli istituti che 11 hanno ospitati sono stati via via dimessi quando si rendeva necessaria un'assistenza che avrebbe ridotto i loro margini di profitto. Per tutti il manicomio ha rappresentato l'ultima tappa di un processo di esclusione comincialo dal momento della nascita e aggravato dall'handicap, una colpa imperdonabile in una società dominata dalle leggi della produttività e del consumo. In parte si è visto quanto l'ospedale psichiatrico gli ha riservato. Forse è quanto di peggio si riesce a fare in Italia, nel campo dell'assistenza psichiatrica infantile. Che è caratterizzata dalla disorganicità degli interventi (compiti di assistenza competo¬ ntedddinbtuvdttsntddPtzanlltandsdrpgclsur no a 14 ministeri), dall'arretratezza della legislazione vigente, da una spesa di circa 25 miliardi che lo Stato sostiene operando prevalentemente in maniera indiretta (20.450 istituzioni pubbliche e opere pie, 12 mila istituzioni private, secondo la previsione di spesa del ministero dell'Interno per il 70). Cosa cambia La catena può essere spezzata. La mobilitazione perché l'ottavo padiglione venga chiuso si sta allargando, dalle forze di sinistra d'opposizione, ai sindacati, agli organismi democratici del quartiere di Monte Mario dove sorge «Santa Maria della Pietà». E' un momento della lotta più generale per la trasformazione dell'assistenza psichiatrica a Roma e nel Lazio, nell'imminenza della discussione di una legge regionale sul tema. Si parla di strutture sanitarie decentrate e autogestite, di un nuovo atteggiamento della comunità nei confronti di chi è «diverso», di deospedalizzazione, della costituzione di una rete di centri di igiene mentale, di misure per reinserire i malati in famiglia e per la costituzione di case-famiglia con piccoli gruppi di handicappati che vivono con personale specializzato, frequentano scuole normali, hanno rapporti umani rassicuranti e «strutturanti» della personalità. I giovani psichiatri, portatori di istanze democratiche e di rinnovamento, sono in prima linea per questa battaglia. Il professor Fausto Antonucci mette sotto accusa «la pubblica amministrazione e gli operatori sociali e sanitari che fino ad ora hanno avallato prassi disumane e retrograde»; nello stesso tempo sottolinea «i/ pericolo che, in una razionalizzazione delle istituzioni speciali, si consideri l'insufficiente mentale più in base al suo deficit che in una dimensione umana, e il recupero sociale assuma la connotazione di un recupero lavorativo visto solo sulla base della capacità produttiva e non sulla base delle esigenze umane e socializzanti». Il professor Massimo Ammaniti rifiuta di «ricondurre a una dimensione psichiatrica il fenomeno del disadattamento, per analizzarlo nel suo reale significato socio-politico» e sottolinea la «necessità di rivedere tutto il problema non in termini esclusivamente sanitari, ma nel quadro di una riorganizzazione dei servizi scolastici ed educativi, pedagogici e di medicina preventiva». Si riconosce che i bambini «disturbati» non rappresentano un problema la cui soluzione spetta solo agli specialisti. «E' la società nel suo complesso e la scuola in particolare, afferma il professor Luigi Cancrini, che devono assumersene la responsabilità, se vogliono assolvere uno dei compiti fondamentali loro assegnati, quello di promuovere nella società civile un'autentica coscienza democratica». Liliana Madeo

Persone citate: Antonucci, Bollea, Bucci, De Sanctis, Luigi Cancrini, Massimo Ammaniti

Luoghi citati: Italia, Lazio, Roma